Alberto Vianello monastero Marango"La responsabilità di portare le ferite comunitarie"

Monastero Marango Caorle (VE)
Letture: Ez 33,7-9; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20
Il Vangelo di questa domenica parla della correzione fraterna. Ma prima di riflettere su come dobbiamo fare osservazione agli altri, dobbiamo verificarci su una necessaria coerenza, confrontandoci con altri due passi della Parola: quello che dice che prima di togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello bisogna togliere la trave
dal proprio occhio (cfr. Lc 6,41-42) e quello che dice di dare il primato alla riconciliazione con il fratello addirittura rispetto all’offerta all’altare, «se tuo fratello ha qualcosa contro di te» (cfr. Mt 5,23-24). Cioè non si può pensare ad un compito di correzione degli altri se non si è verificata una disponibilità vera a lasciarsi correggere a propria volta.
Infatti siamo bravissimi a trovare gli errori degli altri e a negare o giustificare i nostri. Mentre solo l’uomo che accoglie veramente propri limiti può anche aiutare gli altri a superarli.

C’è una nota da fare al testo: nella prima frase non c’è, in molti manoscritti, l’espressione «contro di te». Gesù sta parlando di colpe pubbliche, che non sono dirette proprio contro colui che è chiamato a fare la correzione. Qui si parla della responsabilità di chi coglie il male del peccato in quanto tale, non in quanto offende lui. Per quanto riguarda la colpa di un fratello che ferisce direttamente, Gesù dirà, subito dopo, che c’è solo il perdono senza condizione e senza misura (cfr. Mt 18,21-22).
Il peccato che, invece, ferisce il tessuto comunitario non può essere coperto dal silenzio, ma va riparato anche con l’aiuto della correzione.
I tre gradi dell’ammonizione («Fra te e lui solo»; «Con una o due persone»; «Alla comunità») indicano la progressione e l’ampliamento della responsabilità, perché il fratello che ha commesso la colpa sia sempre più assunto in carico.
Anche la successiva presa di distanza («Sia per te come il pagano e il pubblicano») non ha nulla di definitorio. Non a caso, infatti, subito dopo Gesù presenta la forza della preghiera, come la preghiera comunitaria: «Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio è che nei cieli gliela concederà». E’ ciò che bisogna fare per il fratello che ha peccato e ha rifiutato di riconciliarsi. Non si prendono le distanze, lo si porta, invece, ancora di più, perché lo si porta davanti al Padre, mettendoci la propria faccia, proprio davanti a Dio, per l’altro.

Comunque, questo solo nel caso del fallimento della correzione, mentre quest’ultima è il primo impegno verso il fratello che sbaglia.
Ma, prima di tutto, bisogna che sia fratello. Lui deve essere umile nell’accettare la correzione, ma tu devi farti ancora più basso, più servo, perché la correzione deve essere proprio un servizio per l’altro, non un semplice atto di giustizia. Dire al fratello che ha sbagliato deve essere espressione di fiducia in lui, non di sfiducia: ti dico che hai sbagliato perché so che tu non sei così, il tuo atto erroneo non dice di te, tu sei diverso, positivo.
Così, la non correzione può essere anche il massimo di sfiducia nell’altro: è inutile correggerlo, perché è fatto così, non può far diversamente…
Infine, la correzione è possibile solo come parola che vuol farsi eco della parola del Vangelo. Se compimento e ricapitolazione di tutta la Parola è l’amore fraterno (seconda Lettura), allora la correzione fraterna può solo esprimere tale amore: farsi sua voce, farsi il richiamo di amore e all’amore, radicandosi nella Parola.

Dopo tanti anni di vita comunitaria, posso dire che poche volte sono riuscito a vivere la correzione (sia ricevendola sia esercitandola) come carità fraterna. Per me è ancora un cammino lungo, un esercizio faticoso. Ma devo anche ammettere: guai se non ci fosse! Non si è famiglia se non ci si aiuta reciprocamente a crescere, traendo forza essenzialmente da un elemento: la gioia di poter contare su Gesù, che incarna il suo stesso insegnamento.
Lui ha saputo lasciarsi correggere dalle situazioni della vita fino a vivere la situazione più radicale di essa: la Croce.
Lui ha saputo correggere i suoi discepoli sempre con grande amore ed esprimendo fiducia in loro.

Alberto Vianello

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