Riflessione sul Vangelo di ENZO BIANCHI XIV Domenica del tempo ordinario

“In quel tempo Gesù disse…”. Così inizia il testo evangelico di questa 14a domenica del tempo per annum. Ma noi dobbiamo anche sapere qualcosa di “quel tempo”, per poter contestualizzare le parole di Gesù.

Siamo alla fine del capitolo 11 del vangelo secondo Matteo, un capitolo che potremmo definire carico di giudizi da parte di Gesù, un capitolo tragico. Gesù ha ormai iniziato il suo ministero da un po’ di tempo e registra però il fallimento, l’insuccesso della sua predicazione. Giovanni Battista, che era stato il suo maestro, che l’aveva battezzato e
l’aveva presentato quale servo di Dio ai discepoli e alle folle accorse a lui, ora in carcere è assalito da dubbi sull’identità dello stesso Gesù. Per questo manda alcuni suoi discepoli a chiedergli, pronto all’assoluta obbedienza alla sua risposta: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Mt 11,3).
La gente che segue Gesù costituisce uno strano uditorio: ascoltano ma non obbediscono. Non hanno obbedito a Giovanni, un asceta del deserto, e hanno concluso che era “indemoniato” (Mt 11,18); è venuto Gesù, “che mangia e beve” nella convivialità, e hanno concluso che “è un mangione e un beone, un amico di prostitute e di pubblici peccatori” (Mt 11,19). Poi Gesù guarda anche alle città in cui aveva predicato e operato – Corazin, Betsaida, Cafarnao –, e da profeta le giudica con severità (cf. Mt 11,20-24). Certo, molti di noi restano perplessi di fronte a queste parole violente, ma Gesù è un profeta e con diritto alza la voce per fare un appello alla conversione; minaccia, avverte con voce alta e forte, affinché avvenga la conversione. (Pier Paolo Pasolini nel “Vangelo secondo Matteo” ha ben rappresentato questo grido di Gesù, vero culmine artistico del suo meraviglioso film!).

Se le parole sono dure e il clima è quello del giudizio, in Gesù non c’è però abbattimento, scoraggiamento, dunque neppure nessun cinismo, tentazione in cui invece noi saremmo tentati di cadere. Anche nel fallimento e nel rifiuto incontrato dalla sua missione, Gesù non ha paura, non teme, ma si affida con fiducia al Padre. Non importa se la gente non ascolta, non importa se egli deve subire scacco e ostilità, perché c’è colui che è rifugio, che è fonte di forza e di saldezza: Dio. E così Gesù si rivolge a lui, innalzando una lode al Creatore, Signore del cielo e della terra, che si rivela a chi vuole. Lo chiama “Padre” dall’inizio alla fine della preghiera, ed esprime la sua lode a lui che rivela le cose del Regno ai piccoli e le nasconde agli intellettuali e ai sapienti.
Questo è il paradosso della venuta del Regno, che non è scacco per Dio, ma invece gioia e benevolenza. Solo gli umili e i poveri vedono che Dio alza il velo per loro sulle realtà del Regno, ma per chi si sente sapiente, per chi pensa di conoscere da sé la realtà, tutto è velato, nascosto… Sovente, infatti, l’intelligenza umana induce a essere orgogliosi, porta a una sorta di cecità, perché si è infatuati di ciò che si sa, ci si compiace delle proprie capacità. Le realtà del Regno e della fede cristiana stanno in una logica diversa da quella del sapere umano, addirittura possono collocarsi in una logica folle, quella della croce (cf. 1Cor 1,18; 2,1-2); i piccoli, i poveri, i semplici accedono a questa rivelazione, mentre agli altri è chiusa la porta della conoscenza del mistero del regno dei cieli (cf. Mt 13,11-17; Is 6,9-10).

Ecco allora la rivelazione dell’identità di Gesù: tutto gli è stato dato dal Padre, solo lui conosce il Padre e il Padre può essere conosciuto solo da colui al quale il Figlio lo rivela. Ancora una volta, ma questa volta nel vangelo secondo Matteo, ci viene detto lo specifico del cristianesimo (espresso altrove dal famoso exeghésato di Gv 1,18): solo Gesù può rivelare a noi il Padre, Dio, nessun altro può farlo! Dunque solo conoscendo Gesù di Nazaret come i vangeli ce lo testimoniano, possiamo conoscere il Dio vivente e vero.

Se questa è la rivelazione, ecco allora l’invito di Gesù, invito rivolto a quelli che sono piccoli e poveri, qui intravisti come coloro che faticano a essere credenti, schiacciati sotto il peso di tanti gioghi imposti dagli uomini e dalla religione. Essi vadano da Gesù, perché il suo giogo non è più quello della legge, ma è un giogo leggero e facile da portare. Andare da Gesù e diventare suoi discepoli significa trovare un uomo “mite e umile di cuore”, capace di accoglienza e di ospitalità, un uomo che ci lava i piedi, un uomo che ci perdona e non ci castiga, un uomo che ci ama anche se noi non lo meritiamo. Proprio così quest’uomo, Gesù, narrava Dio, mostrava Dio, e consentiva di trovare nella sua umanità le tracce di Dio, perché lui era il Figlio di Dio, la sua Parola fatta carne (cf. Gv 1,14).

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