Giuseppe Bortoloso OCDS " portare abbondanti frutti di bene"

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 
Vangelo: Mt 21,33-43
  La parabola della vigna è il tema dominante della liturgia del giorno. Parabola comune al Primo e Nuovo Testamento di cui i profeti prima e Gesù poi si sono serviti per parlare dell’amore di Dio per il suo popolo e dell’ingratitudine di questo. Isaia, nella prima lettura, descrive la storia d’Israele come la storia della vigna del Signore, da lui posseduta in terreno ubertoso, “vangata”, liberata dai sassi e piantata con ottimi magliuoli, munita di torre per difenderla dai ladri e fornita di tino. Tutto fa pensare a un ottimo raccolto, invece la vigna “diede uva acerba”. La terra coltivata dal contadino dà buoni frutti, ma la vigna del Signore li rifiuta. Dio allora si rivolge
al suo popolo: “giudicate voi fra me e la mia vigna. Che cosa avrei dovuto fare ancora alla mia vigna che io non le abbia già fatto?” Giudicando della vigna infruttuosa, Israele è costretto a giudicare di se stesso. Dio lo ha scelto a suo popolo, l’ha liberato dalla schiavitù, l’ha trapiantato in terra fertile, l’ha difeso dai nemici e tuttavia Israele non ha corrisposto a tanto amore.
Il Vangelo riprende la metafora d’Isaia e la sviluppa parlando di altri immensi benefici fatti da Dio al suo popolo. Egli ha mandato ad esso e a più riprese i profeti; ma i vignaioli, cioè i capi d’Israele cui è stata affidata la vigna del Signore,li hanno maltrattati, bastonati, uccisi lapidati. Infine, come suprema prova del suo amore, Dio ha mandato il suo Figlio divino; ma anche questo fu preso, cacciato fuori dalla vigna e ucciso,crocifisso “fuori” delle mura di Gerusalemme. Le responsabilità e le ingratitudini del popolo eletto sono cresciute enormemente. Ed ecco le conclusioni gravi di conseguenze: Isaia aveva parlato della distruzione della vigna del Signore, simbolo delle sconfitte d’Israele e della deportazione in esilio; Gesù invece annuncia: “ la vigna sarà data ad altri agricoltori” e più chiaramente fuori metafora: “Il regno di Dio verrà tolto a voi e dato a gente che porti frutto”. A motivo della sua ingratitudine Israele è stato sostituito da altri popoli, la sinagoga dalla Chiesa. Ma il nuovo popolo di Dio è più fedele dell’antico? Anche per il nuovo valgono le due parabole d’Isaia s di Gesù. Se la vigna della Chiesa non darà i frutti che Dio attende da lei, subirà la stessa sorte d’Israele. Questo però non va applicato soltanto alla Chiesa corpo sociale, ma ad ogni membro. Ogni battezzato deve essere “vigna del Signore” e portare frutto, anzitutto accettando Gesù, seguendo lui  e vivendo innestato in lui “vite vera” fuori della quale non c’è che la morte. Nel Nuovo Testamento, infatti, la “ vigna del Signore” non è soltanto il popolo da Dio scelto e amato, ma il popolo scelto e amato in Cristo, in quanto innestato in lui che ha detto: “ Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo … Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,1-5).
In questa prospettiva, la seconda lettura (fl 4,6-9) può essere meditata come un invito al frequente ricorso a Dio, alla confidenza e alla gratitudine verso di lui che ci ha scelto a suo popolo e come un impegno a portare abbondanti frutti di bene: “o fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato,quello che è virtù e merita lode, sia oggetto dei vostri pensieri” (ivi 8).

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