Alberto Vianello"Quando si sprofonda"

Letture: 1Re 19,9-13; Rm 9,1-5; Mt 14,22-33
Monastero Marango Eraclea (Ve)
Elia incontra il Signore sul monte, al culmine del suo fallimento e della sua rinuncia, come profeta come uomo. Ha sempre creduto e predicato un Dio potente. Ora scopre che non lo si trova nei segni della forza (il vento che spezza le rocce, il terremoto che distrugge, il fuoco che divora ogni cosa) ma «nella voce sottile quasi silenzio»: basterebbe un qualsiasi piccolo rumore per vanificarla. Dio si consegna all'impotenza della
misericordia, ed Elia deve accogliere tutto il proprio fallimento, per vivere tale presenza così inaspettata, per lui, del Signore.
Anche Pietro affonda, nell'episodio del Vangelo, quando si pone nella condizione di forzare una presenza potente del Signore Gesù: «Se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque» (v. 28).
La barca della Chiesa è «agitata dalle onde» e si trova con «il vento contrario» (v. 24): non c'è il Signore Gesù con loro, rimasto «sul monte, in disparte, a pregare» (v. 23). Sembra lontano e inoperoso. Ancora meno corrispondente alla loro difficoltà sembra essere il modo con cui Gesù colma la distanza dalla barca: «Andò verso di loro camminando sul mare» (v. 25). Li prende la paura di avere a che fare con «un fantasma» (v. 26), non con la carne umana del figlio di Dio.
In effetti, il cammino sulle acque non è una spettacolarizzazione sconvolgente di una presenza non umana. Deve invece richiamare, insieme a tanti altri elementi del testo, l'esperienza pasquale del passaggio del mare da parte del popolo di Israele (cfr. Es 14-15). Lì dove c'è un evento di liberazione che supera le capacità umane, come passare attraverso il mare, lì c'è Dio con la sua opera di grazia.
Pietro non riesce ancora a vedere il Signore nel suo farsi vicino alla Chiesa con la sua Pasqua di liberazione. Pensa di doversi adeguare lui al Signore, come farà al momento della Passione: «Ti seguirò dovunque andrai»... «Oggi mi tradirai tre volte» (cfr. Mt 26,30-35). Come Gesù cammina sulle acque, così vuole camminarci anche lui: non è un atto di fede, ma un atto di presunzione.
Non siamo chiamati, infatti, a imitare Gesù: anche con la sua grazia ci schianteremmo. Siamo invece chiamati a seguirlo: a camminare umilmente dietro a Lui, senza la pretesa di essere e di fare come Lui. Se, invece, lo si segue con umiltà, si possono poi fare cose come quelle che fa Lui, e addirittura cose più grandi, dice Gesù (cfr. Gv 14,12). Volerlo imitare vuol dire non avere bisogno della sua guida e del suo aiuto. Volerlo seguire è proprio consegnarsi al suo soccorso. Pietro vuole imitare Gesù, per questo affonda.

Allo stesso tempo, credo che ci sia un risvolto significativamente positivo nell'esperienza del camminare sulle acque e del affondare, a un certo punto. In ogni scelta che indirizza e impegna decisamente la propria vita (che sia il matrimonio o la consacrazione) ci si può trovare a dire: «Che cosa sto facendo!?». Sembra di camminare sulle acque: di essersi posti una situazione sproporzionata o addirittura innaturale, per se stessi. Allora sembra di sprofondare, dentro le condizioni in cui da sé ci si è posti. Un eccesso di fiducia - in se stessi, negli altri o in Dio - ha creato una situazione incosciente di sprofondamento.
Quando Pietro affonda, grida a Gesù: «Signore, salvami!» (v. 30). Ora non ha più alcuna pretesa su di sé: non gli resta che consegnarsi a Gesù, che «tese la mano e lo afferrò» (v. 31). Non sperimenta il Signore con i suoi piedi che camminano verso di Lui sull'acqua, ma con la mano di Gesù che lo tira fuori dalla condizione di pretesa di fare come Lui.
Non ci sono scelte di vita proporzionate o sproporzionate alle nostre capacità. Ci sono scelte di vita che ci fanno sprofondare quando guardiamo alla nostra incapacità a viverle, e scelte di vita nelle quali sperimentiamo tutta la forza del Signore nella nostra vita, se tendiamo la nostra mano che fonda alla sua mano che salva. «Davvero tu sei il Figlio di Dio!» (v. 32).

Alberto Vianello

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