don Luciano Cantini " Rivoluzione d'amore"

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (31/08/2014)
Vangelo: Mt 16,21-27
Doveva andare
Gesù "spiega" (mostrare) ai suoi discepoli che "doveva" (era necessario per lui) andare a Gerusalemme e "soffrire" (patire): e in Matteo il primo annuncio della passione. Dopo la professione di fede di Pietro, Gesù affronta un argomento assai delicato, totalmente nuovo, fortemente in
controtendenza rispetto alla comune comprensione delle parole di fede di Simone e all'immaginario d'Israele. Matteo usa il termine mostrare /dimostrare che va oltre l'uso di parole per spiegare, un impegno da parte del Signore per far capire la volontà del Padre, ben espresso con era necessario per lui; non sarà un accadimento o una fatalità che travolgerà la vita di Gesù ma una necessità, una scelta precisa in quanto Messia, l'unto, il consacrato da Dio per la salvezza dell'uomo.
La prima, assoluta, sconvolgente novità è che il Messia dovrà patire; il mistero della incarnazione non si ferma all'evento storico di Dio che si fa "carne" ma entra in profondità nel mistero dell'uomo che diventa sempre più incomprensibile più è avvolto dalla sofferenza. Così come è incomprensibile la sofferenza dell'uomo a maggior ragione lo è la passione di Dio stesso.
Venire ucciso e risorgere il terzo giorno
L'annuncio della passione è accompagnato dall'annuncio pasquale. Se noi, con il senno di poi, a duemila anni di distanza riusciamo a malapena a intuire, immaginiamoci i poveri discepoli di fronte ad una realtà non ancora vissuta. Per noi che viviamo nel tempo (Kronos) immaginare la morte, se pur terribile, a cui segue a distanza di tre giorni la resurrezione, per di più conosciuta in anticipo, crea confusione mentale e una semplificazione che ne altera il significato e la profondità dell'esperienza: sembra una morte minore, attutita dalla resurrezione, una morte su cui la potenza divina ha il sopravvento. Gesù, invece sta annunciando qualcosa di rivoluzionario per l'uomo e il suo cuore.
Con Gesù la morte non è l'inesorabile epilogo della vita, ma l'apice della vita stessa, il punto più alto dell'esistenza umana, il supremo dono d'amore, perché la morte è il grembo della vita.
Le doglie del parto, espressione somma dell'amore materno, ne sono il paradigma.
La sofferenza è parte vitale della storia umana, ma anche una verità fondamentale per Dio, infatti ha scelto proprio la via del dolore per parlare al cuore dell'uomo. Con un linguaggio diverso, forse più energico, Dio sarebbe rimasto incomprensibile, lontano dall'uomo. Eppure è l'uomo che sembra cercare questa distanza, ha timore di accogliere la sofferenza di Dio, come ne ha della propria; preferisce un Dio onnipotente ricco di maestà e di splendore (Sal 104,1). In questa ottica tutta umana possiamo capire la reazione di Simone, ma anche il rimprovero del Signore che arriva a chiamare Pietro con l'appellativo di satana. A Pietro indica di stare al suo posto, dietro di lui, come conviene ad un discepolo che segue il maestro.
Se qualcuno vuole venire dietro a me
Sono incantevoli le scene in cui nel vangelo è descritto Gesù che insegna, nelle sinagoghe (Mt 13,54) o dall'alto della montagna (Mt 5,1-2) o seduto da una barca (Mt 13,2), con la folla seduta che ascolta. Il discepolo però non è colui che ascolta e impara una dottrina, se pur insegnata con autorità (Mt 7,29), piuttosto colui che cammina dietro il Maestro e condivide i suoi passi, quelli che portano a Gerusalemme, al dono supremo dell'amore. Camminando dietro il Maestro siamo costretti a modificare l'immagine di Dio che portiamo con noi - in altre parole rinnegare se stessi - ed orientarci verso la Croce di Cristo. La croce ci libera da ogni dubbio sull'amore di Dio per l'uomo, davanti ai nostri occhi non c'è una immagine di Dio artefatta da tradizioni e culture, né la manifestazione della potenza da ammirare (o da averne paura), neppure di grandezza da adorare quanto la schietta manifestazione d'Amore da abbracciare.
La propria vita
Dio non addossa croci a nessuno, chiede però a ciascuno di "prendere" la propria croce. Gesù non parla del calvario come meta ultima, non chiede di morire con lui, ma di camminare insieme a lui carichi della infamia della croce. Nel mistero della incarnazione Cristo si è calato nell'umanità fino ad essere trattato da malfattore, così è per i discepoli che camminando dietro di lui mettono a rischio la loro reputazione. I discepoli di Cristo sono coloro che per amore si sporcano le mani nella storia degli uomini, con gli ultimi e gli esclusi dell'umanità, non hanno paura di perdere la loro vita.
I cristiani non sono esenti dall'abisso del dolore umano, ma devono prendere coscienza che la loro vita per essere salvata dev'essere spesa fino all'ultimo per amare. In un tempo come questo, di egoismo radicato, in cui si prevede che "molti saranno innamorati solo di se stessi" (J. Attali) occorre un impegno maggiore: una rivoluzione d'amore.

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