Commento al Vangelo di ENZO BIANCHI"Un messia al contrario"
XXII domenica del tempo ordinario
31 agosto 2014
Mt 16,21-27
Questa pagina evangelica – dobbiamo confessarlo con sincerità – ci scandalizza. È una pagina che, di fatto, costituisce un ostacolo alla nostra fede, una pagina che ci contraddice in profondità; e, soprattutto, quando questa pagina diventa anche solo un frammento della nostra vita, ci scuote fino alle fondamenta della fede e della vita.
Pietro, interrogato da Gesù circa la sua identità, sotto l’impulso dello Spirito santo inviatogli dal Padre ha appena confessato che Gesù è il Cristo, il Messia, il Figlio Unto da Dio; che in lui si compiono le promesse fatte a David (cf. Mt 16,15-17): se dunque Gesù è il Messia promesso, che cosa si deve attendere? Si deve attendere innanzitutto la sconfitta dei nemici, il trionfo del Messia e del suo popolo, un tempo di giustizia e di pace, un tempo favorevole ai poveri e ai giusti, a quanti hanno atteso e preparato il giorno del Messia. Se Gesù è il Messia, un’attesa millenaria sta per essere colmata e “il giorno del Signore” (Am 5,18.20; Gl 1,15; 2,1.11; 3,4; 4,14, ecc.) sta per avvenire nella storia: allora il Signore regnerà veramente e definitivamente attraverso il suo Messia, dunque attraverso Gesù! Questa è la fede, questa è la speranza del credente, del discepolo di Gesù, che ha deciso di seguirlo in vista del regno di Dio.
Ma… ecco l’inedito: “a partire da quel momento” – dice il vangelo –, cioè solo dopo la proclamazione di Pietro, “Gesù cominciò (érxato) a mostrare”, a insegnare qualcosa di nuovo e di inatteso. Sì, lui è il Messia, ma per ora non bisogna proclamarlo né dirlo; e come Messia egli ora deve andare a Gerusalemme, dove lo attenderà il soffrire molte cose (pollá) da parte del potere religioso (anziani, capi dei sacerdoti e scribi), l’essere addirittura condannato come uomo nocivo alla società, come delinquente, l’essere quindi ucciso con violenza e il risorgere il terzo giorno. È un annuncio nuovo, che risuonerà altre due volte (cf. Mt 17,22-23; 20,17-19) durante il cammino verso la città che “uccide i profeti” (cf. Mt 23,37). È un annuncio certo, verso il quale Gesù si prepara e tutto predispone, sapendo che questa fine “è necessaria” (deî), non perché penda su di lui un destino crudele o un fato ineluttabile, né tanto meno perché il Padre lo voglia vittima o sacrificio.
No, è così semplicemente perché nel mondo umano, il nostro mondo, colui che appare giusto viene odiato dagli altri; chi “ama fino alla fine” (cf. Gv 13,1) viene detestato; chi fa soltanto il bene, dicendo sempre la verità, dà fastidio e dunque “merita” di essere eliminato. Come dimenticare, al riguardo, i perversi ragionamenti degli empi di fronte al giusto, narratici dal libro della Sapienza (cf. Sap 1,16-2,20), ragionamenti che sono i nostri? Davvero, noi umani abbiamo paura della giustizia, della libertà, della bellezza: preferiamo ucciderle in chi ne è portatore, piuttosto che confrontarci con esse.
Ecco la “necessitas” della passione di Gesù, una necessità intraumana, alla quale Gesù potrebbe sfuggire soltanto rinnegando giustizia, libertà e bellezza, ed essendo così uguale a noi. Guai a chi bestemmia il nostro Dio, leggendo in questa “necessitas” annunciata da Gesù la volontà del Padre, il desiderio del Padre che lui soffrisse e morisse per espiare i nostri peccati. Chi pensa o dice così, dà a Dio l’immagine di un Padre perverso, cattivo, un’immagine che è un sacrilegio! Ma questa verità è talmente inedita, difficile da portare, faticosa contemplazione (theoría: Lc 23,48), che di fronte a essa noi diciamo: “No, non è possibile!”, e come Pietro protestiamo: “Signore, questo non ti accadrà mai!”. Ci piace la fede ortodossa, siamo ossessionati e ossessionanti nel difenderla, nell’incastonarla in formule, ma quanto a viverla, no, non ce la facciamo: preferiamo diventare vigliacchi, con “il cuore diviso” (Sal 12,3). Diciamo sì a un Messia trionfatore sui nemici, no a un Messia vittima della nostra stessa cattiveria. Così facendo, quanti cristiani diventano ostacolo alla comprensione di chi è veramente Gesù… Diventano, letteralmente, Satana, avversari (come Gesù definisce, rimproverandolo, Pietro), che impediscono a se stessi e agli altri uomini e donne di vedere Gesù come nostro fratello vittima dell’ingiustizia e della violenza, e Dio come un Padre buono che lascia fare e non interviene, poiché rispetta l’uomo anche nella sua malvagità. Sì, Dio lo comprende e per questo dirà, con Gesù sulla croce: “Vi perdono perché non sapete quello che dite né quello che fate” (cf. Lc 23,34).
Confessare Gesù quale Messia è confessare – come dice l’Apostolo Paolo – un Messia crocifisso, scandalo, ostacolo per gli uomini religiosi, e follia, idea pazza per gli uomini non credenti (cf. 1Cor 1,23). È confessare “un Messia al contrario
31 agosto 2014
Mt 16,21-27
Questa pagina evangelica – dobbiamo confessarlo con sincerità – ci scandalizza. È una pagina che, di fatto, costituisce un ostacolo alla nostra fede, una pagina che ci contraddice in profondità; e, soprattutto, quando questa pagina diventa anche solo un frammento della nostra vita, ci scuote fino alle fondamenta della fede e della vita.
Pietro, interrogato da Gesù circa la sua identità, sotto l’impulso dello Spirito santo inviatogli dal Padre ha appena confessato che Gesù è il Cristo, il Messia, il Figlio Unto da Dio; che in lui si compiono le promesse fatte a David (cf. Mt 16,15-17): se dunque Gesù è il Messia promesso, che cosa si deve attendere? Si deve attendere innanzitutto la sconfitta dei nemici, il trionfo del Messia e del suo popolo, un tempo di giustizia e di pace, un tempo favorevole ai poveri e ai giusti, a quanti hanno atteso e preparato il giorno del Messia. Se Gesù è il Messia, un’attesa millenaria sta per essere colmata e “il giorno del Signore” (Am 5,18.20; Gl 1,15; 2,1.11; 3,4; 4,14, ecc.) sta per avvenire nella storia: allora il Signore regnerà veramente e definitivamente attraverso il suo Messia, dunque attraverso Gesù! Questa è la fede, questa è la speranza del credente, del discepolo di Gesù, che ha deciso di seguirlo in vista del regno di Dio.
Ma… ecco l’inedito: “a partire da quel momento” – dice il vangelo –, cioè solo dopo la proclamazione di Pietro, “Gesù cominciò (érxato) a mostrare”, a insegnare qualcosa di nuovo e di inatteso. Sì, lui è il Messia, ma per ora non bisogna proclamarlo né dirlo; e come Messia egli ora deve andare a Gerusalemme, dove lo attenderà il soffrire molte cose (pollá) da parte del potere religioso (anziani, capi dei sacerdoti e scribi), l’essere addirittura condannato come uomo nocivo alla società, come delinquente, l’essere quindi ucciso con violenza e il risorgere il terzo giorno. È un annuncio nuovo, che risuonerà altre due volte (cf. Mt 17,22-23; 20,17-19) durante il cammino verso la città che “uccide i profeti” (cf. Mt 23,37). È un annuncio certo, verso il quale Gesù si prepara e tutto predispone, sapendo che questa fine “è necessaria” (deî), non perché penda su di lui un destino crudele o un fato ineluttabile, né tanto meno perché il Padre lo voglia vittima o sacrificio.
No, è così semplicemente perché nel mondo umano, il nostro mondo, colui che appare giusto viene odiato dagli altri; chi “ama fino alla fine” (cf. Gv 13,1) viene detestato; chi fa soltanto il bene, dicendo sempre la verità, dà fastidio e dunque “merita” di essere eliminato. Come dimenticare, al riguardo, i perversi ragionamenti degli empi di fronte al giusto, narratici dal libro della Sapienza (cf. Sap 1,16-2,20), ragionamenti che sono i nostri? Davvero, noi umani abbiamo paura della giustizia, della libertà, della bellezza: preferiamo ucciderle in chi ne è portatore, piuttosto che confrontarci con esse.
Ecco la “necessitas” della passione di Gesù, una necessità intraumana, alla quale Gesù potrebbe sfuggire soltanto rinnegando giustizia, libertà e bellezza, ed essendo così uguale a noi. Guai a chi bestemmia il nostro Dio, leggendo in questa “necessitas” annunciata da Gesù la volontà del Padre, il desiderio del Padre che lui soffrisse e morisse per espiare i nostri peccati. Chi pensa o dice così, dà a Dio l’immagine di un Padre perverso, cattivo, un’immagine che è un sacrilegio! Ma questa verità è talmente inedita, difficile da portare, faticosa contemplazione (theoría: Lc 23,48), che di fronte a essa noi diciamo: “No, non è possibile!”, e come Pietro protestiamo: “Signore, questo non ti accadrà mai!”. Ci piace la fede ortodossa, siamo ossessionati e ossessionanti nel difenderla, nell’incastonarla in formule, ma quanto a viverla, no, non ce la facciamo: preferiamo diventare vigliacchi, con “il cuore diviso” (Sal 12,3). Diciamo sì a un Messia trionfatore sui nemici, no a un Messia vittima della nostra stessa cattiveria. Così facendo, quanti cristiani diventano ostacolo alla comprensione di chi è veramente Gesù… Diventano, letteralmente, Satana, avversari (come Gesù definisce, rimproverandolo, Pietro), che impediscono a se stessi e agli altri uomini e donne di vedere Gesù come nostro fratello vittima dell’ingiustizia e della violenza, e Dio come un Padre buono che lascia fare e non interviene, poiché rispetta l’uomo anche nella sua malvagità. Sì, Dio lo comprende e per questo dirà, con Gesù sulla croce: “Vi perdono perché non sapete quello che dite né quello che fate” (cf. Lc 23,34).
Confessare Gesù quale Messia è confessare – come dice l’Apostolo Paolo – un Messia crocifisso, scandalo, ostacolo per gli uomini religiosi, e follia, idea pazza per gli uomini non credenti (cf. 1Cor 1,23). È confessare “un Messia al contrario
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