don Marco Pedron"Tu mi fai vivere!"

Vangelo: Mt 16,13-20 Siamo nel capitolo 16 di Mt. Prima di questo vangelo Gesù ha detto agli apostoli: "Fate bene attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei" (16,12). Perché questa frase?
Gli apostoli stavano con lui, avevano visto miracoli e guarigioni, avevano visto morti ritornare in vita, ciechi vederci, sordi udire; avevano visto la gente
cambiare vita. Gesù era seguito e amato. Gli apostoli avevano sentito parole che parlavano al cuore, che facevano venire "voglia di vivere", di sperimentarsi, di amare, di donarsi, di slanciarsi nella vita. Ma staccarsi dagli schemi vecchi è dura ed è difficile per tutti! I suoi discepoli sono ancora imbevuti della vecchia religione, della vecchia mentalità. Hanno fatto degli aggiustamenti alla loro vita, degli smussamenti, delle variazioni, ma sostanzialmente rimangono quelli di prima con un'opera di restyling.
Allora Gesù fa una prova per vedere cos'hanno capito di lui. La risposta è desolante. La confusione è totale: ciascuno pensa qualcosa di diverso, c'è un guazzabuglio di idee; nessuno, in ogni caso, coglie chi è Gesù.
Lo paragonano a qualcun altro. Sono bei paragoni, ma Gesù non è "come" qualcun altro. Gesù è Gesù, e soprattutto Gesù è completamente diverso da tutti e da tutti quelli venuti prima. Gli apostoli non vedono Gesù per quello che è; lo vedono secondo i loro "vecchi schemi": assomiglia a Geremia, ad Elia, al Battista. E' un po' come quando ti dicono: "Ah! Tu sei il figlio di...". "No, io sono Marco; io ho il mio nome". Oppure per farti un complimento ti dicono: "Sei come tuo padre! Sei uguale a tua madre! Sei della stessa pasta buona dei Rossi (es. di cognome); sei proprio un prete". Io sono io. Ma chi vedi?
Per qualcuno è un profeta, magari Geremia. Ma Gesù non è un altro profeta: Gesù è il figlio di Dio. Ma questo loro non lo avevano capito. Dicevano: "Sei veramente un grande, Gesù. Sei un profeta grande".
I profeti erano quelli, che quando Israele perdeva la strada, lo richiamavano all'ordine: "Se non vi convertite, la punizione di Dio non si farà attendere". Ma Gesù non era così, era totalmente diverso.
Per altri è addirittura come Giovanni il Battista: il Battista era stato un grande moralizzatore. Aveva detto: "Fate opere di misericordia, convertitevi, cambiate vita e fattevi battezzare finché siete in tempo, perché fra poco verrà il Messia". Ma Gesù non ha mai costretto, né imposto, né ricattato qualcuno. La sua è una proposta: chi vuole la segue. La si segue perché ne si sente la bellezza, la forza, la vitalità che trasmette, la fiducia che infonde, la larghezza che trasuda. Nessuno è costretto!
Per altri apostoli, Gesù è ancora di più (ma rimaniamo sempre nell'Antico Testamento!): è come Elia. Elia era stato zelante e difensore di Dio. Elia annunciava un Dio severo, duro, rigido, patriarcale, che non ammetteva nient'altro che una strada, una verità, una legge.
Aveva fatto uccidere quattrocentocinquanta profeti di Baal e li aveva sgozzati uno per uno (1 Re 18,22.40). Un'altra volta aveva "bruciato" cento uomini (2 Re 1,9-12) solo per dimostrare che egli era "uomo di Dio".
Ma Gesù non è affatto come Elia. Certo, gli apostoli lo avrebbero voluto così. Avrebbero voluto un uomo forte, potente, che avesse sistemato le cose, con o senza la forza, da un punto di vista religioso o sociale. Ma Gesù non era così. Non c'è traccia di violenza o di sopruso in Gesù. Gli apostoli vedevano in Gesù quello che loro avevano in testa (un profeta, magari il migliore) ma non Gesù.
A quel tempo i profeti erano considerati quelli che richiamavano la gente su che cosa doveva fare. Il profeta diceva: "Se tu fai così, sbagli; se tu fai così, ti allontani da Dio; se tu fai così, sei in peccato; se tu fai così, fai bene; se tu non fai così, non va affatto bene; se tu non fai così, non sei in regola; ecc.".
Ma Gesù non è profeta secondo il modello del tempo. Gesù è profeta perché mostra il Padre.
L'autorità religiosa e profetica del tempo era fondata su due principi: paura ed obbedienza. Se i sacerdoti e le leggi religiose dicevano che tu "non eri in regola" c'era da aver paura. Dio più che da amare era uno da temere, da tenere buono, perché non si sa mai. Magari ti manda all'inferno!
La paura. Ma può essere felice Dio della nostra devozione solamente perché abbiamo paura? E che Dio è colui che ci punisce se sbagliamo? E come può essere amato un "Padre" così? Ma che Dio è quello che ci elargisce l'amore in nome della nostra paura? E i suoi ministri, funzionari di un Dio-Paura, come possono essere rispettati? No, dice Gesù, mio Padre non è così. Se questo è Dio, rifiutatelo! Se questi sono i suoi ministri, non ascoltateli.
Mia nonna diceva tre rosari al giorno. Se un giorno non ce la faceva, e magari ne diceva solo due, il giorno successivo doveva recuperare. Allora cercai di spiegarle che è una cosa molto buona dire tre rosari al giorno, ma che se un giorno ne dice due, Dio non si arrabbia mica. "Ho capito, grazie", mi disse. Ma continuò a dire tre rosari al giorno. Allora io gli dissi: "Ma nonna, ti ho detto che Dio non se la prende!". "Sì, lo so, ma non si sa mai! Per sicurezza...". E' difficile lasciare la paura di Dio e credere che Dio ci ami al di là di tutto, dei nostri meriti e di ciò che facciamo.
C'è un matto che si crede un pulcino. Non può uscire di casa perché ci sono i gatti e i gatti potrebbero mangiarlo. Allora fa una cura in un centro psichiatrico specializzato. Dopo tre mesi finalmente è convinto: lui non è un pulcino ma è un uomo, quindi non ha motivo di avere paura dei gatti. Torna a casa ma continua a non uscire. Il medico va a visitarlo e gli dice: "Ma lei è un uomo, non più un pulcino, giusto?!". "Giustissimo!", risponde il matto. "E perché non esce di casa?". "Perché non so se i gatti lo sanno!".
E' difficile per noi accettare che non c'è nessun motivo di temere Lui. In fondo in fondo diciamo: "E se non ce lo meritiamo? E con tutto quello che ho fatto?". In fondo c'è stato insegnato a temerlo!
L'obbedienza. Se la religione diceva una cosa, siccome la religione è la verità (ma non è vero: solo Dio è Verità), allora bisognava obbedirgli. E non si discute. Non si può essere in disaccordo. Non si possono avere pareri contrari. E se si hanno pareri contrari, si viene buttati fuori. Gesù è stato ucciso perché dissentiva.
Per cui la gente era sottomessa, messa sotto. Non veniva aiutata ad ascoltare il proprio cuore. Anzi: era pericoloso ascoltare il proprio cuore (ovviamente!) perché ascoltare il proprio cuore voleva dire sentire in maniera diversa, avere altri punti di vista, dissentire. Ma Dio non crea servitori, mai! Dio crea uomini liberi. Dio non sa che farsene di esecutori, di funzionari.
Obbedire voleva dire: "Ascolta me e segui quello che ti dico io". Così c'era uno che ti diceva cosa fare e tu come una marionetta eseguivi (e più eseguivi e più ti sentivi bravo). Così facendo si sono create delle masse, delle truppe, dei greggi, che andavano dove il capobranco decideva. Non si sono create delle persone libere, con un pensiero autonomo, libero e personale.
Alcuni criminali nazisti hanno ucciso migliaia di ebrei nei campi di concentramento. Ma non poterono essere condannati perché obbedirono al capo. Ed è vero: obbedirono! Ma, come dice don Lorenzo Milani, l'obbedienza (questa obbedienza) non è più una virtù. Perché questo è affittare il proprio cervello, è delegare agli altri un compito che spetta a me e soltanto a me. Siamo responsabili di ciò che facciamo e nessuno potrà mai dire: "Io ho obbedito!". "No, amico, il buon Dio ti ha dato un cervello e un cuore. Fai funzionare il cervello e ascolta il tuo cuore e non giustificarti". Non c'è amore senza libertà e senza ciò che nasce dal proprio cuore.
C'è una madre che dice sempre a sua figlia: "Ma perché non ti metti insieme a Carlo? Guarda: ha un bel lavoro, è un bravo ragazzo, è stimato, è buono, è benvoluto da tutti...". "Ma perché non lo amo!".
Ob-audire vuol letteralmente "ascoltare da dentro": l'obbedienza non è fare ciò che vuoi tu, ciò che tu mi comandi, ciò che dice chi sta sopra, perché questa è la schiavitù.
Ob-audire nel senso profondo vuol dire obbedire a chi ho dentro (Dio); vuol dire ascolto il mio cuore e gli rimango fedele; ascolto il Dio in me e non lo tradisco, anche se mi sarebbe più comodo fare come tutti, adattarmi, evitare conflitti e contrasti.
Gli apostoli quando guardavano Gesù lo vedevano ancora così, con le vecchie categorie: paura e sottomissione. E quando Gesù pone a loro la grande domanda: "Ma voi chi dite che io sia?" (16,15), c'è un silenzio generale. In realtà non lo sanno. In realtà non hanno ancora capito. In realtà non sanno dire che questo.
Solo Pietro ha, per un attimo, uno slancio, un'intuizione fuori dal coro: "No, tu non sei profeta, sacerdote così. Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (16,16).
In realtà Gesù era già stato riconosciuto dai discepoli come "Figlio di Dio" (14,33), è che non avevano capito cosa voleva dire "Figlio di Dio". La novità di Pietro non è che gli dice: "Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio" (titolo, definizione), ma che gli dice cosa vuol dire tutto questo: "Tu sei il Vivente, colui che fa vivere, che dà e porta alla vita" (16,17).
E poi Gesù gli dice: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (16,17). Perché sottolinea, "figlio di Giona"?
Giona è stato l'unico profeta che nell'Antico Testamento ha fatto il contrario di quello che Dio gli aveva comandato. Inviato a Ninive a predicare la conversione, lui era andato nella direzione opposta (Gn 1,3). Pietro è come Giona ("suo figlio"): testardo, andrà contro il Signore, ma alla fine si convertirà. Dopo questo brano, lo sentiremo domenica prossima, Gesù dirà a Pietro: "Lungi da me satana!" (16,23).
Ma Gesù gli dice anche: "Queste cose non si imparano dai libri o perché qualcuno ce le insegna o ce le ordina (carne e sangue). Queste cose le cogli solo se hai un cuore vivo, solo se hai un'anima che pulsa, solo se Dio può parlare liberamente dentro di te ("te l'hanno rivelato il Padre mio che è nei cieli").
Solo chi obbedisce a Dio, cioè solo chi lo lascia parlare dentro di sé lo conosce. Gli altri riportano, deducono, pensano, ma non sanno e non possono sapere. Obbedire è quindi, dar voce al Dio che parla, canta, grida, sussurra, dentro di me. Obbedire è dargli voce, dargli spazio, dargli vita; obbedire agli altri (e non a Lui) è farlo morire, lasciarlo sepolto.
E solo su questa pietra, solo su questa certezza (Lui è il Vivente!), si può costruire la chiesa. E contro questa certezza nessun potere ha potere: le porte degli inferi e il diavolo non possono nulla (16,18). Questa è la chiave della felicità, di una vita piena (16,19). Regno dei cieli, nel vangelo, non indica tanto il regno dell'al di là, ma una vita dove Dio vive e si fa vedere, si rende visibile.
La chiave della vita, allora, è far uscire, sprigionare, tutta la Vita, l'Energia, la Forza, che abbiamo dentro. Perché una vita viva è lode a Dio, una vita vissuta è canto a Colui che è la Vita. E i legami di Vita intrecciati sulla terra, rimarranno veri per sempre. La Vita liberata, sciolta dalle catene di morte, rimarrà libera per sempre (16,19).
I legami "legati", intrecciati, non si scioglieranno più. Le relazioni a volte finiscono, per tanti motivi: morte, scelte diverse, cambiamento di paese. Le relazioni finiscono ma non l'amore. A-more vuol dire non-morte (alfa privativo; mos, mortis).
Se è stato amore, nell'amore, saremo uniti per sempre. Anzi di là non ci sarà niente se non che la forza d'attrazione dell'amore. Allora: non temere di lasciar andare le persone per la loro strada. Perché nell'amore si rimane uniti.
Una donna ha accompagnato alla morte suo padre (cinquantacinque anni). Prima di spegnersi gli ha detto: "Papà, puoi andare; papà, lasciati andare perché vai al sicuro. Non ti preoccupare saremo sempre uniti. Ci distacchiamo ma il nostro amore rimane. Tu hai sempre il tuo posto nel mio cuore". Il papà l'ha guardata per un attimo e poi si è spento.
La vita "sciolta", slegata, rimarrà libera per sempre. L'al di là non sarà che la continuazione dell'al di qua.
Un uomo non si spiegava perché si sentisse sempre in colpa di vivere; prima venivano sempre gli altri, sembrava che lui non avesse diritto di vivere. Poi ha scoperto il perché: sua madre, prima di lui, aveva avuto un aborto naturale (al quinto mese) e non aveva fatto il lutto. Così lui, nato un anno dopo, era il sostituto del figlio non nato prima: "Sono vivo perché lui è morto; devo la mia vita a chi non c'è; devo, sono in dovere verso chi si è sacrificato per me". Così ha riconosciuto e dato un posto al fratello mai nato prima di lui e si è "sciolto" da questa catena di morte.
Un uomo educato in clima religioso ferreo e ossessivo, non si permetteva di vivere, di liberare l'amore e le emozioni che aveva dentro di sé. Per lui "tutto era pericoloso e peccato"; Dio poteva arrabbiarsi. Ma poi un giorno si è "sciolto" dal Dio della Paura per il Dio della Vita: adesso ama, si commuove, vive i propri sentimenti e sente il fiume della vita che scorre dentro di sé.
Gesù Cristo è il Vivente, cioè: "Tu mi fai vivere!".
Gli apostoli quando si liberarono dai loro schemi religiosi precedenti e capirono veramente chi era Gesù, andarono in giro e dissero solo questo: "Lui ci fa vivere! Lui è la Vita! Lui è vivo!".
Tuo figlio compie gli anni e gli prepari una festa con tutti i suoi amici. Così ti dai da fare, prepari i dolci, i panini; addobbi la casa, prepari i giochi, ecc. Prepara tutto bene ma non dimenticarti di fargli gli auguri, di festeggiarlo e di dirgli quanto lo ami. Nella vita non dobbiamo mai perdere di vista il centro, l'obiettivo e ciò che ci porta all'obiettivo.
La messa e le preghiere sono dei mezzi efficaci e fondamentali se ci portano all'obiettivo: Lui, il Vivente. Ma se i miei riti non mi "fanno vivere", non mi mettono in contatto con Lui, sono inutili.
Noi siamo qui in chiesa: ciò che conta è che incontriamo Lui, che la Vita scorra più forte e più viva dentro di noi, che qui riusciamo ad aprire spazi di vita per noi e per il mondo. Uscendo da qui ci dobbiamo sentire più vivi, solo così avremo fatto esperienza della Vita.
Nei vangeli quasi mai Dio si incontrò nel tempio e quasi sempre, invece, fuori del tempio. Il tempio, l'edificio chiesa è buono se ci mette in contatto con la Vita, con Dio. Ma Dio non è in chiesa; Dio è dove si vive, dove la vita pulsa, batte, dove si ama, dove l'amore si traduce in gesti concreti. E se questo avviene fuori, allora, Lui è fuori.
C'è una bellissima storia raccontata dal cardinale Martini. C'era un matrimonio in parrocchia. Gli sposi avevano preparato un rinfresco dopo il matrimonio nel cortile della parrocchia. Ma piovve e non fu possibile. Così gli sposi chiesero di festeggiare in chiesa: "Solo un po' di dolce e un brindisi". Il parroco non era d'accordo ma accettò. Ma poi si sa com'è: un bicchiere tira l'altro; e poi una canzone, un'altra, un ballo, un altro. Così dopo varie ore tutti gli invitati erano ancora in chiesa che ballavano, che si divertivano e che festeggiavano. Il parroco era tesissimo. Il sacrestano allora vedendolo così gli disse: "Don Antonio, vedo che è molto teso!". "Certo che lo sono! Senti che rumore che fanno, proprio nella casa del Signore!". "Ma non hanno alcun posto dove andare!". "Lo so bene! Ma è assolutamente necessario che facciano questo baccano?". "Beh, in fondo, don Antonio, non dobbiamo dimenticare che Gesù stesso ha partecipato una volta ad un banchetto di nozze a Cana di Galilea". "Lo so benissimo che Gesù Cristo ha partecipato ad un banchetto di nozze, non devi mica venire a dirmelo tu! Ma lì non avevano il Santo Sacramento!".
Questo è il grande pericolo: che il Santo Sacramento diventi più importante di Gesù Cristo, che l'adorazione diventi più importante dell'amore per il vicino e per le persone, che la norma e la legge diventino più importanti della vita.
Dio è Vita, vive ed è presente dove la Vita si libera e si esprime.
Due amiche si trovano. Una narra all'altra la sua difficoltà ad amare il marito. Il marito non è cattivo affatto, anzi, e lei lo sa. E' che lei sente proprio la sua difficoltà a farlo. Si commuove, piange, si dispera. Poi le due amiche si abbracciano forte forte e si salutano. Quando torna a casa, sente pace nel suo cuore: forse aveva solo bisogno di sfogarsi e di allentare la tensione; forse aveva solo bisogno di scacciare un sassolino che stava diventando una casa; forse stava ingigantendo un po' troppo. Dio, il Vivente, è lì, in quell'incontro!
Ho partecipato ad un gruppo di condivisione: ciascuno racconta di sé, ciò che ha dentro e la guida ti aiuta ad approfondire e a capirti. Si piange, si ride, ci si apre, si percepisce che i tuoi problemi sono i problemi degli altri, ci si sente fratelli e si coglie l'amore che circola. Dio, il Vivente, è lì!
Una ragazza è andata sei mesi ad aiutare una congregazione di suore in Africa. Lì fa cose semplici: aiuta i bambini a giocare, insegna loro la pulizia personale e qualche lavoretto per mantenersi un giorno da grandi. Ma l'amore si libera dalle sue mani, dai suoi occhi luminosi, dalle sue parole accoglienti e dal suo cuore pieno di amore. Dio, il Vivente, è lì, in quella ragazza.
Un bambino voleva conoscere Dio. Mise nel suo cestino: brioche, dolci, bibite e partì. Si fermo centocinquanta metri dopo, nel parco. E iniziò a mangiare. Si accorse che su una panchina c'era una vecchietta sola sola. Anche lui era solo solo. Così le si avvicinò e le offrì un dolcetto. La vecchietta lo prese e sorrise. Aveva un sorriso bellissimo. E rimasero insieme tutto il giorno. Prima di tornarsene a casa si abbracciarono a lungo e poi ciascuno tornò a casa sua. La mamma quando vide il figlio così felice, gli disse: "Ma cos'hai fatto che sei così felice?". "Mamma, oggi ho fatto merenda con Dio. E sai? Ha il sorriso più bello che io abbia mai visto". Anche la vecchietta tornò a casa. Il figlio la vide raggiante e le disse: "Mamma, cos'hai fatto oggi che sei così felice?". "Sai, oggi ho fatto merenda con Dio. E sai? E' più giovane di quel che pensavo!".

Pensiero della Settimana
Dio vuole la vita piena (Gv 10,10);
dove c'è la vita piena lì c'è Dio;
dove c'è la vita intensa lì Lui c'è.

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