Giancarlo Bruni"Dare il pane, farsi pane"
Eremo delle Stinche - Panzano in Chianti
1. L'evangelista Matteo al discorso delle parabole fa seguire una sezione narrativa (Mt 14-17) fatta di episodi dotati, ciascuno, di un proprio peculiare messaggio. A cominciare dalla moltiplicazione dei pani (Mt
14,13-21) prodigio che avviene «in disparte in un luogo deserto» dove Gesù si era ritirato a seguito della esecuzione del Battista (Mt 14,3-12), sentendosi egli stesso minacciato. Un Gesù che prende le distanze dai capi ma non dalla folla che lo insegue verso la quale ha occhi, cuore e gesto: «vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati». Un versetto in cui è riassunta tutta la verità di Gesù e in lui di Dio e dell'uomo: vero è colui che vede con le viscere sospinto da un amore concreto che al contempo è capacità di cogliere il bisogno reale e potenza taumaturgica. Una compassione attiva che né il buon senso né il criterio dell'oggettività riescono a imprigionare.
Nel caso quelli dei discepoli: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi, congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». No, chi ha fame non può essere congedato ma interpella personalmente e come comunità: «date loro voi stessi da mangiare» e, sotteso, gratuitamente, senza denaro (Is 55,1-2). E nella consapevolezza che la solidarietà e la condivisione del poco che si ha, i «cinque pani e due pesci», logica a cui è straniera una economia di mercato ancorata al solo profitto, operano non solo il miracolo di un pane per ciascuno ma la sovrabbondanza, le «dodici ceste» di vimini di pane avanzato. Numero che rimanda ai dodici apostoli nei quali sono riassunte le dodici tribù di Israele, a voler dire che il pane è destinato da Dio a ogni israelita, donne e bambini inclusi, cioè i più marginali. Così come le «sette sporte piene» avanzate di cui si parla nella seconda moltiplicazione dei pani (Mt 15,32-39) evocano sia i sette pani presi da Gesù che la loro destinazione alle settanta nazioni, cioè all'intera umanità. Nessuno viene escluso dal pane che al pari del Padre è «nostro» (Mt 6,11), di tutti.
2. Un Gesù, sottolinea l'evangelista, che in questo gesto rivela la sua qualità di Messia, e compito del re è garantire a ciascuno il pane di oggi (2Sam 6,9) in una tenerezza fino alla commozione. I poveri si amano e non li si congeda se non dopo averli saziati (Mt 14,22-23). Siamo dunque al cospetto di un banchetto messianico in cui Gesù svolge al contempo il ruolo di «capo mensa» nell'atto del benedire la tavola: i gesti del prendere il pane, dell'alzare gli occhi, del benedire o lodare - ringraziare, dello spezzare e del distribuire corrispondono infatti alla giornaliera benedizione sul pane in Israele. Il ruolo di «profeta» di sovrabbondanza al pari e più di Eliseo, chiaramente evocato nella narrazione di Matteo (2Re 4,42-44). Il ruolo di «nuovo Mosè», il miracolo del pane allude alla manna del deserto (Es 16; Nm 11; Dt 8), mentre la menzione di donne e bambini (Es 12,37) e il particolare dell'erba che rimanda alla primavera fanno pensare al banchetto pasquale primaverile. Gesto infine che la tradizione ecclesiale già dal tempo dell'evangelista ha altresì interpretato in chiave eucaristica, non a caso i gesti qui riferiti coincidono in gran parte con quelli del racconto dell'Ultima cena (Mt 26,26).
3. Siamo al cospetto di un testo riassuntivo di una lunga storia avanti e dopo Gesù. Il capotavola delle celebrazioni eucaristiche cristiane è il Messia di nome Gesù venuto a portare a compimento Mosè e i profeti. L'inviato a dare il pane all'affamato è il pane che ama l'affamato fino a donarsi in pasto ad esso, consapevole che l'uomo ha bisogno sia di pane dato con amore che di sconfinata compassione, la vera forza di Dio nel suo Messia. L'uomo può essere salvato solo da un amore che si lascia mangiare e bere. Questa è l'opera regale di Dio in Cristo, e a questo sono chiamati i discepoli: date voi stessi da mangiare all'affamato - date voi stessi in pasto all'affamato. Questo diciamo quando definiamo la Chiesa «popolo regale», popolo atteso dai poveri della terra.
1. L'evangelista Matteo al discorso delle parabole fa seguire una sezione narrativa (Mt 14-17) fatta di episodi dotati, ciascuno, di un proprio peculiare messaggio. A cominciare dalla moltiplicazione dei pani (Mt
14,13-21) prodigio che avviene «in disparte in un luogo deserto» dove Gesù si era ritirato a seguito della esecuzione del Battista (Mt 14,3-12), sentendosi egli stesso minacciato. Un Gesù che prende le distanze dai capi ma non dalla folla che lo insegue verso la quale ha occhi, cuore e gesto: «vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati». Un versetto in cui è riassunta tutta la verità di Gesù e in lui di Dio e dell'uomo: vero è colui che vede con le viscere sospinto da un amore concreto che al contempo è capacità di cogliere il bisogno reale e potenza taumaturgica. Una compassione attiva che né il buon senso né il criterio dell'oggettività riescono a imprigionare.
Nel caso quelli dei discepoli: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi, congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». No, chi ha fame non può essere congedato ma interpella personalmente e come comunità: «date loro voi stessi da mangiare» e, sotteso, gratuitamente, senza denaro (Is 55,1-2). E nella consapevolezza che la solidarietà e la condivisione del poco che si ha, i «cinque pani e due pesci», logica a cui è straniera una economia di mercato ancorata al solo profitto, operano non solo il miracolo di un pane per ciascuno ma la sovrabbondanza, le «dodici ceste» di vimini di pane avanzato. Numero che rimanda ai dodici apostoli nei quali sono riassunte le dodici tribù di Israele, a voler dire che il pane è destinato da Dio a ogni israelita, donne e bambini inclusi, cioè i più marginali. Così come le «sette sporte piene» avanzate di cui si parla nella seconda moltiplicazione dei pani (Mt 15,32-39) evocano sia i sette pani presi da Gesù che la loro destinazione alle settanta nazioni, cioè all'intera umanità. Nessuno viene escluso dal pane che al pari del Padre è «nostro» (Mt 6,11), di tutti.
2. Un Gesù, sottolinea l'evangelista, che in questo gesto rivela la sua qualità di Messia, e compito del re è garantire a ciascuno il pane di oggi (2Sam 6,9) in una tenerezza fino alla commozione. I poveri si amano e non li si congeda se non dopo averli saziati (Mt 14,22-23). Siamo dunque al cospetto di un banchetto messianico in cui Gesù svolge al contempo il ruolo di «capo mensa» nell'atto del benedire la tavola: i gesti del prendere il pane, dell'alzare gli occhi, del benedire o lodare - ringraziare, dello spezzare e del distribuire corrispondono infatti alla giornaliera benedizione sul pane in Israele. Il ruolo di «profeta» di sovrabbondanza al pari e più di Eliseo, chiaramente evocato nella narrazione di Matteo (2Re 4,42-44). Il ruolo di «nuovo Mosè», il miracolo del pane allude alla manna del deserto (Es 16; Nm 11; Dt 8), mentre la menzione di donne e bambini (Es 12,37) e il particolare dell'erba che rimanda alla primavera fanno pensare al banchetto pasquale primaverile. Gesto infine che la tradizione ecclesiale già dal tempo dell'evangelista ha altresì interpretato in chiave eucaristica, non a caso i gesti qui riferiti coincidono in gran parte con quelli del racconto dell'Ultima cena (Mt 26,26).
3. Siamo al cospetto di un testo riassuntivo di una lunga storia avanti e dopo Gesù. Il capotavola delle celebrazioni eucaristiche cristiane è il Messia di nome Gesù venuto a portare a compimento Mosè e i profeti. L'inviato a dare il pane all'affamato è il pane che ama l'affamato fino a donarsi in pasto ad esso, consapevole che l'uomo ha bisogno sia di pane dato con amore che di sconfinata compassione, la vera forza di Dio nel suo Messia. L'uomo può essere salvato solo da un amore che si lascia mangiare e bere. Questa è l'opera regale di Dio in Cristo, e a questo sono chiamati i discepoli: date voi stessi da mangiare all'affamato - date voi stessi in pasto all'affamato. Questo diciamo quando definiamo la Chiesa «popolo regale», popolo atteso dai poveri della terra.
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