Enzo Bianco, sdb "NOI CRISTIANI, CITTADINI DI DUE REGNI"

19 ottobre 2014 | 29a Domenica A  -  T. Ordinario | Omelia di approfondimento
Dunque i nemici del Signore "tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi". E scelgono come oggetto del contendere qualcosa di attuale allora, e ancor più attuale oggi: le tasse. E ottengono da Gesù l'unico suo pronunciamento politico esplicito che sia giunto a noi.
ANCHE ALLORA, LE TASSE
Il popolo ebreo pagava le tasse con lo stesso entusiasmo con cui le paghiamo noi. In più sapeva che il tributo non finiva nelle mani dei suoi capi ma degli stranieri e invasori, i
Romani, che occupavano militarmente il paese. Così quel giorno alcuni farisei vanno a porre a Gesù la domanda: "È lecito o no, pagare il tributo a Cesare?".
Col nome Cesare tutti allora chiamavano l'imperatore romano, chiunque egli fosse. In realtà il famoso Giulio Cesare era morto già da una settantina d'anni. In seguito si è continuato a utilizzare questo titolo lungo i secoli: ancora oggi i tedeschi dicono Kaiser e i russi Zar, che derivano proprio dal latino Caesar.

" Dunque, è lecito? Le tasse erano un grosso problema per gli ebrei. Religiosissimi, mettevano Dio al centro di tutto, consideravano Dio come loro re. Era un modo di pensare, una dottrina, diffusa: la teocrazia. Quanto ai romani, i romani imponevano agli ebrei un imperatore lontano da loro le mille miglia. Era un certo Tiberio, al potere dal 14 al 37 d.C., che praticava i riti pagani. E pur essendo un comune mortale, veniva adorato come divinità. Un abominio per gli Israeliti.

? Il tributo a Cesare consisteva in una cifra per testa, da pagare ai Romani per ogni uomo, donna o schiavo, di età compresa tra i 12 e i 65 anni. Veniva versata in moneta romana, e ammontava a un denaro (denarius), pari al salario giornaliero di un bracciante.
Il denarius, circolante in tutto l'impero, recava l'effigie di Tiberio, e con l'iscrizione lo proclamava "divus et pontifex maximus", cioè divino, e pontefice massimo.
L'esistenza del tributo e il modo energico in cui veniva riscosso causavano forti divisioni e tensioni tra i giudei. Proprio a quell'imperatore pagano, che usurpava il titolo della divinità, gli ebrei adoratori dell'unico vero Dio erano costretti a pagare le tasse. Ecco il loro grosso problema.

QUELLA DOMANDA ERA UN TRANELLO

La domanda posta dai farisei a Gesù era astuta, era un tranello. "È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?". Gesù può rispondere sì o no, e in ogni caso si squalifica.
- Se dice sì, gli ebrei di tendenza nazionalista gli possono rinfacciare: "Tu sei un nemico del tuo popolo, ti sei venduto agli stranieri. E perché mai noi dovremmo seguirti?".
- Se dice no, gli amanti del quieto vivere lo accuseranno: "Ti metti contro i Romani, sobilli il popolo alla ribellione, e attiri così su di noi la repressione violenta dei legionari di Roma".
Sembra che per Gesù non ci sia una via d'uscita. E invece Gesù la trova.

" "Mostratemi la moneta del tributo. Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?" Essi guardano con disgusto il volto esecrato del divo Tiberio riprodotto sulla moneta, e rispondono: "Di Cesare". Allora Gesù - re in incognito d'un regno che non è di questo mondo - conclude come sappiamo: "Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio". Ha parlato la sapienza divina.

" La risposta di Gesù non è solo un gioco di parole, anche se la sua proposta, a pensarci bene, non è traducibile nei fatti. Non si può staccare da una moneta l'immagine e l'iscrizione coniate sopra. Ma Gesù contrapponendo una cosa concreta, la moneta, a un'immagine evanescente, segnala anche la sproporzione fra i due termini: Dio e Cesare, regno dei cieli e un effimero regno umano.
Cesare - per quanto grande e venerato e temuto - risulta solo un mortale, con una consistenza storica di breve durata; Dio invece è l'eterno creatore del mondo, dei regni umani e delle loro rotolanti monete.

NON UN AUT-AUT, MA UN ET-ET

Di fatto Gesù non ha accettato l'alternativa - lecito o no - ma suggerito di mandare avanti i due progetti insieme. I regni umani, e il regno del cielo. Come dicevano allora in latino, e i dotti dicono ancora oggi, non si trattava di un aut-aut (o l'uno o l'altro), ma si tratta di un et-et, sia l'uno che l'altro.
Gesù spiega così che questo pagare il tributo allo Stato non è in contrasto col rendere a Dio quel che gli è dovuto, cioè adorazione e amore filiale. Sono due doveri che il buon cittadino cristiano cercherà di armonizzare.
In tal modo Gesù con la sua risposta ha messo in risalto i diritti di Dio, e insieme i diritti dell'imperatore. Ma posti su due piani ben differenti. Com'è suo solito, conclude la disputa con un colpo d'ala: si mette al di sopra dei litigi, e consegna agli uomini una verità più profonda.

" La risposta di Gesù vale anche oggi, per le nostre tasse. Che ci sono sempre, come diceva Benjamin Franklin: "In questo mondo nulla è sicuro, tranne la morte e le tasse". Gesù viene a dire come hanno da comportarsi i cristiani, inseriti in una doppia realtà:
- essi sono cittadini di uno Stato su questa Terra,
- e insieme sono cittadini del Regno dei Cieli.
Cittadini di due regni. E non c'è da spaccare la moneta in due.

" Non resta che concludere con Gesù. Pagare le tasse con cui si tiene in piedi la baracca dello stato, purché rimanga qualche spicciolo per comprare le caramelle ai figli e ai nipotini. E soprattutto dare con gioia a Dio quel che spetta a Dio, quel che abbiamo di più prezioso: il nostro affetto e il nostro amore.
                                                                                   Enzo Bianco, sdb

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