Alberto Vianello "Trasformati in carità"

Letture: Ez 34,11-12.15-17; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46 Monastero Marango Caorle (VE)
Il titolo si può leggere ponendo l'accento sia sulla "o" sia sulla "a" della prima parola.
Quando vediamo il primo frutto sull'albero, la primizia, sappiamo che inizia la bella stagione, nella i quali frutti si moltiplicheranno. Quella «primizia», dice la seconda Lettura, è la risurrezione di Gesù Cristo dai morti. Essa è avvenuta. Ora possiamo aspettare tutti gli altri suoi frutti: «in Cristo tutti riceveranno la vita». E la pienezza di cui potremo godere sarà che «Dio sia tutto in tutti». È ciò che contempliamo nella festa di Cristo Re.

Nella nostra vita e nella vita del mondo noi sperimentiamo come il bene (che viene sempre da Dio) sia mescolato al male, come il grano cresce in mezzo alla zizzania. Noi vorremmo estirpare subito le erbacce, ma correremmo il rischio di togliere anche il grano. Meglio aspettare che il frutto sia maturo: nella mietitura si potrà separare. Come fa il pastore con le pecore e i capri, dicono la prima e la terza Lettura.
Il «giudizio» che si attende per i tempi finali e definitivi, quelli del Regno del Figlio dell'uomo, non ha nulla di vendicativo e neppure di inesorabile e distaccata valutazione: come se non valessero più le persone, ma soltanto i loro atti compiuti. Sarà, invece, la trasparenza e il trionfo, finalmente, di tutto il bene voluto e compiuto sulla terra. Saremo sì giudicati sulla carità: è il grande messaggio del brano evangelico. Ma non per stabilire se saremo adatti o meno alla beatitudine eterna. Bensì perché tutto il nostro essere sia adattato a stare per sempre al cospetto di Dio, unico e sommo bene. Insomma, noi vorremmo che oggi ci fosse solo il bene non mescolato al male, che ci fa far fatica nel credere al Signore e alla sua opera di bene. Mentre ci preoccupiamo di una dimensione di «giudizio» divino alla fine dei tempi, e preferiremmo essere accolti così come siamo, quindi senza separare il bene dal male in noi. Siamo proprio rovesci! Da credenti e da donne e uomini, davanti a tanta negatività del mondo attuale, non dovremmo tanto chiederci dove va l'uomo e dove è Dio, quanto credete nella forza dei piccoli semi di bene posti nel terreno di questo mondo e dovremmo perciò sforzarci di seminarli. Ciò che è più inattuale è il male con il suo non rispetto dell'uomo. Perchè ciò che è più reale è il bene finale e definitivo di Dio in Gesù Cristo.

La carità, il prendersi cura dell'altro, l'amore per i poveri sono un valore civile, prima che religioso. Esso è poi presente anche nelle altre religioni, non solo in quella cristiana. Eppure la Parola di Dio ce ne rivela una dimensione particolare. Gesù dice: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare... Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Il bene non è semplicemente un comportamento morale: cioè un fare positivo. Per il cristiano è un atto di fede, non un'azione buona. Il Signore si identifica con qualsiasi povero che incontra la cura di un credente. Ciò che avviene in ogni atto di carità è rendere presente il Signore.
Non si tratta tanto di vedere nel povero Gesù Cristo. Infatti i giusti, nel racconto del Vangelo, non sapevano che il loro dare da mangiare all'affamato, dare da bere all'assetato ecc. fosse fatto a Lui. L'intenzione a far risalire l'azione al Signore è applicata da Lui, non da chi fa l'azione. Del resto, quante persone si spendono nel fare il bene senza alcuna motivazione di fede! La carità la si fa per passione dell'uomo, che diventa con-passione del povero. Perché sperimentiamo come ogni giorno il Signore si prende cura di noi e della nostra povera vita. E sarà Lui a dare valore eterno a quel gesto che tante volte ci vergogniamo di fare.

Affamati, stranieri, nudi, malati, carcerati: non prendersi cura di loro rappresenta, per un credente, la più vera eresia, quella che esclude dal paradiso. Possiamo anche avere un'idea un po' confusa e non pienamente ortodossa del Signore, possiamo avere una situazione di vita anche non del tutto "canonica", ma questo non pregiudica, in via di principio, la partecipazione alla beatitudine eterna. Quello che invece la pregiudica in modo ingiustificabile e irreparabile è la mancanza di accoglienza di queste situazioni concrete di povertà.
Ogni linea politica e ogni prassi che afferma tale rifiuto dovrebbe vedere i fedeli cristiani come sani ribelli e i coerenti applicatori di questa parola ultima e definitiva del Vangelo.

Alberto Vianello

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