mons. Roberto Brunelli " Le regole del vivere insieme nella Chiesa"

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (07/09/2014)
Vangelo: Mt 18,15-20
L'abbiamo sentito qualche domenica fa: "Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa". Oggi (Matteo 18,15-20) apprendiamo che Gesù non si è limitato a istituire la sua Chiesa, ma ha anche stabilito i criteri fondamentali da seguire per poterne far parte. L'uomo è un essere sociale, cioè non può vivere da solo; è imprescindibile un suo rapporto con i suoi simili, e ogni rapporto ha le sue regole. Ci sono tanti modi di stare insieme: con indifferenza o sopportazione del prossimo, di cui pure non si può fare a meno; con egoismo, tendente a sfruttare gli altri per il proprio vantaggio; con l'intento di affermare sugli altri la propria
supremazia... e si potrebbe continuare. Gesù proclama (e ne dà l'esempio) un modo diverso: stare insieme con amore, quello autentico, quello che vuole il bene di chi ci vive intorno. E appunto all'amore sono improntate le regole di vita tra quanti si dicono suoi amici, e per questo stanno nella Chiesa.
La prima, esposta all'inizio del brano odierno, riguarda il comportamento verso chi riteniamo ci abbia offeso o danneggiato. "Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello". Niente clamore, dunque; pur con l'intento di sanarlo, meglio se il male resta segreto e chi sbaglia non sia esposto alla pubblica riprovazione. Può accadere tuttavia che il colpevole resista, ma anche in tal caso non bisogna darsi per vinti; sempre con amorevole discrezione, sottintende Gesù, si può riprovare con qualche aiuto: "Se non ti ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro"... allora, solo allora il fatto assume un rilievo pubblico, e il bene comune diventa prioritario. "Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano", cioè un estraneo, dal quale tenersi a distanza.
E' il caso qui di ricordare però un'altra norma, esposta più avanti (la si leggerebbe domenica prossima, se non ricorresse la festa di cui si dirà). E' la norma del perdono, che l'amore dev'essere sempre disposto a concedere a chi si pente, e non una volta sola ma fino a "settanta volte sette".
Tornando al brano di oggi, vi troviamo sul finale un altro aspetto del vivere insieme nella Chiesa, la preghiera comunitaria. "Se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro". Senza negare il valore della preghiera individuale, quella fatta insieme è più importante, perché comporta il "valore aggiunto" - e quale valore! - della presenza di Gesù. Peraltro, anche pregando da solo il cristiano non dimentica mai di appartenere a una comunità; anche pregando da solo egli non dice "Padre mio che sei nei cieli...", ma sempre "Padre nostro", come Gesù ha insegnato.
La preghiera comunitaria, in cui ci si riconosce figli dello stesso Padre e dunque fratelli, tocca l'apice nella celebrazione della Messa. Qui si concretizza l'essere parte di una comunità, qui si impara il modo di vivere attenti gli uni agli altri, qui la presenza di Gesù si fa tanto concreta da poterla sperimentare come cibo. Ecco perché non regge la motivazione di chi non partecipa alla Messa, preferendo guardarla alla televisione, o andare in chiesa "quando non c'è nessuno, così mi raccolgo meglio". I cristiani sono tali perché appartenenti alla comunità che il Cristo ha voluto: la comunità dei "riuniti nel suo nome". E Paolo, nella seconda lettura (Romani 13,8-10), riassume: "Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell'amore vicendevole, perché chi ama l'altro ha adempiuto la Legge. L'amore non fa alcun male al prossimo; pienezza della Legge è infatti l'amore".

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