padre Gian Franco Scarpitta "Il coraggio dell'amore"

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (31/08/2014)
Vangelo: Mt 16,21-27
La sola saggezza che scaturisce dall'esperienza dell'uomo insegna che amare equivale a donarsi al punto estremo del sacrificio e che niente caratterizza in pienezza il bene verso gli altri quanto il saperci sacrificare e immolare. Dalai Lama insegna: "Giudica il tuo successo da ciò a cui devi rinunciare per poterlo ottenere." E quando il successo riguarda il bene degli altri la rinuncia è veramente grande. Banco di prova dell'amore è il sacrificio e nessuna opera nobile è mai esente da rischi. Gesù proclama questa
preziosa certezza come reale pedagogia divina, la annuncia come una caratteristica propria del vero essere di Dio e ne diventa promotore non solamente impartendo insegnamenti, ma sacrificando se stesso per amore degli uomini. Senza la propria auto consegna Gesù non potrebbe portare a compimento il più grande progetto di amore e di salvezza che il Padre ha impostato su di lui, non eseguirebbe il programma divino di redenzione che fonda la massima espressione dell'amore e pertanto non può che giudicare blasfeme e sataniche le reazioni di Pietro al suo annuncio di morte. "Allontanati da me Satana, perché tu pensi secondo gli uomini e non secondo Dio." Prestiamo attenzione: Gesù non si intimorisce del Maligno che prende corpo nelle parole del suo apostolo. Nei suoi interventi di esorcismo e nella tentazione subita nel deserto ha sempre mostrato superiorità sul principe delle tenebre e non adesso non ne ha certo paura. Invita il maligno a non prendersi troppa confidenza con lui, a non cercare di confonderlo e... a stare al proprio posto. La traduzione esatta del verso è infatti: "Vai dietro a me, Satana". Non permetterti di prevaricarmi o di insinuarmi impropri suggerimenti sotto parvenza di bene.
Il diavolo agisce infatti approfittando della premura che Pietro dimostra nei confronti del maestro, la quale, seppure ben motivata è solamente filantropica e poco è attinente alla verità del Messia Salvatore. Pietro infatti mostra sollecitudine perché preoccupato del triste destino del suo maestro, vorrebbe scongiurargli la fine cruenta che lo attende e crede di poterlo distogliere dal suo proposito di incamminarsi verso la morte certa. Ma, come più volte si è detto, se da una parte Pietro dimostra un affetto singolare e sincero nei confronti di Gesù, non mostra tuttavia di aver assimilato in lui il mistero della salvezza, il compimento delle promesse definitive preannunciate dai profeti. Esse si realizzano non nelle aspettative grandiose o nei gesti e nelle reazioni di potenza proprie dell'uomo, ma hanno la loro evidenza nell'umiltà che Dio mostra in Cristo, nei suoi atti di mansuetudine e di sottomissione, nell'oblazione disinteressata che raggiunge anche l'assurdo e i paradossale e sconvolge la logica del pensare propriamente umano. Mentre quindi l'uomo preferisce le vie immediatamente risolutive di reazione alla pari verso il male, Dio sceglie di reagire al male opponendovi il bene, di rispondere alla violenza con il perdono e soprattutto sceglie di realizzare i propri propositi di salvezza mediante sottomissione, umiltà e sacrificio, che sono proprio l'antitesi dell'umano. Le vie di comodo però non conducono da nessuna parte e la vittoria immediata caratterizzata dalla forza e dall'imposizione può apportare un successo solo momentaneo. Determinante e convincente al massimo è l'amore sacrificale, soprattutto quello della croce, che dell'amore è la massima espressione.
La stessa determinazione e la stessa costanza nel bene che si paga a caro prezzo la si riscontra in Geremia. Profeta dalla personalità impacciata, mite e di grande sensibilità interiore, vorrebbe non esprimersi e farebbe di tutto per evitare di parlare nel nome del Signore, ma poi avverte che qualcosa lo incita a farlo e non può trattenersi dal proferire il suo messaggio di provenienza divina. Geremia sa bene che il suo annuncio gli procurerà avversione e disprezzo nonché persecuzione e condanna, ma si sente in dovere di esporsi al ludibrio e alla disapprovazione, per cui alla fine non esista a parlare seriamente al popolo con schiettezza e sincerità, anche qualora le sue parole non apportino risultati di serenità e di pacificazione. Ancora in Michea di Imla (1Re 22, 1 - 15) si riscontra la personalità di un profeta che a differenza di tutti gli altri non esita ad annunciare la verità ai re anche quando questo gli potrebbe costare dei rischi. Si tratta del coraggio della verità, che in parecchi di noi soccombe alla viltà e alla vana pusillanimità vergognosa ma che in realtà si dovrebbe sempre esternare pur di mostrarci realmente discepoli e testimoni del Vero. Anche a costo di subire persecuzioni e denigrazioni altrui. Siffatto coraggio è un aspetto dell'ascesa preferenziale di Gesù al Calvario e del suo non rinnegare la croce, quindi un aspetto di quell'amore che è proprio di Dio e non dell'uomo. Anche la croce è un atto di coraggio considerando come oggigiorno siamo propensi a scrollarcela di dosso o a delegare altri a caricarla per noi, assumendo solo le garanzie del nostro battesimo e rifiutando gli impegni e le sacrificate immolazioni che sono il nostro reale costitutivo. Ma è un atto coraggioso soprattutto quando lsi preferisce ad essa il guadagno facile e la vittoria senza meriti. Considerare che la nostra croce non è paragonabile a quella che Cristo ha caricato fino al Golgota per poi esservi appeso, relativizzare prove e dolori tenendo conto di conto di come altri ne siano vessati più di noi e di come lo stesso Signore Gesù ne abbia sofferti di maggiori e indescrivibili ci conduce ad abbracciare la croce come opportunità che racchiude in se stessa il germe della vittoria e a caricarcela addosso senza esitazione poiché essa sola è caratterizzante la pienezza dell'amore. Sulla scia del Signore Gesù Cristo che andando a Gerusalemme ha mostrato il coraggio dell'amore.

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