don Luciano Cantini "Fino agli estremi confini del campo"

XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (13/07/2014)
Vangelo: Mt 13,1-23
Salì su una barca
Gesù dalla barca, usa il fenomeno della diffusione del suono dato dal pelo dell'acqua, e la folla seduta sulla spiaggia può ascoltare con più facilità, l'incontro è più familiare e la comunicazione più intima. È una folla anonima, persone di ogni genere, ognuno con la sua storia e la sua situazione, la sua vita. A questa folla multiforme Gesù parla con parabole.
Il seminatore uscì a seminare
Il gesto ampio del seminatore che getta il seme in
abbondanza, senza timore di spreco, senza preoccupazione di dove il seme va a finire, è l'immagine della abbondanza di Dio, della sua generosità e misericordia che giunge agli estremi confini del campo per andare oltre. Gesù ci abitua a misurare l'abbondanza della azione di Dio che è senza misura (Cfr. Mt 16,9-10), la sua misericordia che non ha limiti (Cfr. Mt 13,30).
Quella folla così eterogenea deve aver intuito il senso della parabola che Gesù sta raccontando e percepito il seme che stava cadendo proprio nelle pieghe della sua diversità, tra l'incostanza, le seduzioni, le preoccupazioni, le tribolazioni. Gesù coinvolge tutti e non vuole che nessuno si senta escluso da quel dono. Lo scopo primario del racconto sembra essere proprio mostrare la volontà di Dio di raggiungere ogni angolo della vita e della storia dell'uomo. Una volta gettato, il seme, entra nelle contraddizioni e nelle incertezze della storia umana, si confronta con i suoi limiti, il suo peccato, le sue insufficienze. Ma l'azione di Dio è piena, totale, incondizionata, radicale, arriva dappertutto, raggiunge ogni condizione dell'uomo anche se la sua azione può sembrare inutile, superficiale, sconsiderata. Sembra non avere interesse del risultato, tutto è accettato: dal becchime per gli uccelli al cento per uno della spiga piena di frutto.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano.
Ancora un motivo di "beatitudine" (Cfr. Mt 5,3-11. 11,6. 16,17. 24,46) che è sempre nell'ordine della "piccolezza" e del dono della rivelazione (Mt 11,25). Non vi è una dote singolare, una intelligenza speciale perché né carne né sangue (Mt 16,17) permettono una visione più profonda o un ascolto più acuto ma il dono gratuito di Dio: a voi è stato dato... Non c'è un merito particolare o una conquista personale, piuttosto la forza della comunione e della libertà. Chi è ossessionato dalla conquista, anche del bene, dalla conoscenza della verità si troverà privato di ciò che ha conquistato e raggiunto con le sue forze. Tale è la situazione di chi si sforza di vivere i dettami della religione, si impegna nelle opere buone, ma perde la comunione con Dio e la carità (Cfr. 1Cor 13, 1-3).
Le parabole sono strumento della sapienza e dono di Dio: annunciano, confermano e illuminano chi è disponibile ad accogliere il dono, ma restano misteriose e infruttuose per chi è ancora ancorato alla vecchia situazione di un'umanità autoreferenziale. La folla è ancora condizionata dalle proprie convinzioni, gli occhi sono appannati e gli orecchi ovattati; i discepoli, invece, liberati dalla visione chiusa d'Israele, dalle strette prospettive del culto e dei tradizionalismi, sono chiamati "beati" perché "vedono" e "ascoltano". Anche noi, cristiani che abbiamo ereditato queste parabole da duemila anni non possiamo smettere di osservare ed ascoltare la vita e la storia in cui Dio comunica il suo messaggio d'amore.
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore
Ai discepoli Gesù chiede di "ascoltare" ciò che hanno già ascoltato. L'ascolto non termina mai perché ogni dono ricevuto ha bisogno di essere accolto, interiorizzato, approfondito. Nell'ascolto e nel riascolto il dono si immerge sempre più nel terreno della nostra vita per dare frutto.
In questa seconda rilettura il seminatore, personaggio principale nell'annuncio alla folla, passa in secondo piano. Per la folla era essenziale comprendere l'ampiezza del dono di Dio, un Dio che entra nella storia umana, che va a cercare ogni terreno e ogni anfratto, tutto il contrario della mentalità comune, ancora viva oggi, per cui è l'uomo che si illude di cercare Dio e si fa a lui incontro con pellegrinaggi, offerte e doni.
Per i discepoli, fattisi piccoli, è il terreno che accoglie il dono di Dio l'essenziale della parabola. Lontano da noi l'idea di considerare peccatore il terreno della strada e santo quello buono, ritorneremo alle categorie umane legate al moralismo. Nessuno può agire su se stesso perché il suo diventi un terreno buono per dare frutto, e il frutto che intravede sul proprio terreno è certo dono di Dio (Cfr. 2Cor 9,10).
L'invito è piuttosto quello di prender coscienza del dono della Parola che abbiamo indiscutibilmente ricevuto e della nostra situazione, come persone, famiglie, comunità cristiane perché è in quella situazione che dobbiamo dare frutto. La Parola di Dio nel percorso della storia, come nella nostra vita, vive alterne vicende, trova ostacoli, incontra pericoli, superficialità, incomprensione; la stessa Parola esprime cose diverse perché viene incontro al contesto che stiamo vivendo. Anche il tempo ha una sua valenza: dai pochi istanti della strada di cui fare tesoro, al rimanere per sempre nel profondo del buon terreno: colui che ascolta la Parola e la comprende. Comprendere la Parola nel senso di tenerla con sé e la conservarla nel proprio cuore.
Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato (2Tm 1,14).

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