Luca Desserafino sdb"Del Signore è la terra e quanto contiene"
1 novembre 2014 | 30a / Tutti i Santi A | T. Ordinario | Omelia di approfondimento
Nei due giorni prossimi la Chiesa ci fa partecipare a due importanti eventi: la Solennità di tutti i santi e poi la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Due feste che non a caso la Chiesa mette vicine consecutivamente, la solennità di
tutti i santi ci ricorda, infatti, quale è la meta di ogni uomo, di ogni credente, di ogni battezzato, il termine ultimo a cui tutta la creazione è chiamata.
La Commemorazione di tutti i fedeli defunti ci ricorda che la vita è qualcosa di concreto, ci ricorda la differenza tra Creatore e creatura, non perché questa differenza sia divisione, ma perché possiamo prendere sempre più coscienza che dobbiamo lasciare che il progetto del Creatore si realizzi nella nostra vita quoditina, e di più, noi siamo chiamati in prima persona a collaborare a questo progetto non solo facendo in modo che si realizzi nella nostra vita, ma che esso possa essere fatto conoscere e quindi realizzarsi in ogni creatura.
In questa Solennità la liturgia della Parola ci mostra quale sia il cammino da fare per giungere pronti alla meta cui il Padre da sempre e per sempre ci chiama e vuole che ne facciamo parte.
La prima lettura, tratta dal libro dell'Apocalisse di San Giovanni, con il solito linguaggio simbolico, caratterizzante di tutto questo libro, ci proietta in una visione delle realtà ultime. Il trono, l'Agnello, i centoquarantaquattromila, tutta una ricca simbologia in cui è racchiuso il senso del brano. Innanzitutto il trono, il trono di Dio, il trono dell'Angello, Agnello immolato, ma ritto, quindi vivente, simbolo del Risorto, di colui che ha vinto la morte, e i rami di palma fanno eco a quei rami che la liturgia ricorda la domenica delle palme.
E per meglio comprendere il numero, che nel libro ricorre parecchie volte, dei 144.000 è bene dire che dietro ad esso si cela una ben definita interpretazione che fa parte del linguaggio apcalittico. Innanziututto il già negli scritti antichi la cifra ha un valore qualitativo, caratteristica dell'Apocalisse è la combinazione di numeri, nel nostro caso la cifra è il prodotto di una moltiplicazione:
12 x 12 x 1000.
Dodici sono le tribù d'Israele e Dodici sono gli Apostoli. Il fatto che le due cifre siano moltiplicate indica una ideale unione delle 12 tribù e dei 12 apostoli in un unico popolo di Dio; la loro finale moltiplicazione per 1000 esprime il coinvolgimento reale di questo popolo nell'azione salvifica dell'Agnello.
Questo numero, allora, offre indicazionie per identificare questi personaggi in persone, sia dell'Antica che della Nuova Alleanza, che si sono particolarmente legate all'azione operata dall'Agnello in seno alla storia. dunque non si tratta di una moltitudine anonima, ma di un gruppo di persone, che si distinguono per un ruolo specifio da svolgere accanto all'Agnello.
E allora possiamo davvero comprendere che "la salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all'Agnello" e anche che questa salvezza viene partecipata a tutti coloro che nello Spirito dell'Angello "lavano le loro vesti nel suo sangue per renderle più bianche".
La seconda lettura, tratta dalla prima lettera di san Giovanni, ci indica un Dio che per primo ci ha amati e in Gesù ci ha resi suoi figli adottivi. Da qui la consapevolezza che nella nostra vita tutto è dono del suo amore. Ed è proprio in Cristo, che il Padre ha fatto dono di tutto se stesso, e ci chiama a vivere una relazione personale e profonda con Lui.
Quanto più cerchiamo di realizzare in noi l'agire di Gesù e Gli restiamo uniti, tanto più entriamo nel mistero della santità divina. Scopriamo di essere amati da Lui in modo infinito, e questo ci spinge, a nostra volta, ad amare i fratelli.
Il brano del Vangelo , tratto dalla versione matteana ci delinea il celebre discorso delle beatitudini. Le Beatitudini ci mostrano la fisionomia spirituale di Gesù e così esprimono il suo mistero, il mistero di Morte e Risurrezione, di Passione e di gioia della Risurrezione. Questo mistero, che è mistero della vera beatitudine, ci invita alla sequela di Gesù e così al cammino verso di essa.
Nella misura in cui accogliamo la sua proposta e ci poniamo alla sua sequela - ognuno nelle sue circostanze - anche noi possiamo partecipare della sua beatitudine; con Lui l'impossibile diventa possibile. Solo allora comprendiamo che le Beatitudini ci promuovono qui sulla terra ad essere nel mondo come Gesù. Prima di noi e più di noi Egli ha vissuto l'ideale delle Beatitudini e in lui uomo tutte le promesse di Dio si sono realizzate. Non siamo quindi difronte a una pura utopia, ma a un programma di vita che è possibile per ogni discepolo.
Essere Santo significa: vivere nella vicinanza con Dio,
vivere nella sua famiglia. E questa è la vocazione di noi tutti.
Per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie,
né possedere carismi eccezionali.
Per essere santi è necessario innanzitutto ascoltare Gesù e poi seguirlo senza perdersi d'animo di fronte alle difficoltà.
L'esempio dei santi è per noi un incoraggiamento a seguire le stesse orme, a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio, perché l'unica vera causa di tristezza e di infelicità per l'uomo è vivere lontano da Lui. La santità esige uno sforzo costante, ma è possibile a tutti perché, più che opera dell'uomo, è anzitutto dono di Dio.
Luca Desserafino sdb
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