Ermete TESSORE sdb "ABBIAMO BISOGNO DI UN RE?"
23 novembre 2014 | 34a Domenica: Cristo Re - A | T. Ordinario | Omelia
La solennità che oggi ci accingiamo a celebrare suona un po' demodè. Re e regine hanno conosciuto tempi decisamente migliori. E' importante, quindi, collocare la figura di Cristo Re nella sua giusta prospettiva biblica. La Sacra Scrittura innerva la regalità nell'unico orizzonte dell'amore di Dio per il popolo ebraico.
E' Jahweh che sceglie il re; è un profeta che lo consacra ungendolo con l'olio. Questo lo trasforma da semplice uomo in Messia (= unto)
e lo abilita a presiedere le funzioni religiose. Il suo essere segno visibile della particolare attenzione da parte di Dio per l'uomo, lo carica di ben precise responsabilità. Deve vigilare, e non dominare, sui sudditi. Non deve cercare potenza e ricchezza, ma pace e giustizia.
La figura che meglio lo simboleggia non è il generale capo di eserciti potenti, ma il pastore umile e premuroso. Le sue mani non stringono strumenti di guerra e di distruzione, ma attivano e realizzano comportamenti di pace e di solidarietà concreta. L'odierna liturgia della Parola è molto chiara al riguardo.
Il profeta Ezechiele, nella prima lettura, usa tutta una serie di verbi molto significativi. Il re, secondo il cuore di Dio, deve cercare chi gli è sottomesso; deve passare in rassegna e riconoscere chi gli è stato affidato; deve radunare e rassicurare i sudditi nei "giorni nuvolosi e di caligine"; deve saper condurre e guidare nei momenti di confusione e di sbandamento; la ricerca dei perduti è un suo preciso obbligo; il riportare all'ovile gli smarriti, il fasciare le ferite, il curare gli ammalati, il prendersi cura di tutti senza fare distinzione alcuna, il trattare tutti con giustizia ed il giudicare fanno parte dei suoi doveri.
Tuttavia la regalità di Cristo non può limitarsi a solo questo. Egli ha una missione in più: quella di liberarci dalla stretta piena di paura della morte illuminandoci con la sua Resurrezione che è il fulcro della nostra fede, come ci ricorda il brano tratto dalla Prima lettera di Paolo ai Corinzi. Il Risorto compie una autentica rivoluzione nel nostro rapportarci vicendevole.
Non siamo più sudditi del nostro re, ma siamo riconosciuti fratelli del re perché figli dello stesso Padre. Questo fatto sconvolge il nostro modo di relazionarci. Non siamo più estranei l'uno all'altro, ma fratelli. Tutto quello che ci facciamo vicendevolmente lo facciamo a Lui.
La dimora di Dio non è più nell'alto dei cieli, ma sulla terra, nelle famiglie, nelle comunità, nella società civile, nei luoghi di lavoro e di riposo, nella nostra quotidianità. Alla fine dei nostri giorni non saremo giudicati in base all'osservanza delle leggi, ma passeremo attraverso il filtro della carità non esaltata a parole, ma vissuta nelle opere.
L'amore su cui saremo soppesati, non è un sentimento generico ed impalpabile, ma sarà quello che molto concretamente si sarà trasformato in pagnotta di pane vero condiviso con l'affamato; in vino ed acqua offerti all'assetato; in case ed accoglienza messe a disposizioni dei forestieri, anche se extracomunitari petulanti e maleducati; in vestiti, e non in stracci dismessi, messi a disposizioni di nudità sofferenti; in tempo condiviso con gli ammalati; in visite, non solo di cortesia, a chi, per i più svariati motivi, è stato rinchiuso in galera.
La solennità di Cristo Re conclude l'anno liturgico e si presta ad un nostro sereno esame di coscienza. Durante tutto l'anno, quale figura di Gesù ci ha accompagnato e guidato nel nostro cammino di fede? Siamo veramente convinti che riconoscere Cristo come nostro re comporti, da parte nostra, riscoprire nel prossimo, chiunque sia, il fratello da amare?
La nostra fede, con l'andare del tempo, sta abbandonando sempre più le calde e rassicuranti nicchie del conformismo e della tradizione per imboccare decisamente i sentieri ripidi e faticosi della spiritualità nutrita di preghiera, carità, sobrietà esistenziale, fraternità e perdono?
Alla luce dei nostri comportamenti, nel silenzio leale del nostro cuore, ci riconosciamo tra le buone pecore schierate alla destra di Cristo Re, o ci ritroviamo alla sua sinistra tra i caproni reietti ed abbandonati al destino che ci siamo meritato a motivo della nostra condotta di vita?
Ermete TESSORE sdb
La solennità che oggi ci accingiamo a celebrare suona un po' demodè. Re e regine hanno conosciuto tempi decisamente migliori. E' importante, quindi, collocare la figura di Cristo Re nella sua giusta prospettiva biblica. La Sacra Scrittura innerva la regalità nell'unico orizzonte dell'amore di Dio per il popolo ebraico.
E' Jahweh che sceglie il re; è un profeta che lo consacra ungendolo con l'olio. Questo lo trasforma da semplice uomo in Messia (= unto)
e lo abilita a presiedere le funzioni religiose. Il suo essere segno visibile della particolare attenzione da parte di Dio per l'uomo, lo carica di ben precise responsabilità. Deve vigilare, e non dominare, sui sudditi. Non deve cercare potenza e ricchezza, ma pace e giustizia.
La figura che meglio lo simboleggia non è il generale capo di eserciti potenti, ma il pastore umile e premuroso. Le sue mani non stringono strumenti di guerra e di distruzione, ma attivano e realizzano comportamenti di pace e di solidarietà concreta. L'odierna liturgia della Parola è molto chiara al riguardo.
Il profeta Ezechiele, nella prima lettura, usa tutta una serie di verbi molto significativi. Il re, secondo il cuore di Dio, deve cercare chi gli è sottomesso; deve passare in rassegna e riconoscere chi gli è stato affidato; deve radunare e rassicurare i sudditi nei "giorni nuvolosi e di caligine"; deve saper condurre e guidare nei momenti di confusione e di sbandamento; la ricerca dei perduti è un suo preciso obbligo; il riportare all'ovile gli smarriti, il fasciare le ferite, il curare gli ammalati, il prendersi cura di tutti senza fare distinzione alcuna, il trattare tutti con giustizia ed il giudicare fanno parte dei suoi doveri.
Tuttavia la regalità di Cristo non può limitarsi a solo questo. Egli ha una missione in più: quella di liberarci dalla stretta piena di paura della morte illuminandoci con la sua Resurrezione che è il fulcro della nostra fede, come ci ricorda il brano tratto dalla Prima lettera di Paolo ai Corinzi. Il Risorto compie una autentica rivoluzione nel nostro rapportarci vicendevole.
Non siamo più sudditi del nostro re, ma siamo riconosciuti fratelli del re perché figli dello stesso Padre. Questo fatto sconvolge il nostro modo di relazionarci. Non siamo più estranei l'uno all'altro, ma fratelli. Tutto quello che ci facciamo vicendevolmente lo facciamo a Lui.
La dimora di Dio non è più nell'alto dei cieli, ma sulla terra, nelle famiglie, nelle comunità, nella società civile, nei luoghi di lavoro e di riposo, nella nostra quotidianità. Alla fine dei nostri giorni non saremo giudicati in base all'osservanza delle leggi, ma passeremo attraverso il filtro della carità non esaltata a parole, ma vissuta nelle opere.
L'amore su cui saremo soppesati, non è un sentimento generico ed impalpabile, ma sarà quello che molto concretamente si sarà trasformato in pagnotta di pane vero condiviso con l'affamato; in vino ed acqua offerti all'assetato; in case ed accoglienza messe a disposizioni dei forestieri, anche se extracomunitari petulanti e maleducati; in vestiti, e non in stracci dismessi, messi a disposizioni di nudità sofferenti; in tempo condiviso con gli ammalati; in visite, non solo di cortesia, a chi, per i più svariati motivi, è stato rinchiuso in galera.
La solennità di Cristo Re conclude l'anno liturgico e si presta ad un nostro sereno esame di coscienza. Durante tutto l'anno, quale figura di Gesù ci ha accompagnato e guidato nel nostro cammino di fede? Siamo veramente convinti che riconoscere Cristo come nostro re comporti, da parte nostra, riscoprire nel prossimo, chiunque sia, il fratello da amare?
La nostra fede, con l'andare del tempo, sta abbandonando sempre più le calde e rassicuranti nicchie del conformismo e della tradizione per imboccare decisamente i sentieri ripidi e faticosi della spiritualità nutrita di preghiera, carità, sobrietà esistenziale, fraternità e perdono?
Alla luce dei nostri comportamenti, nel silenzio leale del nostro cuore, ci riconosciamo tra le buone pecore schierate alla destra di Cristo Re, o ci ritroviamo alla sua sinistra tra i caproni reietti ed abbandonati al destino che ci siamo meritato a motivo della nostra condotta di vita?
Ermete TESSORE sdb
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