Enzo Bianchi Commento Vangelo Prima Avvento "Vegliate!"
I domenica di Avvento, annata B Monastero di Bose
Entriamo nel tempo dell’Avvento (adventus, venuta), ascoltando le ultime parole del discorso escatologico di Gesù nel vangelo secondo Marco (cf. Mc 13,1-37). Un discorso che Gesù aveva iniziato rivolgendosi ai quattro discepoli
chiamati per primi e più coinvolti nella sua vita – Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea (cf. Mc 13,3-4) –, e che ora egli termina indirizzandosi “a tutti”, con un’esortazione impellente: “Vegliate!”. Questo imperativo appare nel nostro brano come un ritornello incessante, accanto all’altro: “Guardate!” (cf. Mc 13,5.9.23). Tutte le parole di Gesù, e soprattutto la parabola dell’uomo partito per un lungo viaggio, sono finalizzate al comando del vegliare.
Ma cosa significa vegliare? Vuol dire “stare svegli”, stare con gli occhi aperti, “fare attenzione”, come traduce la versione italiana. È la postura della sentinella che veglia, lottando contro il sonno e soprattutto contro l’intontimento spirituale; che tiene gli occhi ben aperti e scruta l’orizzonte per cogliere chi e che cosa sta per giungere. Vegliare è un esercizio faticoso, perché in esso occorre impegnare la mente e il corpo, ma è un esercizio generato e sostenuto da una speranza salda: c’è qualcuno che giunge, qualcuno che è alla porta; qualcuno che, amato, invocato, ardentemente desiderato, sta per venire. Non è un caso che sanno vegliare soprattutto le sentinelle e gli amanti…
Per noi cristiani la veglia è una necessitas imposta dalla nostra fede nel Signore Gesù Cristo che viene nella gloria. Egli è venuto nell’umiltà della carne in mezzo a noi, condividendo la nostra umanità, “insegnandoci a vivere in questo mondo” (cf. Tt 2,12), e viene presto nella gloria. La sua venuta si imporrà, perché davanti a lui staranno tutta l’umanità e tutta la creazione (cf. Mt 25,31-46). E siccome quel “giorno” verrà all’improvviso, non sarà fissato né provocato da alcuna ragione appartenente a questo mondo, ma risponderà solo a un decreto di Dio, estrinseco alla storia e al mondo, allora occorre essere preparati, e ci si prepara esercitandosi a una lotta senza tregua contro ogni tentazione di abbassare la guardia, di chiudere gli occhi, di non accorgersi di nulla.
Lungo tutto il vangelo Gesù invita a tenere gli occhi aperti per ascoltare la parola di Dio (cf. Mc 4,12; Is 6,9-10), per discernere il lievito dei farisei che si insinua facilmente in noi (cf. Mc 8,15), per non credere a quelli che predicono il futuro come se lo conoscessero (cf. Mc 13,5.21-23). Qui invita a tenere gli occhi aperti per vigilare e vegliare, compito che riassume e dà senso a tutti precedenti. Sì, noi non sappiamo né il giorno né l’ora in cui si compirà questa parola del Signore, parola definitiva su tutta la creazione; non sappiamo quando Gesù Cristo, risorto e vivente in Dio quale Signore, verrà: e questa attesa che dura ormai da quasi duemila anni è faticosa. Nella fede, però, sappiamo che “il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa” (2Pt 3,9) e che ai suoi occhi “un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno” (2Pt 3,8); nella fede siamo certi che la sua parola non può mentire e non può non realizzarsi. Ecco perché lo attendiamo, perseveranti nella preghiera che grida: “Maràna tha! Vieni, Signore” (1Cor 16,22; Ap 22,20).
Questa attesa è dipinta da Gesù nella parabola in cui il Figlio dell’uomo è assente, come un uomo partito per un viaggio. Lasciando la sua casa, costui ha dato ai suoi servi facoltà e responsabilità sulla casa stessa e ha raccomandato al portinaio di vegliare alla porta su chi entra e chi esce. Per quei servi e quel portinaio questo è il tempo della responsabilità: ciascuno ha un compito preciso da svolgere, ciascuno un lavoro di cui rendere conto. Comprendiamo che qui Gesù sta evocando la sua comunità, con dei servi responsabili e un portinaio vigilante, colui che presiede.
Chissà quando il Signore verrà… Potrebbe venire nella sera quando uno dei Dodici, Giuda, lo consegna (cf. Mc 14,17.43) e Pietro, Giacomo e Giovanni dormono, invece di vegliare con lui (cf. Mc 14,32-42); o forse a mezzanotte, quando regna l’oscurità e dominano le tenebre; o forse al canto del gallo, quando il portinaio, Pietro, lo rinnega (cf. Mc 14,72); o forse al mattino, quando ormai la notte è diventata lunga, insopportabile. In ogni caso, arriverà certamente all’improvviso, per questo occorre non essere addormentati ma restare vigilanti, memori del semplice ma decisivo monito di un padre del deserto, abba Poemen: “Non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante”.
Entriamo nel tempo dell’Avvento (adventus, venuta), ascoltando le ultime parole del discorso escatologico di Gesù nel vangelo secondo Marco (cf. Mc 13,1-37). Un discorso che Gesù aveva iniziato rivolgendosi ai quattro discepoli
chiamati per primi e più coinvolti nella sua vita – Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea (cf. Mc 13,3-4) –, e che ora egli termina indirizzandosi “a tutti”, con un’esortazione impellente: “Vegliate!”. Questo imperativo appare nel nostro brano come un ritornello incessante, accanto all’altro: “Guardate!” (cf. Mc 13,5.9.23). Tutte le parole di Gesù, e soprattutto la parabola dell’uomo partito per un lungo viaggio, sono finalizzate al comando del vegliare.
Ma cosa significa vegliare? Vuol dire “stare svegli”, stare con gli occhi aperti, “fare attenzione”, come traduce la versione italiana. È la postura della sentinella che veglia, lottando contro il sonno e soprattutto contro l’intontimento spirituale; che tiene gli occhi ben aperti e scruta l’orizzonte per cogliere chi e che cosa sta per giungere. Vegliare è un esercizio faticoso, perché in esso occorre impegnare la mente e il corpo, ma è un esercizio generato e sostenuto da una speranza salda: c’è qualcuno che giunge, qualcuno che è alla porta; qualcuno che, amato, invocato, ardentemente desiderato, sta per venire. Non è un caso che sanno vegliare soprattutto le sentinelle e gli amanti…
Per noi cristiani la veglia è una necessitas imposta dalla nostra fede nel Signore Gesù Cristo che viene nella gloria. Egli è venuto nell’umiltà della carne in mezzo a noi, condividendo la nostra umanità, “insegnandoci a vivere in questo mondo” (cf. Tt 2,12), e viene presto nella gloria. La sua venuta si imporrà, perché davanti a lui staranno tutta l’umanità e tutta la creazione (cf. Mt 25,31-46). E siccome quel “giorno” verrà all’improvviso, non sarà fissato né provocato da alcuna ragione appartenente a questo mondo, ma risponderà solo a un decreto di Dio, estrinseco alla storia e al mondo, allora occorre essere preparati, e ci si prepara esercitandosi a una lotta senza tregua contro ogni tentazione di abbassare la guardia, di chiudere gli occhi, di non accorgersi di nulla.
Lungo tutto il vangelo Gesù invita a tenere gli occhi aperti per ascoltare la parola di Dio (cf. Mc 4,12; Is 6,9-10), per discernere il lievito dei farisei che si insinua facilmente in noi (cf. Mc 8,15), per non credere a quelli che predicono il futuro come se lo conoscessero (cf. Mc 13,5.21-23). Qui invita a tenere gli occhi aperti per vigilare e vegliare, compito che riassume e dà senso a tutti precedenti. Sì, noi non sappiamo né il giorno né l’ora in cui si compirà questa parola del Signore, parola definitiva su tutta la creazione; non sappiamo quando Gesù Cristo, risorto e vivente in Dio quale Signore, verrà: e questa attesa che dura ormai da quasi duemila anni è faticosa. Nella fede, però, sappiamo che “il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa” (2Pt 3,9) e che ai suoi occhi “un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno” (2Pt 3,8); nella fede siamo certi che la sua parola non può mentire e non può non realizzarsi. Ecco perché lo attendiamo, perseveranti nella preghiera che grida: “Maràna tha! Vieni, Signore” (1Cor 16,22; Ap 22,20).
Questa attesa è dipinta da Gesù nella parabola in cui il Figlio dell’uomo è assente, come un uomo partito per un viaggio. Lasciando la sua casa, costui ha dato ai suoi servi facoltà e responsabilità sulla casa stessa e ha raccomandato al portinaio di vegliare alla porta su chi entra e chi esce. Per quei servi e quel portinaio questo è il tempo della responsabilità: ciascuno ha un compito preciso da svolgere, ciascuno un lavoro di cui rendere conto. Comprendiamo che qui Gesù sta evocando la sua comunità, con dei servi responsabili e un portinaio vigilante, colui che presiede.
Chissà quando il Signore verrà… Potrebbe venire nella sera quando uno dei Dodici, Giuda, lo consegna (cf. Mc 14,17.43) e Pietro, Giacomo e Giovanni dormono, invece di vegliare con lui (cf. Mc 14,32-42); o forse a mezzanotte, quando regna l’oscurità e dominano le tenebre; o forse al canto del gallo, quando il portinaio, Pietro, lo rinnega (cf. Mc 14,72); o forse al mattino, quando ormai la notte è diventata lunga, insopportabile. In ogni caso, arriverà certamente all’improvviso, per questo occorre non essere addormentati ma restare vigilanti, memori del semplice ma decisivo monito di un padre del deserto, abba Poemen: “Non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante”.
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