Abbazia Santa Maria di Pulsano Lectio Commemorazione dei fedeli defunti

I MESSA
Gv 6,37-40; Gb 19,1.23-27a; Sal 26; Rm 5,5-11
II MESSA
Mt 25,31-46; Is 25,6a.7-9; Sal 25; Rm 8,14-23
III MESSA
Mt 5,1-12a ; Sap 3,1-9; Sal 41; Ap 21,15a.6b-7
Una grande distanza separa l’atmosfera raccolta, colma di speranza e di fede, dei cimiteri delle catacombe, e il silenzio imbarazzato della nostra epoca a proposito della morte. La nostra società secolarizzata è passata lentamente, progressivamente, dalla familiarità con la morte, caratteristica dell’antichità e del medioevo, alla morte nascosta e mascherata, o addirittura rifiutata
e rimossa: fuggire la morte è la tentazione del mondo occidentale di oggi.
Eppure la morte di un credente ci insegna molte cose sulla vita. Non che egli non sperimenti l’angoscia, l’apparente assurdità, la solitudine estrema che accompagnano l’ultima lotta. Non esiste una «bella morte»: si tratta sempre di una prova, conseguenza del peccato. Non fa eccezione neppure la morte di Gesù: con una lucidità estrema, che spiega l’agonia del Getsemani, il Cristo ha voluto portare il peso del peccato del mondo. Ma poiché non ne condivideva la responsabilità, l’inferno non ha potuto trattenerlo. «Come un tuffatore, si è immerso nell’abisso dei morti per cercare la propria immagine che vi era sprofondata e ricondurre Adamo all’ovile» (s. Efrem).
Sterile compagna del nostro peccato, la morte rivela così una possibile fecondità. Sull’esempio di Gesù, se il cristiano si prepara, accoglie e vive la propria morte come un’offerta d’amore, si unisce al Cristo nella sua volontà di espiazione: proteso verso la totalità del mistero pasquale, spera di arrivare ad essere col Signore per sempre. Questo non significa che non griderà la propria desolazione prima di spegnersi; anche il neonato entra nella vita con un pianto d’angoscia. Ma Dio restituisce spesso a chi ha varcato le soglie della morte un volto di bambino addormentato. Anche questo è un segno.
Benché la Chiesa ricordasse sempre nelle sue preghiere i defunti, il giorno di Commemorazione compare nel calendario liturgico assai tardi. L`idea stessa proviene dagli ambienti monastici. La regola di sant`Isidoro di Siviglia (+ 636) prescrive la Messa per tutti i defunti il lunedí dopo la Pentecoste. Alcune Chiese conoscevano un giorno simile di preghiera dopo l`Epifania del Signore. C`è la tendenza ad unire questo giorno ad una delle grandi feste della Chiesa. Il giorno della Commemorazione di tutti i defunti nella forma attuale viene introdotto da sant`Odilone, abbate del monastero a Cluny (994-1048): il giorno 2 novembre venne scelto, visto che il giorno precedente si celebrava la Solennità di Tutti i Santi. La Chiesa esulta per la gloria dei suoi santi, ma non dimentica coloro che non sono ancora arrivati alla sua pienezza. L`abbazia di Cluny, per lungo tempo, influisce molto sulla vita religiosa d`Europa e perciò il giorno della Commemorazione viene accolto comunemente. La prima nota riguardante la celebrazione di questa Commemorazione risale al 1311. In alcune diocesi, si svolgevano in questo giorno processioni con le preghiere per i defunti. Alla fine del XV secolo, in Spagna, sorge la pratica di celebrare tre Messe, prassi che si diffonde in Portogallo ed in America latina. Nell`anno 1915 all`inizio della Prima Guerra mondiale, Benedetto XV estende questo privilegio a tutta la Chiesa.
Il giorno di preghiera per i defunti è per molti l`occasione di porsi delle domande di principio. Perché la morte, perché il nostro corpo torna in polvere, perché dobbiamo sperimentare il dolore del distacco dai nostri prossimi? Chi può assicurarci l`immortalità, chi ci può dire come sarà la vita futura, chi può consolarci nel tempo della tristezza?
Abbiamo accolto le parole di Cristo e ne conosciamo le risposte, crediamo a ciò che dicono i libri ispirati dalla Sacra Scrittura. Le molte risposte che abbiamo trovato, le possiamo ridurre ad una: la morte si può comprendere solo alla luce della Morte e della Risurrezione del Signore. Come Gesú è morto e risuscitato, cosí anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesú insieme con lui (1Ts 4,14).
Come tutti muoiono in Adamo, cosí tutti riceveranno la vita in Cristo (1Cor 15,22). Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se morto, vivrà (Gv 11,25). La fede nella Risurrezione del Signore sta alla base della nostra preghiera per coloro che sono morti: affinché siano accolti nella gloria, affinché passino al luogo della luce e della pace. Essi non solo credettero nel Signore, ma attraverso il Battesimo morirono con lui e con lui passarono alla vita nuova: che il Signore compia adesso ciò che ha iniziato nel Battesimo.
L`uomo di fronte a Dio: chi può dire di essere senza peccato? La Chiesa raccomanda oggi alla divina misericordia coloro che sono morti: Dio, una volta li lavò con le acque del Battesimo, che ora li lavi con la grazia del perdono. Celebrando l`Eucaristia, la Chiesa non cessa di intercedere per i nostri fratelli, che sono morti nella speranza della risurrezione. Prega per i defunti, dei quali solo Dio ha conosciuto la fede e per tutti coloro che hanno lasciato questo mondo. Oggi, queste parole assumono un particolare significato. Stiamo oggi presso le tombe dei nostri parenti, vicini, conoscenti; passiamo vicino ai sepolcri di tanti nostri fratelli. Ci accompagnino le parole della liturgia: «Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata».

Dio onnipotente ed eterno,
annualmente per le nostre preci
tu concedi le cose che ti chiediamo
e i doni per tutti coloro i cui corpi qui riposano:
il luogo del refrigerio, la beatitudine della quiete,
lo splendore della luce;
e quelli che son gravati dal peso dei loro peccati
ti affida la supplica della tua Chiesa.

(Sacramentarium Gelasianum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1968, n. 1681)


La pietà popolare ha unito il culto per i santi al ricordo dei defunti certamente per la vicinanza delle due commemorazioni liturgiche; ma è certo che, nella solennità del 1° novembre, come per la commemorazione del 2, palpita la stessa fede ecclesiale che celebra il Mistero pasquale. La contiguità con il 1° novembre è intenzionale per sottolineare la relazione che esiste tra la solennità dei santi e la commemorazione dei defunti, fondata sull’unità dei morti in Cristo e nella comunione dei santi, che così sono riuniti in un’unica festa distribuita in due giorni,
Quella di oggi è sempre la celebrazione della Morte e Resurrezione di Cristo e anche della speranza che tutti coloro che attraverso il battesimo sono diventati «coeredi di Cristo» passino dopo la morte alla vita eterna con Lui.
Cristo con la sua Risurrezione ha rivelato il suo dominio sulla morte; questo mistero tragico dell’esperienza umana non è l’ultima parola, non è la sconfitta definitiva della vita. La fiducia nella promessa di Dio, che si è realizzata in Cristo illumina e da senso alla nostra esistenza posta sotto la morte.
La nota introduttiva del Messale al formulario liturgico orienta verso la prima e originaria ragione della preghiera per i morti, cioè l’attuazione della Pasqua di Cristo in chi passa dalla vita terrena a quella eterna: «Nei riti funebri la Chiesa celebra con fede il mistero pasquale, nella certezza che quanti sono diventati con il battesimo membri del Cristo crocifisso e risorto, attraverso la morte, passano con lui alla vita senza fine».
Il Messale continua la tradizione di proporre per il 2 novembre tre diversi formulari liturgici con tre diversi schemi di letture della parola di Dio che possono essere alternati nelle diverse celebrazioni dell’Eucaristia di questo giorno. I formulari delle orazioni possono essere associati variamente ai prefazi e agli schemi di letture bibliche. La ricchezza dottrinale dei testi biblico-liturgici permette di scegliere l’uno o l’altro secondo la celebrazione e l’assemblea che vi partecipa, eventualmente alternandoli anche da un anno all’altro per la messa principale al cimitero o in chiesa.
I formulari delle celebrazioni di questa giornata, che eccezionalmente cade di Domenica, ci richiamano l’atteggiamento cristiano di fondo: la fede della Chiesa nella vita eterna grazie al mistero pasquale. La nostra speranza ha un nome e un volto: Gesù Cristo. Chiunque crede in Lui ha la vita eterna e conosce la resurrezione nell’ultimo giorno.
L’annuncio che ci giunge attraverso le letture bibliche e i formulari ci richiama alla speranza della resurrezione e della vita eterna: l’immagine del banchetto di Isaia 25 (festa, pienezza, fine della miseria e dell’ingiustizia) o il gesto di Dio che in Ap 21 asciuga le lacrime che scorrono sul volto dell’uomo sono squarci su Colui nel quale abbiamo riposto la nostra speranza. Il nostro Dio è quello del roveto (Es 3,14), è l’Emmanuele (Mt 1,23), è il Dio sempre con noi.

1. Colletta:
Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti
innalza a te nella fede del Signore risorto,
e conferma in noi la beata speranza
che insieme ai nostri fratelli defunti
risorgeremo in Cristo a vita nuova.
Per il nostro Signore...

2. Colletta:
O Dio, gloria dei credenti e vita dei giusti,
che ci hai salvati
con la morte e la risurrezione del tuo Figlio,
sii misericordioso con i nostri fratelli defunti;
quando erano in mezzo a noi
essi hanno professato la fede nella risurrezione:
tu dona loro la beatitudine senza fine.
Per il nostro Signore...

3. Colletta:
Dio onnipotente,
il tuo unicoFiglio, nelmistero della Pasqua,
è passato dà questo -mondo alla gloria del tuo regnò;
concesi ai nostri fratelli defunti
di condividere il suo trionfo sulla morte
e di contemplare in eterno te o Padre,
che li hai creati e redenti.
Per il nostro Signore...

Anche le diverse proposte per il prefazio delle celebrazioni di questa giornata ci richiama l’atteggiamento del cristiano davanti alla prospettiva della morte:

I Prefazio dei defunti:
In Cristo tuo Figlio, nostro redentore
rifulge a noi la speranza della Beata risurrezione,
e se ci rattrista la certezza di dover morire,
ci consola la promessa dell’immortalità futura.
Ai tuoi fedeli, o Signore,
la vita non è tolta, ma trasformata;
e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno,
viene preparata un’abitazione eterna nel cielo.

II Prefazio dei defunti:
Egli prendendo su di sé la nostra morte
ci ha liberati dalla morte
e sacrificando la sua vita
ci ha aperto il passaggio alla vita immortale.

V Prefazio dei defunti:
La morte è comune eredità di tutti gli uomini,
ma per un dono misterioso del suo amore
Cristo con la sua vittoria ci redime dalla morte
e ci richiama con sé a vita nuova.

L’assemblea dei fedeli nella solennità di Tutti i Santi era stata messa davanti ad una realtà spesso ignorata e sottovalutata: la santità non è di pochi ma di un numero sterminato, ed è generata dalla Gratuità dell’Amore che Dio riversa su di noi.
Oggi una speranza ispira il nostro comportamento di fronte alla morte e motiva la nostra preghiera: la comunione tra noi e quanti ci hanno preceduto non è interrotta per sempre e un giorno verrà ristabilita nella sua pienezza. La nostra fiducia è riposta in una persona e non in una filosofìa: una persona concreta che è Gesù Cristo. Grazie a Lui noi sappiamo che non è la morte a dire l’ultima parola e che nulla delle nostre lotte, del nostro impegno e delle nostre fatiche andrà perduto. Accanto alle opere straordinarie vi sono quelle di tutti che vissero la carità al modo eroico: la docilità alla mozione dello Spirito Santo permette di compiere opere di santità anche nel piccolo quotidiano che è accessibile e condivisibile da tutti.
Il Padre, poiché è il Santo Unico, non fa preferenze di persone e paga il denaro convenuto a chi ha sostenuto il peso e il calore del giorno intero, ma anche a chi lavorò quell’unica piccola ora benedetta, proprio quella che in fondo serve a tutti.
Strettamente unita alla celebrazione gloriosa dei Santi è dunque la commemorazione che la Chiesa pellegrina sulla terra fa di tutti i suoi figli che hanno lasciato questo mondo e si sono addormentati in Cristo; così i fedeli fanno memoria del comune destino mortale e rinnovano la convinta speranza in Gesù Cristo risorto, vincitore della morte e pegno sicuro di vita eterna.
La preghiera di suffragio per i defunti e in modo speciale l’offerta del sacrificio eucaristico sono indizi significativi della «comunione dei santi» e della carità che lega i fedeli al di là della morte: per i cristiani la pietà verso i defunti non è semplice ricordo e venerazione, ma in unione a Cristo costituisce un autentico atto di solidarietà e di amore.
L’intercessione solidale della Chiesa trova il suo unico fondamento nel mistero pasquale di morte e risurrezione e quindi la liturgia di quest’oggi non può essere che una celebrazione dei vari aspetti della Pasqua che il Cristo comunica ai suoi fedeli. Per antica tradizione si possono celebrare in questo giorno tre Messe con tre differenti schemi di letture.

Primo schema: La certezza della risurrezione.

La liturgia della Parola nella prima Messa insiste sull’atteggiamento di fede con cui il credente in Cristo si pone di fronte alla realtà dolorosa della morte: Giobbe (prima lettura) esprime la sua certezza nella giustizia finale e il Salmista gli fa eco con la sua attesa certa del Signore; Paolo (seconda lettura) afferma che l’opera più grande a nostro favore è già stata compiuta nella morte di Cristo e Giovanni (evangelo; il c. 6 viene proclamato dalla Dom XVII alla XXI del Tempo Ord. B) evidenzia che proprio la volontà di Dio è la base e la garanzia delle attese umane. Il brano evangelico infatti, tratto dal discorso eucaristico tenuto da Gesù a Cafarnao dopo il segno del pane (Gv 6,37-40), offre il fondamento della speranza cristiana. Il Messia sfama in modo prodigioso il popolo nel deserto, compiendo così un segno che mostra la sua capacità di soddisfare in profondità il desiderio dell’uomo: egli infatti è la «parola di Dio» di cui vive l’uomo, è la «sapienza di Dio» che invita tutti gli uomini al suo banchetto, perché abbiano la vita. In quanto rivelatore del Padre, Gesù dice di dare la vita all’umanità: non perché insegna qualcosa su Dio, ma perché comunica realmente la stessa vita di Dio. E tale comunicazione avviene perché Gesù trasmette e consegna veramente se stesso: questo è il senso della sua missione e la volontà esplicita di Dio. Chi «viene a lui», cioè crede in lui e lo riconosce come l’inviato definitivo dei Padre, trova finalmente il pane che lo fa vivere in eterno, cioè l’alimento che gli offre la possibilità di una vita pienamente realizzata, di cui la risurrezione finale sarà l’esplicitazione e il coronamento.

Secondo schema: II rapporto fra la vita presente e la futura.

Nella seconda Messa per i defunti le letture bibliche attirano l’attenzione sul rapporto che esiste fra questa vita terrena e la condizione definitiva a cui siamo orientati.
La pagina profetica (prima lettura) annuncia il capovolgimento della situazione attuale di dolore per dare spazio al grande banchetto escatologico e il Salmista che spera in questo intervento divino sa che non resterà deluso. Paolo (seconda lettura) insegna che la vita cristiana è in tensione verso il compimento finale, in netta discontinuità con l’attuale condizione segnata dalla caducità, mentre Matteo (evangelo; viene proclamato nella solennità di Cristo Re anno A), d’altro canto, sottolinea la continuità fra il comportamento attuale e la situazione futura. Anzitutto bisogna notare che questo brano evangelico sottolinea con forza come la gloria futura sia strettamente legata al modo con cui si vive la miseria presente. Il famoso testo del «giudizio universale» (Mt 25,31-46) comprende una cornice narrativa che inquadra un duplice dialogo. Il dialogo centrale si ripete due volte in modo strettamente simile, anche se antitetico: gli interlocutori infatti sono i due gruppi in cui tutte le genti sono divise, e per ben quattro volte viene ripetuto in modo quasi identico l’elenco delle sei opere decisive per il giudizio.
Con il linguaggio tipico dell’apocalittica giudaica, viene sinteticamente presentata la scena escatologica: davanti al Messia intronizzato Dio raccoglie tutte le genti. Ma la nostra pericope non è interessata alla raccolta, bensì a ciò che la segue, cioè la separazione, motivo caro al primo evangelista. L’immagine parabolica adoperata è quella del pastore che, secondo la consueta prassi palestinese, alla sera separa le pecore dalle capre che pure durante il giorno hanno pascolato assieme; esse infatti necessitano di un trattamento diverso: le capre di notte hanno bisogno di maggior calore, dato che il freddo è loro nocivo, mentre le pecore preferiscono rimanere all’aria fresca. Dato il maggior valore delle pecore, il loro colore bianco e l’abituale uso metaforico, esse diventano il simbolo dei giusti e, sempre secondo un criterio simbolico convenzionale, sono collocate alla destra. La scena pastorale è solo evocata e infatti lascia subito il posto al dialogo centrale che avviene fra il re e gli uomini; ma essa serve soprattutto a presentare il Messia come il Pastore, titolo comune in Oriente per qualificare i capi delle nazioni e i grandi condottieri.
La dignità regale compete naturalmente al Messia ed egli la esercita in qualità di giudice escatologico, signore della storia: nel suo regno ammette come eredi gli uomini benedetti dal Padre. La buona notizia delle beatitudini trova così conferma nella decisione finale; ma vi è aggiunto l’elemento della solidarietà attiva, ovvero dell’operosa fedeltà che ripetutamente l’evangelista ha evidenziato nel messaggio di Gesù. La separazione dell’umanità intera in due blocchi avviene proprio secondo questo criterio: la concreta attenzione all’uomo che è nel bisogno, l’impegno semplice e quotidiano nell’accorgersi degli altri e nel riconoscere in qualunque prossimo i lineamenti del volto di Cristo. La novità proposta non sta nelle opere di misericordia, ma nell’identificazione del Messia con i suoi fratelli più piccoli: il criterio di giudizio è dunque cristologico e il destino eterno di ogni uomo si gioca nel temporale rapporto di accoglienza o di rifiuto del Cristo nella persona di ogni uomo.

Terzo schema: La piena comunione con Dio

Le letture della terza Messa mettono in evidenza un altro tema, invitando i credenti a contemplare la condizione umana dopo la morte come l’incontro con Dio e quindi la realizzazione piena della propria umanità.
Il sapiente (prima lettura) afferma che i giusti defunti sono nella pace della comunione con Dio e il Salmista canta la sua nostalgia e il desiderio di giungere all’incontro gioioso con Dio. L’Apocalisse (seconda lettura) celebra la salvezza escatologica come il rinnovamento cosmico per le nozze fra Dio e l’umanità, mentre l’evangelo delle Beatitudini (viene proclamato la IV Dom del tempo Ord. A) orienta tutta l’attenzione alla grande felicità che è preparata nei cieli. L’annuncio delle beatitudini costituisce il degno coronamento della riflessione biblica sulla prospettiva di piena felicità che il Signore prepara per i suoi nel mondo rinnovato: decisivo è ricordare che lo stesso brano è proposto nella festa di tutti i Santi.

A Lui, il Benedetto nei secoli eterni, con il Figlio e con lo Spirito Santo, amore, gloria, magnificenza, inno, lode, azione di grazia, adorazione per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.




27 ottobre 2014
Abbazia Santa Maria di Pulsano

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