Abbazia Santa Maria di Pulsano Letture patristiche della Commemorazione dei fedeli defunti

I MESSA
Gv 6,37-40; Gb 19,1.23-27a; Sal 26; Rm 5,5-11
II MESSA
Mt 25,31-46; Is 25,6a.7-9; Sal 25; Rm 8,14-23
III MESSA
Mt 5,1-12a ; Sap 3,1-9; Sal 41; Ap 21,15a.6b-7
1. Dio è già qui, tanto bello!
Quali parole potranno mai esaurire la bellezza e l`utilità delle creature, che, per divina
misericordia, l`uomo, benché abbandonato e condannato a tante fatiche e miserie, può contemplare e godere? La bellezza varia e molteplice della terra e del mare; l`abbondanza e la meraviglia della stessa luce, nel sole, nella luna e nelle stelle; l`ombra dei boschi; i colori e gli odori dei fiori, la varia moltitudine di uccelli garruli e variopinti; le forme molteplici di tanti animali di cui i piú piccoli sono i piú ammirevoli (ci meravigliano piú le opere delle piccole formiche e delle piccole api, che i corpi immensi delle balene); lo stesso spettacolo immenso del mare, quando si riveste di diversi colori: ora verde, ora variegato, ora purpureo, ora ceruleo. Anzi, è uno spettacolo dilettevole anche quando è agitato, ed è allora tanto piú soave, quanto piú chi lo contempla è sicuro di non esser da esso scosso e travolto. E che dirò dell`abbondanza enorme dei cibi per combattere la fame, e della molteplicità dei sapori, per combattere la nausea, forniti senza posa dall`opulenta natura e non dall`arte e la fatica dei cuochi? E tra essi, quanti rimedi per ricuperare e proteggere la salute! Che grata alternanza di giorno e di notte! Che dolce spirar di venti! Dalle piante e dai greggi, quanto materiale per confezionare abiti! Chi potrebbe ricordare tutto? Se uno si volesse dedicare ad esaminar anche solo queste poche cose da me ridotte e condensate in queste poche linee, quanto tempo dovrebbe impegnare per ciascuna di esse! E sono tante!
Tutto ciò è consolazione dei miseri e dei condannati, non premio dei beati. Come sarà dunque il premio, se la consolazione è tale e tanta! Cosa darà Dio a coloro che ha predestinato alla vita, se ha dato questo a coloro che ha predestinato alla morte! Di quali beni ricolmerà nella vita beata quelli per i quali in questa miseria ha voluto che il suo Figlio unigenito soffrisse tante pene, fino alla morte? Per questo l`Apostolo, parlando dei predestinati al regno dei cieli, dice: Colui che non perdonò al suo proprio Figlio, ma che lo sacrificò per noi, com`è possibile, che con lui, non ci doni tutto? (Rm 8,32). Quando questa promessa si sarà adempiuta, come saremo? Quali saremo? Quali beni riceveremo in quel regno, avendo già ricevuto un tale pegno: Cristo morto per noi? Come sarà lo spirito dell`uomo, senza i vizi ai quali debba sottostare, a cui debba cedere o contro i quali debba almeno strenuamente lottare, cioè perfetto per il pieno possesso pacificante della virtù? Come sarà abbondante, come sarà bella, come sarà certa la scienza di tutte le cose, pura da ogni errore e fatica, là dove la sapienza di Dio verrà attinta alla sorgente, con somma felicità, senza nessuna difficoltà! Come sarà splendido il corpo, soggetto in tutto allo spirito, da esso pienamente vivificato, libero dal bisogno di qualsiasi alimento! Sarà corpo spirituale, non animale: avrà la sostanza della carne, ma non certo la corruzione della carne.

(Agostino, De civit. Dei, 22, 24)


2. Perché esiste la morte

Ma sopporta a stento e si sdegna chi riflette sulla decomposizione del corpo, e pensa che è terribile che la nostra vita si dissolva con la morte.
Poiché questa considerazione gli procura dolore e fastidio, esamini attentamente il grande beneficio di Dio.
Per suo mezzo sarà maggiormente spinto ad ammirare la grazia della cura che Dio ha dell`uomo.
Debbono scegliere di vivere coloro che partecipano della vita, perché godano di quelle cose che sono gradite e piacevoli.
Giacché se qualcuno trascorresse la vita tra i dolori e le angosce, si ritiene che per lui è di gran lunga meglio non essere soggetto al dolore che esserlo.
Esaminiamo, dunque, se colui che usufruisce della vita, miri a qualche altra cosa, piuttosto che a trascorrere una vita in mezzo alle migliori e piú belle cose.
Poiché, infatti, abbiamo attratto con l`impulso del libero arbitrio la società del male, mescolando il male della natura per mezzo di un certo veleno, quasi miele nascosto, del piacere; e, perciò, uscendo dalla beatitudine che si comprende con l`impassibilità, siamo spinti al vizio, e da questo motivo l`uomo di nuovo è rivolto alla terra come un vaso di creta (Gen 3,19); talmente che allontanate le impurità che ora sono in lui, attraverso la risurrezione sia reintegrato nella originale condizione.
Questa verità, d`altra parte, ci espone senza dubbio Mosè, nella storia e attraverso simboli.
Del resto anche queste immagini contengono una dottrina profonda e luminosa.
Disse, infatti, che dopo che erano state proibite quelle cose, ci furono i primi uomini, i quali furono privati della felicità, e Dio impone per coprirsi delle tuniche di pelle ad essi, che furono i primi colpevoli, non badando, come penso, a tali pelli.
Infatti, quali animali uccisi e privi di pelle, si inventa la loro veste?
Ma poiché ogni pelle è tolta e separata, priva di vita dagli animali, ritengo senza dubbio che colui che guarisce il nostro peccato, in seguito infuse agli uomini provvidenzialmente una forza tale per morire che non sempre perdurasse, la quale fu tolta dalla natura priva della ragione.
La tunica, infatti, proviene da quegli elementi che ci sono imposti dall`esterno, offrendo al corpo, temporaneamente, l`uso di sé, senza immedesimarsi affatto con la natura.
Dunque, dalla natura dei bruti, con un certo criterio ed eccezione fu aggiunta la mortalità a quella natura che fu creata per l`immortalità, e ciò è quanto riguarda il caso all`esterno, non all`interno, e interessando la parte sensibile dell`uomo, ma non toccando la sua stessa immagine divina.
Si dà una soluzione, d`altra parte, a ciò che è sensibile, ma non si abolisce né si elude.
L`abolizione, in verità, riguarda ciò che non è transitorio.
Ma la soluzione è il dissolversi che di nuovo ritorna negli elementi del mondo, con i quali formava un tutt`uno [una compagine].
Ciò che, in effetti, non era presente in essi, non scomparve, anche se sfugge alla comprensione dei nostri sensi.
Resta aperta, però, la causa della soluzione attraverso l`esempio che è stato da noi riferito.
Poiché, infatti, il senso ha una necessità ed è unito con ciò che è pesante e terrestre: e questo è piú eccellente e piú sublime che il giudizio di quelli che si trovano nel bene e nell`onestà, si allontanò nell`approvare i sensi, ma da esso poi ciò che di buono e di onesto vi risultò aberrazione, tanto che diventò abitudine contraria; è inutile la nostra parte restituita, si risolve con l`accettazione del contrario.
Ed ecco un esempio di quanto diciamo: Si conceda che qualcuno modelli un vaso dal fango; e, poi, con inganno e tranello sia ripieno di piombo liquefatto: inoltre faccia gonfiare il piombo fuso, che tale rimanga che non si possa rifondere; e il vaso poi voglia vendicare il suo padrone: sia avendo la scienza del vasaio sia spaccando la sua testa col piombo: e di nuovo, poi, ricostruisca il vaso distrutto nella sua primitiva figura e per il proprio uso, esso che prima era stato materia eterogenea.
Cosí, dunque, anche il modellatore del nostro vaso di creta, col difetto mescolato della parte sensitiva (parlo di quella che risiede nel corpo), una volta che la materia che aveva contratto il vizio è stata dissolta, il vaso di nuovo è rimodellato, ma non, viceversa, rimescolato, in virtù della risurrezione, e restituirà quella bellezza che aveva avuto all`inizio.
Poiché, poi, appartiene al corpo una certa società e comunione di quegli affetti che derivano dal peccato; anche una certa analogia e proporzione della morte del corpo con la morte dell`anima: in che modo nella carne chiamiamo morte ciò che è separato dalla vita sensibile; cosí anche nell`anima chiamiamo morte la separazione dalla vera vita; poiché, dunque, unica è la comunione la associazione del male, come prima è stato detto, considerata nell`anima e nel corpo, per l`una e per l`altra procede l`anima ad agire: per la qual cosa non intacca l`anima la morte della separazione dal rivestimento della pelle mortale.
In che modo, infatti, potrebbe disgregarsi ciò che non composto di parti?
D`altronde c`è bisogno che anche quelle cose di colui derivate dai peccati si deposero in lui come macchie, siano tolte per mezzo di qualche medicina, perciò nella presente vita fu adoperato il rimedio della virtù per curare queste ferite.
Giacché se non è possibile la cura, essa è rinviata alla vita futura.

(Gregorio di Nissa, Oratio catech., 8)


3. Non si devono scrutare gli avvenimenti e giudicarli senza attenderne la fine

E come un uomo inesperto vedendo il fonditore iniziare l`operazione di fonditura dell`oro, mescolandolo a cenere e paglia, penserà, se non attende la fine del processo, che il pezzettino d`oro è perduto, cosí del pari un uomo nato ed allevato sul mare, poi trasportato in pieno ambiente di terraferma e assolutamente privo di nozioni circa il modo di coltivare, se gli capitasse di vedere il grano messo da parte e custodito dietro le porte e sottochiave, preservato dall`umidità, quindi portato via dal contadino, disperso, gettato al vento, sparso sulla terra agli occhi di tutti i passanti e non solo senza la precauzione di preservarlo dall`umidità, ma persino abbandonato al fango e all`acquitrino, senza protezione alcuna, non crederebbe forse quel grano perduto e non biasimerebbe il contadino che ha agito in tal modo?
Ora, un tal biasimo non deriva dalla natura dei fatti, bensí dall`inesperienza e dalla stoltezza di colui che non giudica bene, esprimendo già dall`inizio un`opinione prematura. Infatti, se aspettasse l`estate; se vedesse le messi ondeggiare e la falce che si affila e quel grano, che era stato disperso, rimasto abbandonato, marcito, corrotto, lasciato nel fango, quello stesso grano cresciuto, moltiplicato, rigoglioso nella sua freschezza, sbarazzatosi della sua vecchia guaina ed ergentesi in tutta la sua forza, come attorniato di satelliti e di guardie, protendente all`aria la sua spiga, che incanta lo spettatore, lo nutre e gli procura un buon profitto, allora sarebbe ancora piú preso da stupore dal fatto che quel grano, attraverso tante avventure, è stato condotto a uno stato sí florido e di tale bellezza.
E tu, o uomo, non porre soprattutto interrogativi al nostro padrone comune, ma se sei tanto assetato di discussioni e tanto audace da folle di tale follia, aspetta almeno la fine degli avvenimenti. In effetti se il lavoratore aspetta tutto l`inverno, senza soffermarsi a considerare il trattamento imposto al grano durante la stagione del freddo, bensí i vantaggi che si propone di trarne, a piú forte ragione tu, davanti a colui che lavora l`intera terra e le nostre anime, dovresti attendere la fine, e non dico solamente la fine nella vita presente - poiché spesso essa si realizza fin da quaggiú - ma nella vita futura. Il piano di Dio, infatti, è organizzato in funzione di ciascuna di queste due vite, in funzione della nostra salvezza e della nostra gloria. Se è spezzettato nel tempo, il fine gli restituisce la sua unità e, cosí come sia l`inverno sia la primavera e l`evoluzione di ciascuna delle stagioni mira ad un unico risultato, la maturità dei frutti, analogamente avviene in ciò che ci concerne.

(Giovanni Crisostomo, De Provid., 9, 1-5)


4. Come si manifesta la piena giustizia del giudice divino

Non sappiamo per quale giudizio di Dio quel buono sia povero, e questo cattivo sia ricco; perché goda questi, che per i suoi costumi scellerati ci sembra dovrebbe meritare di soffrire; e perché sia afflitto quegli, la cui vita onesta ci fa pensare che dovrebbe godere. Parimenti, perché l`innocente esca dal giudizio non solo senza soddisfazione, ma addirittura condannato, o per l`iniquità del giudice o per il peso delle testimonianze false; e perché al contrario il suo iniquo avversario, non solo impunito ma anche soddisfatto, esulti di gioia. E perché l`uomo empio ha buona salute, mentre l`uomo pio marcisce nella malattia; perché giovani rapinatori stanno benissimo, mentre fanciulli, che non hanno potuto offendere nessuno neppure a parole, sono afflitti da molteplici e atroci malattie. E perché un uomo utile al genere umano, vien rapito da morte immatura mentre chi sembra che non avrebbe dovuto neppur nascere, vive a lungo. Perché chi è pieno di delitti, viene innalzato ai piú alti onori, mentre un uomo senza macchia resta nascosto nelle tenebre di una condizione oscura; e molti altri casi simili, ma chi li raccoglie, chi li passa in rassegna? Se poi questa realtà, che sembra un assurdo, fosse tanto costante che in questa vita - nella quale l`uomo, come dice il sacro salmo è simile alla vanità e i cui giorni passano come ombra (Sal 143,4) - solo i cattivi ottenessero i beni transitori e terreni e solo i buoni soffrissero tali mali, ciò potrebbe mettersi in rapporto col divino giudizio, giusto o almeno benigno: coloro che non raggiungeranno i beni eterni che rendono beati, vengono, per mezzo dei beni temporali, o ingannati per malizia loro, o consolati per misericordia di Dio; mentre coloro che non soffriranno i tormenti eterni, vengono afflitti mediante mali temporali, o per i loro peccati, quale ne sia la natura e per quanto piccoli essi siano, o messi alla prova per perfezionare le loro virtù. Ma ora, stanno nel male non solo i buoni e nel bene non solo i cattivi, che sembrerebbe ingiusto, ma spesso anche ai cattivi cadono addosso mali e sui buoni si riversano beni: tanto piú imperscrutabili si fanno cosí i giudizi di Dio, e insondabili le sue vie. Perciò, anche se non sappiamo per quale giudizio Dio cosí faccia o cosí permetta che avvenga, lui presso il quale risiede somma virtù, somma sapienza e somma giustizia, e nel quale non v`è nessuna debolezza, nessuna temerità e nessuna iniquità: impariamo tuttavia - per la nostra salvezza - a non dar troppo peso a quei beni e a quei mali che vediamo essere comuni ai buoni e ai cattivi, e d`altra parte a ricercare quei beni che sono propri dei buoni e a fuggire quei mali che sono propri dei cattivi. E quando giungeremo a quel giudizio di Dio, il cui tempo vien detto esattamente giorno del giudizio e qualche volta giorno del Signore, riconosceremo la giustizia di ogni divino giudizio, non solo di quelli che verranno emessi allora, ma di tutti quelli che furono emessi dall`inizio e saranno stati emessi fino allora. E anche apparirà chiaro per quale giusto giudizio di Dio, ora molti, anzi tutti i divini giudizi, siano nascosti al senso e alla mente dei mortali, quantunque non sia celata alla fede dei buoni la giustizia di ciò che è celato.

(Agostino, De civit. Dei, 20, 2)


5. Per quali anime dopo la morte sono di giovamento le messe le elemosine?

Durante il tempo posto tra la morte dell`uomo e l`ultima risurrezione, le anime stanno in dimore nascoste, di riposo o afflizione, a seconda che ciascuna ne è degna per ciò che ha meritato mentre viveva nella carne.
Non si può negare che le anime dei defunti vengano confortate dalla pietà dei loro cari viventi, quando costoro per esse offrono il sacrificio del Mediatore o distribuiscono in chiesa elemosine Ma questi suffragi giovano a coloro che durante la vita meritarono di potersene poi giovare. Vi è infatti un genere di vita, né così buono, da non aver bisogno di tali suffragi dopo la morte, né cosí cattivo, da non giovargli. Vi è poi un genere di vita, cosí buono, da non abbisognarne; ed infine, uno cosí cattivo, da non potersene avvantaggiare dopo il passaggio da questa vita. Perciò, già quaggiú, si acquista ogni merito, in base al quale la situazione dopo la vita può essere o sollevata o aggravata. Nessuno si illuda di meritare presso Dio, dopo la morte, ciò che qui ha trascurato.
Questi suffragi, dunque, che la Chiesa celebra per i defunti, non sono affatto contrari al detto dell`Apostolo: Tutti infatti staremo davanti al tribunale di Cristo, perché ciascuno riceva secondo quel che ha fatto finché era nel corpo, sia in bene che in male (2Cor 5,10). Anche questo si è meritato ciascuno mentre viveva quaggiú: che i suffragi gli possano essere di vantaggio. Non a tutti infatti giovano; e perché non a tutti giovano se non per la differente vita condotta da ciascuno nel corpo? Quando poi per tutti i battezzati defunti vengono offerti o il sacrificio dell`altare o i sacrifici dell`elemosina, per i molto buoni sono rendimento di grazie; per i non molto cattivi sono propiziazione; per i molto cattivi, pur non essendo aiuto per i defunti, sono una qualche consolazione per i vivi. A coloro cui giovano, o ottengono che la loro remissione sia piena, o certamente che la loro stessa condanna sia piú sopportabile.

(Agostino, Enchirid., 29, 109-110)


6. Il tormento eterno

Dopo la risurrezione, quando il giudizio universale avrà avuto luogo e la sentenza sarà stata eseguita, verranno posti confini precisi alle due città, a quella cioè di Cristo e a quella del diavolo; una dei buoni, l`altra dei cattivi: ma l`una e l`altra composte di angeli e di uomini. Gli uni non avranno piú la volontà, gli altri non avranno piú la capacità di peccare. Inoltre, non vi sarà nessuna possibilità di morire: gli uni godranno felici in perpetuo della vita eterna; gli altri, infelici, saranno immersi nella morte eterna senza la possibilità di morire: per entrambi non esiste fine. Ma, nella beatitudine, un beato sarà piú glorioso dell`altro, e anche nella miseria (della dannazione), ad un dannato la sua situazione sarà piú tollerabile che all`altro.
Inutilmente perciò alcuni, anzi molti, commiserano con sentimento umano l`eterna pena dei dannati e i loro tormenti perenni, ininterrotti, e non si sentono di ammettere una simile realtà. Costoro non intendono opporsi alle divine Scritture, ma solo sono portati ad intendere con maggior malleabilità e ad interpretare in senso piú blando ciò che nelle Scritture sarebbe espresso - essi pensano - piú per incutere terrore che per annunciare la verità. Dicono infatti: Dio non si dimenticherà di essere misericordioso, e conterrà la sua ira per la sua grande clemenza (Sal 76,10). Sono parole che leggiamo in un salrno; ma possiamo applicarle senza perplessità solo a coloro che vengono chiamati vasi di misericordia (Rm 9,23), poiché anch`essi non grazie ai loro meriti, ma per la bontà di Dio sono liberati dalla miseria. Ma se quelli pensano che tali parole si riferiscano a tutti, non è necessario tuttavia dover ammettere che abbia fine la dannazione di coloro dei quali è stato detto: Ed essi se ne andranno al supplizio eterno (Mt 25,46), per non essere costretti ad ammettere che un giorno avrà fine anche la felicità di coloro dei quali è stato detto, al contrario: «Ma i giusti se ne andranno alla vita eterna».
Che invece la pena dei dannati talvolta sia un po` mitigata, lo possono sempre ammettere, se lo vogliono. Giacché il fatto che su di loro resta l`ira di Dio (cf. Gv 3,36), cioè la dannazione stessa - è questa infatti che vien detta ira di Dio, non una perturbazione dell`animo divino - può essere interpretato nel senso che egli, nella sua ira, ossia nel perdurare della sua ira, non ferma la sua misericordia: e ciò, non ponendo fine al supplizio eterno, ma interrompendo talvolta o alleviandone le pene. Il salmo, infatti, non dice «per por fine alla sua ira», oppure «dopo la sua ira», ma «nella sua ira». Ammesso che questa resti anche nella misura minima possibile, perdere il regno di Dio, essere esiliati dalla città di Dio, venir sottratti alla vita di Dio, mancare della immensa e molteplice dolcezza di Dio, da lui riserbata a coloro che lo temono e da lui elargita a quanti in lui sperano, è una pena tanto grande, che non ammette confronto con nessun tormento conosciuto quaggiú, per quanti secoli dovesse durare, giacché quei tormenti sono eterni.
Senza fine dunque durerà la morte eterna dei dannati, cioè la loro privazione della vita di Dio; e precisamente in ciò consisterà la pena comune a tutti i dannati, per quanto gli uomini, guidati dal loro sentimento di umanità, possano figurarsi che le pene siano varie o che i dolori vengano interrotti o alleviati.

(Agostino, Enchirid., 29, 111-113)


7. La morte del giusto è un premio

Ma perché dev`essere cosí duro ciò che un giorno o l`altro bisognerà pur soffrire? Ci rattristiamo per la morte di qualcuno: ma siamo forse nati per vivere eternamente qui? Abramo, Mosè, Isaia, Pietro, Giacomo e Giovanni, Paolo - il vaso d`elezione - e perfino il Figlio di Dio, tutti sono morti; e proprio noi restiamo indignati quando qualcuno lascia il suo corpo? E pensare che probabilmente, proprio perché il male non riuscisse a fuorviare la sua ragione, è stato portato via! La sua anima, infatti, era gradita a Dio; per questo lui s`è affrettato a toglierla di mezzo all`iniquità (Sap 4,11-14), in modo che durante il lungo viaggio della vita non si smarrisse in sentieri traversi.
Piangiamoli, sí, i morti; ma solo quelli che piombano nella Geenna, quelli divorati dall`inferno, quelli per i quali è acceso un fuoco eterno! Ma se noi, quando lasciamo questa vita, siamo accompagnati da una schiera di angeli, se Cristo ci viene incontro, rattristiamoci piuttosto se ha da prolungarsi la nostra permanenza in questa residenza sepolcrale. E poiché, effettivamente, per il tempo che qui ci attardiamo, siamo come degli esiliati che camminano lontani dal Signore, il desiderio, l`unico, che ci deve trascinare, è questo: Me infelice! il mio esilio si prolunga; abito fra i cittadini di Cedar, e da troppo tempo l`anima mia è in esilio! (Sal 119,5-6). Ora, se dire Cedar è dire tenebre, se questo mondo è tenebre - nelle tenebre, infatti, la luce risplende, ma le tenebre non l`accolsero (Gv 1,5) -, rallegriamoci con la nostra Blesilla che è passata dalle tenebre alla luce, e mentre ancora era lanciata nella fede appena accolta, ha ricevuto la corona di un`opera compiuta!

(Girolamo, Epist. 39, 3)
8. Preghiera sulla tomba del fratello piú giovane

O Signore e creatore di ogni cosa, e soprattutto della nostra creta! O Dio degli uomini tuoi, o padre e guida, padrone della vita e della morte, custode e benefattore delle nostre anime! Tu che fai tutto e a suo tempo tutto muti col tuo Verbo creatore come ritieni bene nella profondità della tua saggezza del tuo governo, accogli ora Cesario, primizia del nostro pellegrinaggio a te! Che l`ultimo nato sia stato il primo, lo rimettiamo ai tuoi disegni, da cui tutto è retto; e anche noi accogli a suo tempo, dopo averci guidato in questa carne fino a quando sarà bene; ed accoglici preparati nel tuo timore, e non turbati; fa` che non ci ritiriamo indietro l`ultimo giorno e a forza veniamo strappati da quaggiú, come quelli che amano il mondo e la carne; ma che, con animo pronto, ci affrettiamo per la vita di lassú, immortale e beata, che è in Cristo Gesú, Signore nostro.

(Gregorio di Nazianzo, Oratio in mort. Caesar., 7, 24)


9. Tutta la terra loderà Dio

Alleluia: è la lode di Dio, per noi, affaticati; essa contrassegna quella che sarà la nostra attività nel riposo. Quando infatti, dopo la fatica di quaggiú, giungeremo al riposo di lassú, unico nostro ufficio sarà la lode di Dio, la nostra attività sarà un alleluia...
Quasi un profumo della lode divina, della quiete celeste raggiunge anche noi, ma molto piú ci preme la nostra mortalità. Parlando infatti ci stanchiamo, e desideriamo ristorare le membra; e se diciamo a lungo: alleluia, la lode di Dio ci è onerosa per il peso del nostro corpo. La pienezza dell`alleluia incessante vi sarà solo dopo questo mondo, dopo questa fatica. E con ciò fratelli? Diciamolo quanto possiamo, per meritare di dirlo sempre! Lassú l`alleluia sarà nostro cibo; l`alleluia sarà nostra bevanda, l`alleluia sarà l`attività del nostro riposo, tutta la nostra gioia sarà un alleluia, cioè lode di Dio. E chi loda senza imperfezione, se non chi gioisce senza noia? Quanta forza vi sarà nella mente, quanta fermezza immortale nel corpo, perché l`attenzione della mente non venga mai meno nella divina contemplazione, né le membra soccombano nella continua lode di Dio!

(Agostino, Sermo 252, 9)

27 ottobre 2014
Abbazia Santa Maria di Pulsano

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