don Luca Garbinetto " Chi sono io?"
XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (24/08/2014)
Vangelo: Mt 16,13-20
Probabilmente si inizia a vivere la vita davvero solo il giorno in cui si lascia sgorgare dal profondo del proprio cuore una domanda cruciale: chi sono io? È una domanda che porta con sé tanti altri interrogativi, un corollario di dubbi e paure, un miscuglio di aspettative e di speranze, una miriade di timori e di inquietudini. Porta con sé la ricerca del senso dell'esistenza, ma anche le tracce di ferite e fallimenti, di delusioni e cadute che forse hanno scalfito il naturale ottimismo dell'infanzia. Ci sono esperienze dolorose e incontri decisivi che fanno emergere la questione decisiva del nostro essere al mondo. Cosa ci sto a fare? Perché qui e non
altrove? Come mai questi doni e questi limiti? E perché la mia sofferenza e i segni che bruciano nella carne e nell'anima?
Gesù, ‘il Figlio dell'uomo' e quindi uomo davvero, non è stato esente da questa ricerca e ha percepito la stessa domanda venire a galla come motore del suo cammino nel mondo. Forse l'aveva già intuita fortemente quando, dodicenne, si era fermato inquieto a chiedere qualche spiegazione ai dottori del tempio. Si comincia così: si chiede di questo, di quello, si scava sui dubbi religiosi, si indaga sull'uomo in generale e su Dio... per arrivare a un certo punto a dirsi a voce alta la vera domanda: e io, chi sono?
A questa domanda si risponde nell'intimo del proprio animo. Ma non si risponde mai da soli. E forse sta tutta qui la Buona Notizia del Vangelo di oggi. La risposta a questa domanda esiste, ma è una risposta relazionale. La si trova insieme, la si trova in due: mai da soli.
Scopriamo perché, scopriamo come.
Gesù interpella i suoi: non per quel senso di insicurezza che noi portiamo dentro fin a età avanzata, che ci fa cercare nella risposta altrui un certo qual senso di appartenenza. Non è l'altro che mi dice chi sono; l'altro mi aiuta a scoprirlo. Ma per questo sono necessari la libertà e il coraggio di mettersi in gioco e di non dare nulla per scontato. Gesù ha già cercato tanto: dentro di sé, con l'arte della custodia del cuore appresa da mamma Maria. Egli ha ascoltato, osservato, toccato, accolto ed ha visto così prendere forma il suo essere figlio di madre e Figlio del Padre. La propria umanità si è svelata ai suoi occhi nelle relazioni famigliari e amicali, nel lavoro domestico e di carpentiere, nella frequentazione delle tradizioni culturali e religiose del suo popolo. La propria divinità gli viene ora riconosciuta da Simon Pietro, su ispirazione di Colui che a Gesù ha manifestato volto a volto - nella preghiera - il dono di essere suo Padre.
Ciò che fa vibrare di commozione Gesù e che impregna della ‘profondità della ricchezze e della sapienza' (Rm 11, 33) il dialogo intrapreso con i suoi discepoli è l'assimilazione della propria identità di Figlio. Figlio dell'uomo e Figlio di Dio. Ma soprattutto Figlio. In relazione, dunque, con qualcuno. Quindi non autosufficiente, non autoreferenziale, non isolato, non solo. Gesù è un uomo in relazione, è Dio in relazione. L'identità, allora, si manifesta non come una sostanza astratta e vaga che definisce nominalmente una materia - quella del corpo e, forse, della mente - altrimenti inaccessibile. L'identità non è un concetto psicologico per esprimere una indefinita natura soggettiva, in effetti poco consistente e totalmente autogestita.
In Gesù - e quindi anche in noi - l'identità è relazione: nasce e vive in relazione, si forma e cresce in relazione, si definisce soltanto a partire e dentro una relazione. Ed è la relazione di figliolanza. Detto in parole semplici: c'è qualcuno che chiama Gesù per nome, e Gesù diviene se stesso rispondendo a quella voce che chiama. C'è una mamma che chiama un figlio per nome, e nell'esperienza di questo riconoscimento scaturisce l'amore, che da identità alla persona. Gesù è il figlio dell'uomo amato da mamma Maria e papà Giuseppe. E c'è un Dio che chiama un Figlio per nome, da sempre e per sempre. E Gesù, rispondendo, diviene colui che è, ‘il Figlio del Dio vivente'.
Ecco perché il nome più opportuno dell'identità è vocazione. Perché Gesù è il dialogo con chi lo chiama. E più è primigenia la chiamata, più profonda è l'identità, perché eterna è la vocazione. Da sempre e per sempre.
Così anche Simon Pietro. Solo chi è in relazione con il Dio vivente può riconoscere la presenza di suo Figlio accanto a lui. Poiché Simon Pietro si sta scoprendo figlio, con i suoi alti e i suoi bassi, un raggio della sapienza del Padre lo può illuminare e gli rivela - quasi in un sussulto di affinità di Spirito - la presenza del Fratello maggiore accanto a lui.
E così il Fratello maggiore ricorda a Simone la sua figliolanza umana - ‘figlio di Giona' - per chiamarlo a percepire più profondamente la vitale figliolanza divina. Gli cambia il nome, segno della vocazione, cioè dell'autentica identità di figlio amato da sempre e per sempre.
Come Simon Pietro, siamo anche noi. Alla ricerca della risposta alla grande domanda, ‘chi sono io?', troviamo un cammino da percorrere per scoprirne la lettera. È il nostro cammino vocazionale, la nostra relazione vitale. Entrare in dialogo con Dio significa in fondo riscoprire il nostro dialogo con i nostri genitori e la nostra storia, che piano piano, rivelata e purificata, ci manifesta ciò che siamo davvero: figli nel Figlio!
Solo chi ha fatto esperienza di questa ‘insondabile' riconciliazione con la propria verità può divenire ponte di relazione, tramite vocazionale per gli altri uomini. E mette in comunicazione la terra e il cielo, in quanto consapevole ed esistenzialmente autentico uomo di relazione. Si sciolgono i nodi, si costruiscono legami, si vincono le insidie del ‘divisore' - il diavolo - nella misura in cui ci si immerge fiduciosi in questa relazione originale che, nel donarci la bellezza di un Dio che è Padre, ci svela la meraviglia del nostro essere figli. Questa è l'identità della Chiesa: una famiglia di fratelli che lo Spirito lega alla fonte della vita.
Vangelo: Mt 16,13-20
Probabilmente si inizia a vivere la vita davvero solo il giorno in cui si lascia sgorgare dal profondo del proprio cuore una domanda cruciale: chi sono io? È una domanda che porta con sé tanti altri interrogativi, un corollario di dubbi e paure, un miscuglio di aspettative e di speranze, una miriade di timori e di inquietudini. Porta con sé la ricerca del senso dell'esistenza, ma anche le tracce di ferite e fallimenti, di delusioni e cadute che forse hanno scalfito il naturale ottimismo dell'infanzia. Ci sono esperienze dolorose e incontri decisivi che fanno emergere la questione decisiva del nostro essere al mondo. Cosa ci sto a fare? Perché qui e non
altrove? Come mai questi doni e questi limiti? E perché la mia sofferenza e i segni che bruciano nella carne e nell'anima?
Gesù, ‘il Figlio dell'uomo' e quindi uomo davvero, non è stato esente da questa ricerca e ha percepito la stessa domanda venire a galla come motore del suo cammino nel mondo. Forse l'aveva già intuita fortemente quando, dodicenne, si era fermato inquieto a chiedere qualche spiegazione ai dottori del tempio. Si comincia così: si chiede di questo, di quello, si scava sui dubbi religiosi, si indaga sull'uomo in generale e su Dio... per arrivare a un certo punto a dirsi a voce alta la vera domanda: e io, chi sono?
A questa domanda si risponde nell'intimo del proprio animo. Ma non si risponde mai da soli. E forse sta tutta qui la Buona Notizia del Vangelo di oggi. La risposta a questa domanda esiste, ma è una risposta relazionale. La si trova insieme, la si trova in due: mai da soli.
Scopriamo perché, scopriamo come.
Gesù interpella i suoi: non per quel senso di insicurezza che noi portiamo dentro fin a età avanzata, che ci fa cercare nella risposta altrui un certo qual senso di appartenenza. Non è l'altro che mi dice chi sono; l'altro mi aiuta a scoprirlo. Ma per questo sono necessari la libertà e il coraggio di mettersi in gioco e di non dare nulla per scontato. Gesù ha già cercato tanto: dentro di sé, con l'arte della custodia del cuore appresa da mamma Maria. Egli ha ascoltato, osservato, toccato, accolto ed ha visto così prendere forma il suo essere figlio di madre e Figlio del Padre. La propria umanità si è svelata ai suoi occhi nelle relazioni famigliari e amicali, nel lavoro domestico e di carpentiere, nella frequentazione delle tradizioni culturali e religiose del suo popolo. La propria divinità gli viene ora riconosciuta da Simon Pietro, su ispirazione di Colui che a Gesù ha manifestato volto a volto - nella preghiera - il dono di essere suo Padre.
Ciò che fa vibrare di commozione Gesù e che impregna della ‘profondità della ricchezze e della sapienza' (Rm 11, 33) il dialogo intrapreso con i suoi discepoli è l'assimilazione della propria identità di Figlio. Figlio dell'uomo e Figlio di Dio. Ma soprattutto Figlio. In relazione, dunque, con qualcuno. Quindi non autosufficiente, non autoreferenziale, non isolato, non solo. Gesù è un uomo in relazione, è Dio in relazione. L'identità, allora, si manifesta non come una sostanza astratta e vaga che definisce nominalmente una materia - quella del corpo e, forse, della mente - altrimenti inaccessibile. L'identità non è un concetto psicologico per esprimere una indefinita natura soggettiva, in effetti poco consistente e totalmente autogestita.
In Gesù - e quindi anche in noi - l'identità è relazione: nasce e vive in relazione, si forma e cresce in relazione, si definisce soltanto a partire e dentro una relazione. Ed è la relazione di figliolanza. Detto in parole semplici: c'è qualcuno che chiama Gesù per nome, e Gesù diviene se stesso rispondendo a quella voce che chiama. C'è una mamma che chiama un figlio per nome, e nell'esperienza di questo riconoscimento scaturisce l'amore, che da identità alla persona. Gesù è il figlio dell'uomo amato da mamma Maria e papà Giuseppe. E c'è un Dio che chiama un Figlio per nome, da sempre e per sempre. E Gesù, rispondendo, diviene colui che è, ‘il Figlio del Dio vivente'.
Ecco perché il nome più opportuno dell'identità è vocazione. Perché Gesù è il dialogo con chi lo chiama. E più è primigenia la chiamata, più profonda è l'identità, perché eterna è la vocazione. Da sempre e per sempre.
Così anche Simon Pietro. Solo chi è in relazione con il Dio vivente può riconoscere la presenza di suo Figlio accanto a lui. Poiché Simon Pietro si sta scoprendo figlio, con i suoi alti e i suoi bassi, un raggio della sapienza del Padre lo può illuminare e gli rivela - quasi in un sussulto di affinità di Spirito - la presenza del Fratello maggiore accanto a lui.
E così il Fratello maggiore ricorda a Simone la sua figliolanza umana - ‘figlio di Giona' - per chiamarlo a percepire più profondamente la vitale figliolanza divina. Gli cambia il nome, segno della vocazione, cioè dell'autentica identità di figlio amato da sempre e per sempre.
Come Simon Pietro, siamo anche noi. Alla ricerca della risposta alla grande domanda, ‘chi sono io?', troviamo un cammino da percorrere per scoprirne la lettera. È il nostro cammino vocazionale, la nostra relazione vitale. Entrare in dialogo con Dio significa in fondo riscoprire il nostro dialogo con i nostri genitori e la nostra storia, che piano piano, rivelata e purificata, ci manifesta ciò che siamo davvero: figli nel Figlio!
Solo chi ha fatto esperienza di questa ‘insondabile' riconciliazione con la propria verità può divenire ponte di relazione, tramite vocazionale per gli altri uomini. E mette in comunicazione la terra e il cielo, in quanto consapevole ed esistenzialmente autentico uomo di relazione. Si sciolgono i nodi, si costruiscono legami, si vincono le insidie del ‘divisore' - il diavolo - nella misura in cui ci si immerge fiduciosi in questa relazione originale che, nel donarci la bellezza di un Dio che è Padre, ci svela la meraviglia del nostro essere figli. Questa è l'identità della Chiesa: una famiglia di fratelli che lo Spirito lega alla fonte della vita.
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