don Alberto Brignoli "Nè carne, né sangue"

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (24/08/2014)
Vangelo: Mt 16,13-20
Per noi cristiani cattolici, ancora più per noi che viviamo una certa familiarità con la Chiesa di Roma, l'iconografia di due chiavi antiche, da portone, incrociate tra loro, con una certa immediatezza ci rimanda alla figura del Sommo Pontefice, al Papa e a tutto ciò che con il Papa ha a che vedere. A volte lo consideriamo da un punto di vista spirituale,
teologico e pastorale (ovvero nella sua funzione di guida e di servizio all'unità all'interno della Chiesa, oppure nella sua dimensione dottrinale); a volte, prevale una lettura "politica" della figura del Vescovo di Roma, visto come Capo della Chiesa, come Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, sperando sempre che (a differenza di quanto avveniva in secoli passati) questa dimensione politica sia il più possibile lontana da tutti quei giochi di potere che, in alcuni casi anche esagerando un po', si ritiene siano presenti nell'entourage della Santa Sede come in quello di ogni corte regale.
C'è da dire che l'avvento al soglio pontificio di Papa Francesco, nel marzo dello scorso anno, ha contribuito - e non poco - a far crollare questa visione un po' "cortigiana" e principesca della Sede Apostolica, riportando il papato alla sua dimensione originaria più vera, ossia quella di umile servizio alla causa del Regno e al bene dell'umanità, sfruttando l'inevitabile centralità attribuita da secoli al Vescovo di Roma per dare alla Chiesa Universale una dimensione più umana, più capace di contatto con la gente e con i suoi problemi, più consona all'ascolto che all'insegnamento, alla ricerca del bene comune che alla dottrina proclamata "ex cathedra", più attenta al dovere che al potere, nel rapporto con le coscienze. Parafrasando quanto abbiamo ascoltato nel brano di Vangelo, potremmo dire - in maniera riduttiva ma efficacemente comprensibile -che abbiamo distolto l'attenzione dal "Tu sei Pietro" e l'abbiamo rivolta al "né la carne né il sangue te l'hanno rivelato".
Sì, perché ritenere la figura del Sommo Pontefice come una sorta di sacralizzazione della figura di Pietro, ossia di un uomo come molti altri, e forse peccatore più di altri apostoli nonostante il primato a lui affidato, credo non corrisponda a quanto il Maestro ha voluto significare quando ha dato allo stesso Pietro "le chiavi del Regno dei Cieli". Se il Papa è il Papa, non lo deve certo alla sublimazione della propria umanità, quasi fosse un "superuomo" con poteri sovraterreni e sovrumani dovuti a una particolare azione dello Spirito: "Né la carne né il sangue", infatti, sono alla base dell'importanza della figura del Vescovo di Roma all'interno della Chiesa e del mondo in generale. Come, allora, anche sulla scorta di quanto ascoltato, siamo chiamati a considerare e ritenere, all'interno della comunità dei credenti in Cristo, la figura del Papa?
Credo di non sminuire per nulla l'importanza del Sommo Pontefice, se dico che il primato di Pietro e dei suoi successori lungo i secoli appartiene a Dio, ed è lui che lo ha affidato a Pietro prima, e a chi lo ha seguito poi: "A te darò le chiavi del Regno dei Cieli". È Cristo, quindi, che guida la Chiesa, e ne affida la cura a chi, al suo interno, deve essere innanzitutto un segno di unità. Sappiamo bene come, all'interno della comunità dei cristiani, non tutti accettino il primato del Vescovo di Roma sull'insieme del Collegio Episcopale: eppure, se c'è qualcosa che tutti i fratelli cristiani di altre confessioni, così come i credenti appartenenti ad altre fedi, riconoscono al Papa, è proprio l'elemento di unità che la sua figura crea all'interno della Chiesa, cosa molto rara in altre espressioni religiose. E da questo elemento di unità ne scaturisce una dimensione particolare, carismatica, che - al di là del carattere o della dimensione umana più o meno affabile del Vescovo di Roma in funzione in quel determinato periodo storico - è riconosciuta universalmente anche da chi non professa alcuna fede o addirittura è ostile al cristianesimo o a qualsiasi altra espressione religiosa e spirituale. Non scopriamo l'acqua calda se diciamo che il Papa, e con lui l'apparato che ne accompagna il lavoro quotidiano, ha sempre svolto, e continua a svolgere all'interno della società civile mondiale, un'importante funzione diplomatica, una funzione di riconciliazione dei conflitti, una funzione di facilitazione del dialogo e di ricerca della pace che non vengono certo dal buon cuore del Pontefice di turno, ma da quel "primato del servizio" che la comunità internazionale da tempo gli riconosce.
Certo, a questo contribuisce molto l'immagine che il Vescovo di Roma dà di sé nei confronti del mondo intero. Certe prese di posizione forti, spesso necessarie, assunte dalla Santa Sede attraverso i suoi Dicasteri in materia di dottrina e di morale, a volte hanno creato in noi cristiani difficoltà di accettazione, malumori, e magari anche una certa presa di distanza dal papato, ritenuto eccessivamente duro nelle determinazioni; ma nessuno di noi riesce a togliere dalla propria mente le immagini in cui i vari Papi che si sono succeduti e che hanno incrociato l'arco della nostra storia terrena, hanno mostrato il volto amoroso, accogliente e misericordioso del pastore. Dalla "carezza ai bambini" con cui Giovanni XXIII apre il Concilio Vaticano II, alla presenza dell'austero Pio XII in mezzo agli abitanti del bombardato quartiere del Verano nel 1943; dal sorriso breve e sincero di Giovanni Paolo I ai molti bimbi portati in braccio da Papa Wojtyla, fino agli abbracci commoventi di Francesco ai disabili e ai malati: sono gesti che rafforzano fede, speranza e carità in ogni uomo e in ogni donna più di tante encicliche ed affermazioni "ex cathedra".
Quest'atteggiamento con cui il Papa ha la possibilità di riflettere sugli uomini il volto misericordioso di Dio viene (come papa Francesco ha sottolineato più di una volta) dalla presa di coscienza della propria limitatezza umana e della propria condizione di peccatore, come ogni uomo: il Vangelo di domenica prossima, in cui Pietro insignito da poco del primato, viene definito "satana", cioè avversario, e rispedito dal Maestro "dietro di sé", come suo discepolo, avrà molto da insegnarci in questo senso. Discepolo, ancor prima che maestro e guida; in questo modo il Papa continuerà a essere nella Chiesa ciò che uno dei molti titoli che egli porta con sé dice in maniera eloquente: il "servo dei servi di Dio".
Il resto, soprattutto gli orpelli medievali che lungo la storia sono inevitabilmente rimasti attaccati al papato, non conta nulla. Anzi, per dirla sempre con Papa Francesco, "la corte è la lebbra del papato". Perché se la corte del Maestro era formata da un gruppo di dodici umili pescatori, falegnami e contadini, e se il suo trono era la Croce, le conclusioni che se ne traggono sono immediate e facili da comprendere.

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