don Alberto Brignoli "Costretti" da Dio a metterci in gioco"
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (10/08/2014)
Vangelo: Mt 14,22-33
Mi colpisce, nel brano di Vangelo di questa domenica, un atteggiamento di Gesù che oserei definire quantomeno inconsueto. Non siamo soliti, infatti, imbatterci in un Gesù sbrigativo e
impositivo, esigente quasi al limite dell'autoritarismo. Dice l'inizio del brano di oggi che Gesù, dopo che la folla si era sfamata con i cinque pani e i due pesci tra di loro condivisi, si diresse ai discepoli "costringendoli subito a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva" del lago di Galilea. Questo, "finché egli non avesse congedato la folla". Che poi in realtà non fu così, perché una volta congedata la folla, si ritirò solo sul monte a pregare e ci rimase buona parte della notte. Mi sono chiesto il perché: che bisogno c'era di costringere i discepoli a salire in fretta sulla barca e a precederlo sull'altra sponda del lago, se poi lui si è attardato tanto nel pregare da solo sul monte, senza nemmeno preoccuparsi di come poter giungere dall'altra parte? Di certo, il motivo di una fretta imposta in maniera così tassativa non doveva essere quello di raggiungere presto l'altra riva (stando a questo brano, tra l'altro, nemmeno ci arrivano, dall'altro lato...). Come mai, allora, Gesù aveva fretta che i discepoli salissero sulla barca e si mettessero a navigare? Voglia di stare un po' da solo? Può darsi. Desiderio intenso di stare in dialogo con Dio suo Padre? Quasi certamente sì. Ma per fare questo, non c'era certo bisogno di "costringere" i discepoli ad andarsene di fretta. Anche perché - e lo sviluppo della narrazione lo conferma - stava arrivando il maltempo, e mettersi in acqua con il vento contrario non era la cosa più saggia: non bisognava certo insegnare queste cose a dei vecchi lupi di mare come Pietro e compagni...
E forse questo è un particolare che ci aiuta a comprendere l'indisponibilità da parte dei discepoli a salire in barca e la conseguente "costrizione" da parte di Gesù. Se poi confrontiamo la narrazione del miracolo dei pani e dei pesci di Matteo con il testo parallelo del capitolo 6 di Giovanni, ci accorgiamo che la fretta di Gesù nel congedare i discepoli e scappare dalla folla era dettata dal loro tentativo di farlo re per il prodigio che aveva compiuto: lungi dall'accettare questo, si spiega il perché di voler rimanere da solo in fretta e furia. Quasi a dire ai discepoli: "Poche storie, salite in barca, anche se il tempo non è il massimo, e invece di pensare a cose trionfalistiche e a facili successi, fatevi trovare pronti dall'altra parte del lago, per ricominciare la nostra missione", tra l'altro in territorio pagano. E che il maltempo abbia reso davvero difficile la navigazione non stentiamo a crederlo: per attraversare il Lago di Galilea (15 chilometri, nel punto più largo) non era necessaria una notte intera, e se Gesù si presenta a loro in mezzo alle acque "sul finire della notte", mentre essi stavano navigando già dalla sera precedente, beh...allora vuole proprio dire che era quasi impossibile navigare. E questo, fa capire come mai i discepoli in barca non volessero proprio andarci, avendo tra l'altro dinanzi una prospettiva migliore di quella della missione permanente: potevano benissimo lasciarsi trascinare da un'altra onda, quella del successo di Gesù, aiutarlo ad autoproclamarsi re, risolvendo definitivamente i loro problemi, soprattutto quello del cibo. Gesù, quindi, ci ha visto chiaro: per questo - e non si potrebbe usare termine più azzeccato - "imbarca" i suoi discepoli perché raggiungano l'altra riva.
Certo, un Dio che in un istante ti risolve i problemi della vita fa gola un po' a tutti, non solo ai suoi discepoli di allora... Chi di noi non metterebbe la firma in calce ad un rapporto con Dio fatto di richieste e risposte, di bisogni e soluzioni, di necessità e soddisfazioni? Sto male? Tranquillo: chiedo aiuto a Dio, e lui mi guarisce. Ho fame? Tranquillo: chiedo aiuto a Dio e lui mi sfama. Sono senza casa o senza lavoro? Ci pensa Dio: basta chiedere, e lui risponde. Che bello se fosse così, vero? E invece non è così: perché Dio non è un distributore automatico di grazie. Il Dio di Gesù Cristo si fa uomo, è persona, e vuole con l'uomo un rapporto personale, fatto di condivisione di tutto ciò che è umano. Con lui si condividono cinque pani e due pesci per più di cinquemila persone, però si devono condividere anche la notte e la tempesta sulla barca. Sì, perché sarebbe bello poter navigare sempre alla luce del sole e in acque tranquille, ma non è così: spesso, anzi il più delle volte, nel mare della vita occorre navigare al buio e con le acque agitate. E per di più, proprio quando hai bisogno di Dio, lui non c'è, perché ha bisogno di stare da solo, in disparte da tutto e da tutti, lontano anche dalla tua vita e dalle vicende poco liete dell'umanità. "Se Dio fosse qui ad aiutarmi!": quante volte la pensiamo in questo modo! E quante volte, con questi pensieri, ci facciamo un'immagine ideale di Dio come colui che risolve tutti i nostri problemi.
Un'immagine: perché questo è un "fantasma", un'immagine e null'altro. Una proiezione delle nostre paure e del desiderio che svaniscano: mentre in realtà quest'immagine può divenire un incubo che fa gridare terrorizzati. Sì...anche Dio può divenire un incubo, quando lo invochi come prestigiatore dalla bacchetta magica e poi invece te lo ritrovi così lontano e così tremendamente vicino, uomo come te. "Uomo come te" non significa, però, quello che tu pensi, ossia "incapace" o "impotente" di fronte ai drammi della vita, alle tempeste, ai venti forti che sbattono la tua barchetta da una riva all'altra del lago: il Dio "fatto uomo come te" è comunque l'Onnipotente, ma per scoprirlo così, per avere la certezza che sia lui, per accettare che ti tenda la mano e ti salvi, occorre fede.
Se cerchi un Dio potente, roboante e terrificante come un terremoto, un uragano o un incendio distruttore, stai pur tranquillo che non lo troverai, perché lui si rivelerà a te con la semplicità di chi ti è vicino ogni giorno, con la dolcezza di chi ti sta a fianco, con il soave sussurro di una brezza leggera che prende il posto dei venti tempestosi del mare. Però - ed è qui il punto - bisogna fidarsi di lui. Bisogna credere che lui è potente, anche se diversamente da come ce lo immaginiamo o da come lo vorremmo. A Dio non ci si rivolge come fa Pietro: "Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque", quasi "comandando" a Dio di "comandarci". A Dio non si comanda: davanti a Dio ci si prostra e lo si adora. In una parola: Dio non si sfida, di lui ci si fida. E basta. Forse è proprio per questo che ci "costringe" a metterci in mare, anche se ci farebbe comodo stare attaccati a lui, perché ci dà da mangiare, e per di più gratis...
Rimettiamoci in viaggio, perché l'altra riva ci aspetta.
Vangelo: Mt 14,22-33
Mi colpisce, nel brano di Vangelo di questa domenica, un atteggiamento di Gesù che oserei definire quantomeno inconsueto. Non siamo soliti, infatti, imbatterci in un Gesù sbrigativo e
impositivo, esigente quasi al limite dell'autoritarismo. Dice l'inizio del brano di oggi che Gesù, dopo che la folla si era sfamata con i cinque pani e i due pesci tra di loro condivisi, si diresse ai discepoli "costringendoli subito a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva" del lago di Galilea. Questo, "finché egli non avesse congedato la folla". Che poi in realtà non fu così, perché una volta congedata la folla, si ritirò solo sul monte a pregare e ci rimase buona parte della notte. Mi sono chiesto il perché: che bisogno c'era di costringere i discepoli a salire in fretta sulla barca e a precederlo sull'altra sponda del lago, se poi lui si è attardato tanto nel pregare da solo sul monte, senza nemmeno preoccuparsi di come poter giungere dall'altra parte? Di certo, il motivo di una fretta imposta in maniera così tassativa non doveva essere quello di raggiungere presto l'altra riva (stando a questo brano, tra l'altro, nemmeno ci arrivano, dall'altro lato...). Come mai, allora, Gesù aveva fretta che i discepoli salissero sulla barca e si mettessero a navigare? Voglia di stare un po' da solo? Può darsi. Desiderio intenso di stare in dialogo con Dio suo Padre? Quasi certamente sì. Ma per fare questo, non c'era certo bisogno di "costringere" i discepoli ad andarsene di fretta. Anche perché - e lo sviluppo della narrazione lo conferma - stava arrivando il maltempo, e mettersi in acqua con il vento contrario non era la cosa più saggia: non bisognava certo insegnare queste cose a dei vecchi lupi di mare come Pietro e compagni...
E forse questo è un particolare che ci aiuta a comprendere l'indisponibilità da parte dei discepoli a salire in barca e la conseguente "costrizione" da parte di Gesù. Se poi confrontiamo la narrazione del miracolo dei pani e dei pesci di Matteo con il testo parallelo del capitolo 6 di Giovanni, ci accorgiamo che la fretta di Gesù nel congedare i discepoli e scappare dalla folla era dettata dal loro tentativo di farlo re per il prodigio che aveva compiuto: lungi dall'accettare questo, si spiega il perché di voler rimanere da solo in fretta e furia. Quasi a dire ai discepoli: "Poche storie, salite in barca, anche se il tempo non è il massimo, e invece di pensare a cose trionfalistiche e a facili successi, fatevi trovare pronti dall'altra parte del lago, per ricominciare la nostra missione", tra l'altro in territorio pagano. E che il maltempo abbia reso davvero difficile la navigazione non stentiamo a crederlo: per attraversare il Lago di Galilea (15 chilometri, nel punto più largo) non era necessaria una notte intera, e se Gesù si presenta a loro in mezzo alle acque "sul finire della notte", mentre essi stavano navigando già dalla sera precedente, beh...allora vuole proprio dire che era quasi impossibile navigare. E questo, fa capire come mai i discepoli in barca non volessero proprio andarci, avendo tra l'altro dinanzi una prospettiva migliore di quella della missione permanente: potevano benissimo lasciarsi trascinare da un'altra onda, quella del successo di Gesù, aiutarlo ad autoproclamarsi re, risolvendo definitivamente i loro problemi, soprattutto quello del cibo. Gesù, quindi, ci ha visto chiaro: per questo - e non si potrebbe usare termine più azzeccato - "imbarca" i suoi discepoli perché raggiungano l'altra riva.
Certo, un Dio che in un istante ti risolve i problemi della vita fa gola un po' a tutti, non solo ai suoi discepoli di allora... Chi di noi non metterebbe la firma in calce ad un rapporto con Dio fatto di richieste e risposte, di bisogni e soluzioni, di necessità e soddisfazioni? Sto male? Tranquillo: chiedo aiuto a Dio, e lui mi guarisce. Ho fame? Tranquillo: chiedo aiuto a Dio e lui mi sfama. Sono senza casa o senza lavoro? Ci pensa Dio: basta chiedere, e lui risponde. Che bello se fosse così, vero? E invece non è così: perché Dio non è un distributore automatico di grazie. Il Dio di Gesù Cristo si fa uomo, è persona, e vuole con l'uomo un rapporto personale, fatto di condivisione di tutto ciò che è umano. Con lui si condividono cinque pani e due pesci per più di cinquemila persone, però si devono condividere anche la notte e la tempesta sulla barca. Sì, perché sarebbe bello poter navigare sempre alla luce del sole e in acque tranquille, ma non è così: spesso, anzi il più delle volte, nel mare della vita occorre navigare al buio e con le acque agitate. E per di più, proprio quando hai bisogno di Dio, lui non c'è, perché ha bisogno di stare da solo, in disparte da tutto e da tutti, lontano anche dalla tua vita e dalle vicende poco liete dell'umanità. "Se Dio fosse qui ad aiutarmi!": quante volte la pensiamo in questo modo! E quante volte, con questi pensieri, ci facciamo un'immagine ideale di Dio come colui che risolve tutti i nostri problemi.
Un'immagine: perché questo è un "fantasma", un'immagine e null'altro. Una proiezione delle nostre paure e del desiderio che svaniscano: mentre in realtà quest'immagine può divenire un incubo che fa gridare terrorizzati. Sì...anche Dio può divenire un incubo, quando lo invochi come prestigiatore dalla bacchetta magica e poi invece te lo ritrovi così lontano e così tremendamente vicino, uomo come te. "Uomo come te" non significa, però, quello che tu pensi, ossia "incapace" o "impotente" di fronte ai drammi della vita, alle tempeste, ai venti forti che sbattono la tua barchetta da una riva all'altra del lago: il Dio "fatto uomo come te" è comunque l'Onnipotente, ma per scoprirlo così, per avere la certezza che sia lui, per accettare che ti tenda la mano e ti salvi, occorre fede.
Se cerchi un Dio potente, roboante e terrificante come un terremoto, un uragano o un incendio distruttore, stai pur tranquillo che non lo troverai, perché lui si rivelerà a te con la semplicità di chi ti è vicino ogni giorno, con la dolcezza di chi ti sta a fianco, con il soave sussurro di una brezza leggera che prende il posto dei venti tempestosi del mare. Però - ed è qui il punto - bisogna fidarsi di lui. Bisogna credere che lui è potente, anche se diversamente da come ce lo immaginiamo o da come lo vorremmo. A Dio non ci si rivolge come fa Pietro: "Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque", quasi "comandando" a Dio di "comandarci". A Dio non si comanda: davanti a Dio ci si prostra e lo si adora. In una parola: Dio non si sfida, di lui ci si fida. E basta. Forse è proprio per questo che ci "costringe" a metterci in mare, anche se ci farebbe comodo stare attaccati a lui, perché ci dà da mangiare, e per di più gratis...
Rimettiamoci in viaggio, perché l'altra riva ci aspetta.
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