JUAN JOSE BARTOLOME sdb,Lectio Divina : Mt 21,33-43

   5 ottobre 2014 | 27a Domenica A - T. Ordinario | Omelia di approfondimento
Gli uditori di Gesù dovettero capire, senza grandi difficoltà, la parabola che abbiamo appena ascoltato. La similitudine della vigna è, nella Bibbia, una risorsa tradizionale per alludere alla relazione di Dio col suo popolo. Per gli uomini che avevano come ideale di vita il possesso di un vigneto ed il suo usufrutto, la vigna era immagine di tutto quello che, in vita, potevano desiderare e per la quale affannarsi; da bravi
agricoltori che erano, sapevano delle attenzioni e dei lavori che una vigna procura al suo padrone e, pertanto, erano qualificati per intuire le attenzioni e lo sforzo che Dio investiva in essa, purché si vedessero come proprietà divina. Perché, in realtà, è di ciò, delle attenzioni di Dio verso i suoi, che tratta la parabola; essere un bene di Dio porta con sé responsabilità: bisogna lavorare e dare frutto.
33 In quel tempo, disse Gesù ai sommi sacerdoti e agli anziani del paese:
"Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio, e costruì una torre. La diede in affitto ad alcuni contadini e se ne andò lontano.
34 Arrivato il tempo della vendemmia, inviò i suoi domestici dagli agricoltori, per percepire i frutti che gli spettavano. 35Ma gli agricoltori, afferrando i domestici, bastonarono uno, ammazzarono un altro, ed un altro lo lapidarono.
36 Inviò di nuovo altri domestici, più numerosi che la prima volta, e fecero con essi la stessa cosa.
37 Infine mandò suo figlio, dicendosi: "Avranno rispetto per mio figlio."
38 Ma gli agricoltori, vedendo il figlio, si dissero: "Questo è l'erede venite, uccidiamolo e avremo la sua eredità."
39 E, afferrandolo, lo spinsero fuori della vigna e lo uccisero.
40 Ed ora, quando torna il padrone dalla vigna, che cosa farà a quegli agricoltori?"
41Gli risposero: "Farà morire miseramente quei malvagia ed affitterà la vigna ad altri agricoltori che gli consegneranno i frutti a suo tempo."
42 E Gesù dice loro: Non avete letto mai nella Scrittura: "La pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra d'angolo; questo è stato fatto dal Signore, ed è una meraviglia ai nostri occhi".
43 Perciò io vi dico che vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che ne produca i frutti."
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Gesù continua a rispondere, velatamente, alla domanda che gli hanno fatto i capi del popolo sulla sua autorità, dopo avere espulso i mercanti dal Tempio. Il motivo della parabola è, dunque, polemico. Nella sua risposta, come normalmente fa, lascia trascurata la questione che l'ha originata e va più in là: egli non deve dare ragione del suo comportamento, bensì i suoi obiettori devono rispondere a Dio, 'dare-obbedienza', sotto pena di essere diseredati come Popolo di Dio.
Nella parabola del vignaiolo ed i salariati, Gesù ricorre all'esperienza degli uditori, e con una contundente conclusione, si appoggia sulla Parola di Dio: vi sarà tolto il Regno e si darà ad altri. Simile affermazione sta in totale contraddizione con la fede e l'esperienza dell'Israele che sapeva che il suo Dio non l'aveva mai abbandonato nonostante le sue ripetute infedeltà né l'abbandonerebbe mai per preferire altri. La sorpresa, l'offesa, e l'indignazione, degli uditori di Gesù non potevano essere maggiori, né più giustificate.
Il messaggio della parabola non si incentra né nella vigna né nei lavoratori, bensì nel suo proprietario. È il protagonista permanente: gli altri, vigne e vignaioli, reagiscono alla sua attuazione. Chi vuole captare il senso della similitudine, non potrà dimenticarlo. Curioso ed inaspettato è che, dopo avere lavorato personalmente la sua vigna, piantò, accerchiò, vangò, costruì, affittò, la lasciasse in mano di alcuni salariati affinché la facessero fruttificare. Affittare una proprietà era il modo usuale di sfruttamento che avevano i proprietari terrieri. Logico, inoltre, che pensasse di riscuotere a tempo debito la sua parte ed inviasse per due volte alcuni servi e, davanti all'ingiustificabile reazione dei vignaioli, il suo proprio figlio. Una missione, questa, non molto azzeccata, ma era la cosa massima che il padrone avrebbe potuto fare per riuscire a ricevere quello che gli era dovuto. Non fu neanche intelligente, oltre ad essere illegittima, l'ostinazione degli agricoltori: uccidere il figlio, inviato del padre, non dava loro destro, neanche speranze, di possedere un giorno la vigna affittata. Furono, dunque, infedeli alla cosa pattuita ed ignoranti. La conclusione è tanto ovvia che Gesù gliela fa formulare ai suoi rivali: la logica della giustizia sa imporsi; i primi affittuari non furono degni della fiducia del loro signore; perderanno quella fiducia e la vigna che tanto volevano.
Quello che non si aspettano certamente le autorità è che Gesù si appoggi di seguito su una citazione biblica (Sl 118,22-23) per svelare che Dio tratterà il suo popolo come il proprietario della vigna i suoi braccianti. Quello che in bocca di Gesù è grave minaccia, in mano del redattore del vangelo è fatto accaduto. Ciò conferisce alla sentenza un'inaudita gravità: chi non restituisce a Dio quello che gli è dovuto, perderà Dio e quanto gli fu confidato. Se Dio lo fece con l'Israele, perché non lo farà col 'nuovo' popolo di Dio?
2 - MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Una parabola è, ora in bocca di Gesù, simbolo della relazione di Dio col suo popolo. Il Regno di Dio sarà di coloro che pensano a dare frutti e non toglierli a chi sono dovuti. L'avvertimento continua ad essere valido anche oggi: non c'è privilegio alcuno di fronte a Dio, l'elezione passata obbliga oggi ad una maggiore responsabilità. Chi non è all'altezza delle esigenze del suo Dio non avrà il suo regno come podere. Non ci si può illudere - e l'avvertenza è, in primo luogo, per la comunità cristiana - di ottenere l'eredità di Dio, se prima non si sono riconosciuti i suoi diritti.
Un uomo, dopo avere lavorato duramente piantandosi una vigna, la lasciò in mano di alcuni agricoltori. Logico che, arrivato il tempo della vendemmia, pensasse di ottenere qualche beneficio. Tuttavia, i lavori che il proprietario fece alla sua vigna furono ignorati dagli affittuari, la stessa cosa che i suoi legittimi diritti; arrivarono a credere che rifiutarsi di rendere conto li avrebbe resi più facilmente proprietari; mantenendo per sé quanto era dovuto al padrone, si illudevano di impossessarsi di quello che non era loro; più ancora, dopo non avere riconosciuto i diritti del suo padrone, si permettono di togliere la vita ai suoi inviati; privando il suo signore dei domestici, in primo luogo, e dell'erede, dopo, pensano che l'erediteranno. La reazione del padrone della vigna non poteva essere un'altra; gli stessi uditori di Gesù l'indovinano: 'farà morire miseramente quei malvagi ed affitterà la vigna ad altri agricoltori che consegneranno i frutti a suo tempo'.
La parabola si chiude con una grave avvertenza di Gesù: vi dico 'che vi sarà tolto il Regno e sarà dato a chi produce i frutti'. Possono perdere i doni di Dio quanti li hanno già ottenuti, se non agiscono da semplici affittuari di quanto hanno, cioè, se non danno, di quanto hanno, i frutti dovuti. Il regno non sarà di chi l'ha ottenuto già, bensì di quanti, oltre a possederlo, sappiano farlo fruttificare. Non possono perdere Dio ed il suo regno che non possiedono ancora, se non coloro che non vogliono rendere conto di esso. Credersi senza obblighi suppone negare a Dio i suoi diritti.
Con la sua parabola Gesù ha voluto assicurare ai suoi uditori due norme che caratterizzano il comportamento di Dio coi suoi: la sua personale preoccupazione per essi, la fatica che procura la sua attenzione; nessuno lavora di più in una vigna che il suo padrone; nessuno si preoccupa dei suoi tanto quanto Dio. Allo stesso tempo Gesù ci ricorda il dovere di dare i frutti corrispondenti a tante fatiche: ogni affittuario, per esserlo, rimane in debito col proprietario. Il regno di Dio sarà di chi pensa a dare i frutti, non appartiene a chi si nega di riconoscersi debitore. L'avvertimento continua ad avere oggi il suo valore: non c'è privilegio alcuno di fronte a Dio, la sua elezione passata obbliga oggi a maggiore responsabilità. Avere ottenuto la sua grazia ci obbliga a vivere di lei; quanto più si è ricevuto da Lui, tanto maggiore sarà il nostro debito contratto con Lui e la nostra responsabilità; chi non è all'altezza delle esigenze del suo Dio non avrà il suo regno come podere. Non ci si può illudere - e l'avvertimento è, in primo luogo, per la comunità cristiana - non si può ottenere un giorno l'eredità di Dio per sempre se prima, e sempre, non si sono riconosciuti i suoi diritti.
Orbene, per potere rispondere di quanto abbiamo, dobbiamo riconoscere, previamente, ciò che abbiamo ricevuto. È molto probabile che ci stiamo credendo che di niente, né di nessuno, dobbiamo rispondere davanti a Dio, perché pensiamo che niente di quanto possediamo, né nessuno di quanti amiamo, li abbiamo ricevuti da Lui. Finché continuiamo a pensare che quanto possediamo l'abbiamo ottenuto noi, col nostro sforzo e diligenza, non riusciremo a sentirci in debito con Dio né grati con Lui. E, come gli affittuari della parabola, cerchiamo con tutti i mezzi di entrare in possesso di beni che non sono nostri, i beni di Dio non li ottengono i buoni, bensì coloro i quali gli rimangono grati: Dio non si dà a chi crede di meritarlo, si arrende a chi si dedica a ringraziarlo. Ognuno mantiene i doni di Dio, se mantiene, costi quel che costi, il debito che si ha con Lui e si mantiene in continua gratitudine.
Dimenticarsi, dunque, dei benefici ricevuti, ricusare di saldare il debito di gratitudine con Dio, è il primo passo per attentare ai suoi diritti ed alla sua eredità. Non entreremo in possesso dei doni che Dio ci ha fatto già nella vita, se non dedichiamo la vita intera a ringraziarlo ed a rendergli conto. Tutto quanto Dio abbia fatto già per noi sarà motivo di accusa, se ora che l'abbiamo non lo viviamo come ringraziamento a lui. La prima, e migliore, forma di ringraziare Dio per i beni ricevuti è, dunque, responsabilizzarsi di essi: saldiamo il debito di gratitudine che abbiamo con Dio, quando riconosciamo che Egli è l'origine dei nostri beni e che, precisamente per ciò, li mettiamo a sua disposizione e sotto la sua sovranità.
Prendere sul serio la necessità di vivere grati a Dio e responsabilizzandoci dei suoi beni, ci porterebbe, inoltre, a scoprirci motivo della sua preoccupazione ed oggetto delle sue attenzioni: come il padrone che, prima di affittare la sua vigna, l'ha lavorata personalmente e che aspetta i suoi frutti solo dopo essersi occupato di lei, il Dio di Gesù chiede da noi quello che gli dobbiamo, i frutti di quanto abbiamo e chiede, soprattutto, che riconosciamo il suo interesse e le sue attenzioni. Dovremmo sentirci orgogliosi di avere un Dio così: ha investito in noi speranze e fatiche, come il vignaiolo nella sua vigna; e si fida di ottenere da noi tutto quello che ci diede. Di un Dio così non è logico avere paura né mantenersi lontano; sfortunatamente, come ci avvisa Gesù nella parabola, per non dovere riconoscerlo come origine e causa dei beni che disponiamo, continuiamo rifiutando di rispondere di essi come servi grati; la cosa tragica è che, come nota Gesù, quelli che si rifiutano di rispondere dei doni ricevuti in vita finiscono sempre per negare la vita a chi glielo ricorda, siano essi servi del padrone o il suo proprio figlio.
Viviamo in un mondo che si crede libero di Dio e che si rifiuta di rispondere degli altri; non alimentando nessun sentimento di riconoscimento per quanto Dio ha fatto, fa o volesse fare, per noi, non riusciamo a sentirci grati con Dio né responsabili di quanto, persone o cose, mise nelle nostre mani. C'è solo un modo probatorio di mostrare al mondo che oggi continuiamo a contare su Dio ed i suoi doni: rispondere davanti a Lui di quanto ha messo nelle nostre mani. Non ci sentiremo grati con Dio mai, se non viviamo indebitati con Lui: per i benefici che ci ha fatto e dell'azione di grazie che gli dobbiamo, gli dobbiamo il nostro riconoscimento ed i suoi frutti.

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