Alberto Vianello"La scommessa della risurrezione"

 Letture: Gb 19,1.23-27a; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40 Monastero Marango Caorle (VE)
Tra le Letture scelte per la Commemorazione dei defunti - che ricorre questa domenica -, il Vangelo riporta la promessa di Gesù di farci risorgere dalla morte. È come un impegno che si è preso con noi: non ci resta che improntare la nostra attuale vita a questa prospettiva di
pienezza umana, data dalla resurrezione, fidandoci di Lui. È la scommessa con la quale ci giochiamo (gratis) il premio della vita. Perché la fede è fatta per credere essenzialmente alla vita eterna, per ciascuno e per tutti, promessa e preparata dal Signore. Infatti, «se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1Cor 15,19).

«Tutto ciò che Padre mi dà, verrà a me». Andare a Gesù equivale, per il Vangelo di Giovanni, a credere in Lui. Tutti coloro che instaurano un rapporto con Lui sono un regalo del Padre e una responsabilità di essi che il Figlio si assume. Presi dentro questa grande dinamica divina, a noi è richiesto solo di metterci la nostra piccola fede, che è ancora dono e opera di Dio, tra il Padre e il Figlio.
Così Gesù non «caccia fuori», come fanno invece i rappresentanti dell'istituzione religiosa con il cieco guarito da Gesù, quando con sincerità e ineluttabilità testimonia l'opera di bene che ha ricevuto, la quale non può non venire da Dio (cfr. Gv 9,24-34). Gesù non rispetta la Legge (viola il sabato), ma rispetta l'uomo e il suo bisogno di vedere e di credere che è chiamato alla vita.
Come garanzia di sé, Gesù rivela di avere un unico compito e fine, per il quale spende tutta la sua vita: «Fare la volontà di colui che mi ha mandato». E tale volontà del Padre è «che chiunque vede il Figlio e crede in Lui abbia la vita eterna». Per questo Gesù è venuto e ha compiuto la sua opera: per farci risuscitare dei morti. La vita eterna e la resurrezione dai morti non sono una specie di oggetto di fede messo lì: qualche cosa cui bisogna sforzarsi di credere. Sono, invece, la misteriosa e "incredibile" dinamica del rapporto fra il Padre e il Figlio fatto carne, Gesù. In Dio, Trinità d'amore, essere eterno e perfettissimo, c'è una passione che prende totalmente e condiziona le relazioni addirittura fra le persone: la passione per quella microscopica e poverissima creatura che è l'uomo. È un mistero veramente paradossale: che Dio, anche in se stesso, sia tutto per l'uomo!
Così, in definitiva, per quanto riguarda il destino finale e definitivo dell'uomo, ne va di Dio, più ancora che dell'uomo stesso. Sarebbe Dio a fallire, se l'uomo non potesse giungere alla vita eterna. Invece è Dio che si "realizza", se l'uomo si lascerà prendere dalla resurrezione che il Signore gli dona.

Ma tutto ciò non è una semplice riflessione, dettata dalla Parola di Dio e dalla fede, su ciò che sarà di noi alla fine dei tempi. Si tratta, invece, di una vera e propria esperienza di ciò che già oggi ci contrassegna, in attesa di una piena realizzazione e manifestazione. Già ora, prima di giungere alla morte, dobbiamo vivere da risorti, da appartenenti alla vita piena in Dio e con Dio.
Si tratta di vivere, già ora, "come se..." quella vita fosse ora presente. Non c'è nulla che possa contraddirla del tutto. Magari come il seme nella terra, come minimissimo barlume di luce in mezzo alle tenebre, ma quella vita già ci appartiene; oppure, meglio, noi apparteniamo ad essa.
La resurrezione dalla morte è il coronamento di tutto il disegno di Dio per l'uomo: un disegno che è tutto amore. Se alla prospettiva della felicità eterna siamo chiamati a corrispondere, in qualche modo, con la nostra fede e le nostre opere di carità (cfr. Mt 25,31-46), essa è pienamente solo espressione della gratuità del Signore nei nostri confronti. È la potenza della sua gratuita: al di là di ogni merito, come al di là di ogni rifiuto.

In definitiva, la nostra vita deve essere come la scala del sogno di Giacobbe. Essa sale fino al cielo, ma lo può fare solo se, come ogni scala, è ben poggiata sulla terra: dicono i rabbini.
La morte delle persone che ricordiamo in questo giorno è come l'affondare bene le basi per poter saldamente salire fino a vedere Dio e vedersi vere persone, in tutta la propria ricchezza umana, senza macchia e senza difetti.

Alberto Vianello

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