Alberto Vianello"La stoltezza di Dio"

Letture: Nm 21,4-9; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17
 Monastero Marango Caorle (VE)
Scrivo queste parole nell’anniversario dell’11 settembre, con la sua tragedia 13 anni fa. Penso anche alle rovine, distruzioni, morti di tante persone di cui ogni giorno ci giungono notizia, soprattutto in questo periodo. Oppure penso a situazioni che non fanno più notizia, eppure la sofferenza e la morte per le violenze della guerra sono continue e diffuse, come in Siria.
In questa festa noi non esaltiamo uno strumento di supplizio, né innalziamo un simbolo che diventi una bandiera con la quale affermare ciò in cui crediamo, magari contro gli altri (fino a diventare vessillo di guerra, come è stato nella storia). Per grazia
del Signore, oggi chi si rifà alla Croce più facilmente subisce ingiustizie e violenza (come i cristiani in Africa e i missionari) invece che provocarle negli altri.
L’Esaltazione della Croce è il guardare a Dio in Gesù innalzato sulla croce: innalzato proprio per essere guardato.
Nel brano del Vangelo di Giovanni, Gesù fa il paragone con Mosé che «innalzò il serpente nel deserto». In quell’episodio, chi era stato morso da un serpente, bastava che guardasse alla sua forma in bronzo, ben visibile nell’accampamento di Israele, e veniva guarito. Si guardava una rappresentazione della causa del male subito: figura che diceva la realtà più lontana possibile dalla salvezza. Proprio là dove non sembra esserci la salvezza di Dio, proprio lì, invece, è presente: come in Gesù crocifisso.
In termini di efficacia, di risultato positivo, la croce è totalmente fallimento: di Dio, del suo Regno, di Gesù uomo e Dio, e della sua missione. La seconda Lettura parla di un progressivo «svuotamento»: non resta, sulla croce, nulla, se non il disprezzo dei presenti e il grido di abbandono del Crocifisso.
La croce può essere solo «stoltezza» (cfr. 1Cor 1,23-25), l’opposto di qualcosa che abbia un senso. Eppure appartiene a Dio, così che si debba chiamare «stoltezza di Dio» (1Cor 1,25). La croce non ha alcun senso umano: qualcosa che dia senso all’umano. Vi è solo la tragedia della sofferenza e della morte, e l’inconcepibile violenza di chi l’ha imposta.
Eppure la croce assume una pienezza di senso umano, perché in essa c’è tutto il senso divino. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito»: questo è il senso divino della croce. L’uomo ama se stesso: ciò che gli è più vicino. Dio ama il mondo: ciò che gli è il più lontano. L’uomo cerca di avere tutto per sé (vedi il peccato del primo uomo). Dio dona ciò che gli è più caro e prezioso, che è il «Figlio unigenito». Solo l’amore al di là di qualsiasi misura (cfr. Ef 3,17-19) costituisce la realtà più profonda della Croce. E solo guardando la Croce possiamo vedere questo amore e essere liberati, da tale amore, da tutti i non amori nella nostra vita.
La Croce non è semplicemente uno strumento di salvezza: perché Dio poteva salvarci in tante altre maniere. La Croce è, innanzitutto, dimostrazione d’amore: e niente di più della Croce poteva mostrarcelo.

Ma quel «innalzamento» ci mostra un’altra cosa sconvolgente, forse ancor di più.
Nella continuazione del Vangelo di Giovanni, Gesù dirà più volte che quando sarà innalzato allora gli uomini sapranno «che Io Sono» (Gv 8,24.28; 13,19). È il nome e la realtà divini. Nell’innalzamento sulla Croce c’è tutto Dio, nel suo essere Dio e nel suo manifestarsi degli uomini. Ciò che nega non solo l’uomo, ma anche Dio (perché un crocifisso era considerato maledetto da Dio), rappresenta, invece, tutta la presenza e l’opera di Lui e della sua salvezza: Dio è questo, Dio è così, in Gesù il Figlio di Dio crocifisso.
«Non ci troviamo di fronte a un nascondimento di Dio, ma all’alienazione del suo abbassamento, dove egli si ritrova interamente presso di sé e interamente nell’altro, nei non-uomini. L’umiliazione fino alla morte di croce risponde all’essenza di Dio nella contraddizione dell’abbandono. Affermando che Gesù crocifisso è l’immagine del Dio invisibile diciamo che questo è Dio e così Dio è […] Sottolineando che Gesù è stato glorificato sulla croce, Giovanni intende dire che la gloria di Dio è stata crocifissa in lui e così manifestata in questo mondo di ingiustizia. La risposta di fede alle catastrofi provocate dalla libertà lasciata da Dio all’uomo è questa e solo questa. La risposta del Dio che è muto e il grido stesso della derelizione di Dio nel suo Eletto» (G. Dossetti, «Non restare in silenzio, mio Dio», in Il silenzio e la parola. Discorsi e scritti 1986-1995, Milano 2005).

Alberto Vianello

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