Figlie della Chiesa, Lectio Divina "Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo"

Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri (Mt 25,31-46)
La solennità di Cristo Re, ultima domenica del tempo ordinario, conclude l'Anno liturgico, tempo che scorre segnato dalla presenza del mistero di Cristo; la sua conclusione è la proclamazione che al centro di tutto sta il Crocifisso-Risorto. La Chiesa così lo celebra e celebrandolo si pone nei confronti con la storia come la memoria vivente di una vittoria sulle forze del male e il segno di sicura speranza.

Pio XI nel 1925 istituì questa festa per solennizzare la regalità universale di Cristo, che scaturisce dall'opera di riconciliazione e di pacificazione che ha operato con la sua morte e resurrezione.
Ez 34, 11ss: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore, le passerò in rassegna, le radunerò, le condurrò … sono verbi che indicano le azioni concrete di Dio a favore degli uomini. Cercare, aver cura, condurre, andar in cerca, ricondurre, fasciare, pascere ... sono verbi che mettono sotto i nostri occhi la gamma delle azioni di Dio a favore dell’uomo. Egli non ha esitato a piantare la sua tenda in mezzo agli uomini, ad assumere come loro un corpo mortale, a vivere accanto a loro e come loro, pur di testimoniare fino in fondo il suo amore. A questo stesso stile di Dio per i piccoli, i poveri, i bisognosi, che si fa accoglienza, misericordia, perdono, sostegno, dono di forza ... veniamo invitati noi oggi ad operare concretamente per chi ha fame, sete, per chi è forestiero, senza casa, senza vestito, senza salute, o in carcere.

v. 31:
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. È questo il nostro cammino ultimo: arrivare al trono della gloria del Signore Gesù, un trono che si costituirà in modo definitivo per noi: un giorno e sul quale il Signore, dopo il mistero di morte e resurrezione, ormai siede nel seno, nel mistero del Padre per accoglierci e per attirarci a Lui. Un trono di gloria dove le splendore della sua maestà si effonde e raggiunge anche le tenebre delle nostre situazioni, una luce che non sempre ci raggiunge.
Perché la sua luce non penetra nel profondo del nostro cuore? Aprimi gli occhi, Signore, perché veda ciò che si frappone fra me e la tua gloria; dammi coraggio perché possa rimuovere gli ostacoli, gli alibi, la storia, le persone che costituiscono lo schermo tra me e la tua gloria. Sono le squame sugli occhi, sono i veli dell’egoismo, la rigidità del cuore che mi chiude e non mi lascia vedere lo splendore del trono della tua gloria. Lasciami uno spiraglio di questo splendore perché sia luce, sia lampada sui miei passi e:possa indicarmi dove orientare la- mia vita. Perché tutto sia posto sotto il giudizio della tua Parola e possa partecipare al banchetto del tuo regno.

v. 32:
Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre. Separazione: è un motivo presente in Matteo: separazione dei pesci. buoni da quelli cattivi (Mt.13,49); dei commensali con l’abito nuziale da quelli senza. (Mt 22,13); pure le parabole escatologiche (cfr 25,1-13.14-30) terminano con una separazione. In questo caso l’immagine adoperata nella parabola è quella del pastore che, secondo la consueta prassi palestinese, alla sera separa le pecore dalle capre, che pure durante il giorno hanno pascolato insieme. Le capre, infatti, necessitano di un trattamento diverso: di notte hanno bisogno di maggior calore perché il freddo è loro nocivo, mentre le pecore preferiscono rimanere all’aria fresca. Dato il maggior valore delle pecore, il loro colore bianco e l’abituale uso metaforico, esse diventano il simbolo dei giusti e, sempre secondo un criterio simbolico convenzionale, sono collocate a destra. La scena pastorale serve soprattutto a presentare il Messia come il Pastore, titolo comune in Oriente, per qualificare i capi delle nazioni e i grandi condottieri.

Verranno radunati tutti i popoli: saremo riuniti davanti a Lui, davanti al suo trono di gloria. Ma dov’è il trono della gloria di Dio? Nei cieli? Nella fantasia? Non è piuttosto nel profondo del nostro cuore? Questo trono (il cuore) che è stato adibito a mille mansioni, che è stato usufruito in mille modi… come un mobile su cui appoggiare tante cose. Un trono, un cuore che è il bazar da liberare e trasformare in tempio in cui non ci siano i venditori ambulanti: un cuore nel quale il Padre e lo Spirito possano costruire la casa di preghiera, la loro dimora come Re.
Con questo cuore diventato dimora di Dio, trono della sua gloria, possiamo invitare i fratelli a condividere il Regno di Dio.

v. 34:
venite benedetti del Padre mio: è l’invito, ma l’invito richiede un cammino lungo il quale sono state compiute delle opere di misericordia senza limiti all’amore, cioè l’accoglienza amorosa di chi aveva fame, sete, era solo, in carcere, ammalato…

Possiamo anche noi domandarci:
v. 37: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando, Signore?
v. 40: In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

Nel quotidiano possiamo compiere gesti dei quali non comprendiamo l’importanza; piccoli gesti per la vita di ogni giorno, ma la quotidianità è sacra; piccoli gesti fatti con amore e per amore nella gratuità, in silenzio, in punta di piedi, ma fatti al Signore Gesù: l’avete fatto a me.

Il Signore continua ad avere fame, sete, essere nudo, forestiero, nella sorella e fratello che mi stanno accanto e che condividono con me la giornata, ma che diventano a volte dei lontani, degli estranei ... Ogni volta che uno bussa alla porta di casa ... è l’operaio che cerca lavoro, è quel passante che ha bisogno di vedere un volto sereno, è quel cuore oppresso e affaticato, disperato e senza meta: l’avete fatto a me.
È facile dare agli altri ciò che non ci serve più, ma è difficile dare a ciascuno il suo secondo giustizia, equità e amore. L’amore vero, gratuito chiede di più: chiede di lasciare che gli altri prendano ciò di cui hanno bisogno. La paura di essere espropriati, la paura di essere derubati, la paura che gli altri prendano troppo del nostro ci fa chiudere nell’egoismo e di conseguenza nella tristezza.

Il Signore continua ad essere affamato, assetato, nudo, forestiero ... Siamo servitori di questo Regno nel quotidiano facendo quello che ha fatto il Signore e come l’ha fatto Lui: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29).
Calpestiamo le sue orme di misericordia, di giustizia, di pellegrino, di servo, di risorto ... e arriveremo al trono della sua gloria. La novità proposta non sta nelle opere di misericordia, ma nell'identificazione del Messia con i suoi piccoli: l’avete fatto a Me.
L’amore a Cristo nei poveri
            Niente infatti ha l’uomo di così divino, quanto il meritare bene dagli altri: sebbene quello (Dio) conferisca maggiori benefici, e questo (l`uomo) minori, l’uno e l’altro, io credo, in ragione delle proprie forze. Quegli formò l`uomo, e di nuovo lo raccoglie una volta che si sia dissolto: tu non disprezzare il caduto. Egli ne ha avuto compassione nelle cose di ben altro peso, quando a lui dette, oltre al resto, la Legge, i profeti e ancor prima la legge naturale non scritta, censore delle cose che vengono fatte, riprendendo, ammonendo, castigando; infine, donando se stesso per la redenzione del mondo...
            Colui che naviga, è vicino al naufragio, e lo è tanto di più, quanto più naviga con audacia; e chi coltiva il corpo, è più vicino ai mali del corpo, tanto di più, quanto più cammina altezzoso, e non si accorge di coloro che giacciono davanti a lui. Mentre viaggi col vento favorevole, porgi aiuto a colui che fa naufragio: mentre sei sano e ricco, soccorri chi è ridotto male. Non aspettare di apprendere per diretta esperienza quanto male sia l`inumanità, e quale bene mettere a disposizione dei poveri le proprie sostanze. Non voler far esperienza di Dio che stende la mano contro coloro che alzano il collo, e passano oltre (senza curarsi) dei poveri. Nelle disgrazie altrui impara questo, a chi ha bisogno dà qualcosa: non è poco infatti per chi manca di tutto, anzi neppure allo stesso Dio è impari considerare le rispettive forze. Che tu abbia al posto della più grande dignità la sollecitudine dell`animo: se non hai nulla, versa lacrime. Grande sollievo è la compassione per chi ha l`animo colpito da grande calamità.
            O tu ritieni che la benevolenza non sia per te necessaria ma libera? che sia consiglio, anziché norma? Anche questo in sommo grado vorrei e stimerei, ma mi spaventa quella mano sinistra, e i capri, e gli anatemi lanciati da chi li ha collocati lì; non perché saccheggiarono i templi, o commisero adulterio, o fecero altra cosa di quelle vietate con sanzione, ma perché non si curarono minimamente di Cristo nei poveri.
            Di conseguenza, se ritenete di dovermi ascoltare in qualcosa, servi di Cristo, e fratelli, e coeredi, visitiamo Cristo, tutto il tempo che ci è possibile, curiamo Cristo, nutriamo Cristo, vestiamo Cristo, riuniamo Cristo, onoriamo Cristo, non solo alla mensa, come qualcuno, né con gli unguenti, come Maria, né soltanto al sepolcro, come Giuseppe d`Arimatea, né con le cose che riguardano la sepoltura, come quel Nicodemo che amava Cristo solo a metà, né infine con l`oro, l`incenso e la mirra come i Magi prima ancora di tutti coloro che abbiamo nominato, ma poiché da tutti il Signore esige la misericordia e non il sacrificio, e la cui misericordia supera le migliaia di pingui agnelli, e questa portiamogli attraverso i poveri prostrati a terra in questo giorno, affinché quando saremo usciti di qui, essi ci ricevano nei tabernacoli eterni nello stesso Cristo Signore nostro, a cui è la gloria nei secoli. Amen. (Gregorio di Nazianzo, Oratio XIV de pauper. amore, 27 s., 39 s.)

Quanto avete fatto ad uno dei più piccoli ...
            Avevamo una libera intelligenza per capire che in ogni povero era Cristo affamato che veniva nutrito, o dissetato quando ardeva dalla sete, o ricoverato quand’era forestiero, o vestito allorché era nudo, o visitato mentre era malato, o consolato con la nostra parola quand`era in carcere. Ma le parole che seguono: "Quanto avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l`avete fatto a me" (Mt 25,40), non mi sembra siano rivolte genericamente a tutti i poveri, ma a coloro che sono poveri in spirito, a coloro ai quali, indicandoli con la mano, ha detto: "Ecco, mia madre e i miei fratelli sono coloro che fanno la volontà del Padre mio" (Mc 3,34-35; Lc 8,21). (Girolamo, In Matth. IV, 22, 40)

« È importante sapere che Gesù è il Signore e che Lui rappresenta l'incontro personale e definitivo con Dio. È importante sapere che dobbiamo essere sensibili alle richieste degli altri, specialmente dei più poveri, sporchi e puzzolenti. Ma il sapere non è decisivo. Decisiva è l'azione reale. Non è colui che dice "Signore, Signore" che si salva, ma colui che fa quello che Dio gli chiede. La salvezza si attua nel passaggio dalla teoria alla pratica vera, è la solidarietà vera, l'amore disinteressato, il perdono sincero; è lo stendere la mano generosamente che ci fa avvicinare alla salvezza.
Simone di Cirene è stato il buon samaritano per Gesù che pativa lungo il cammino. Non soccorse un condannato e un criminale agli occhi della giustizia romana o giudaica. Portò soccorso a Dio stesso. "Signore, quando ti abbiamo visto soffrire e ti abbiamo aiutato? Quando ti abbiamo visto caduto nel sangue e ti abbiamo rialzato? Quando ti abbiamo visto portare la croce e te ne abbiamo liberato portandola noi stessi?". E il Signore ci dirà: "In verità vi dico che tutte le volte che farete come Simone Cireneo, che portò la croce di un condannato, è a me che lo farete" [....]
            Nel giudizio sulla nostra salvezza o perdizione eterna Dio non si farà guidare da criteri di culto - quando preghiamo - né da criteri dottrinari - in quali verità abbiamo creduto -, ma da criteri etici: quello che abbiamo fatto per gli altri. In un poco di solidarietà per gli affamati, assetati, nudi e oppressi si deciderà il destino eterno di ogni uomo. Alla tramonto della vita saremo giudicati (ci giudicheremo) sull'amore. E i poveri e i bisognosi ci giudicheranno nel nome di Dio: "Tu mi hai visto patire la fame, hai visto i miei figli che mangiavano i cibi guasti della spazzatura e non mi hai dato mai gli avanzi del tuo piatto pieno. Tu mi hai visto lacero, hai visto la mia famiglia che si nascondeva sotto una baracca di cartone e di latta e tu mi hai mandato via e mi hai preso anche quel pezzetto di terra per costruire la tua dimora. Tu hai visto tutta una categoria decimata da salari di fame, abbrutita dalle necessità e non sei stato solidale con essa; hai denunciato i miei cari come sovversivi, le sue idee di giustizia come attentati alla sicurezza della società dei ricchi e la sua organizzazione come ribellione violenta per distruggere la pace. Poiché non hai voluto vivere in solidarietà sei condannato in eterno a vivere in solitudine! Poiché sei stato insensibile alla giustizia non potrai vivere con i giusti. Hai già avuto in vita la tua consolazione!" [....]
Il vangelo non si riduce ad una classe. Ma al regno di Dio prende parte e si salva soltanto chi vive e lavora, pur se ricco, facendo suoi i lamenti dei poveri, e chiedendo giustizia, chi nel suo programma di vita include il più grande anelito dei poveri che è la costituzione di un convito equo e fraterno per tutti, e contribuisce ad attuarlo» (L. Boff.,Via Crucis della giustizia, Roma 1979,34-37).

            «Quelli che si avvicinano al povero lo fanno prima in un desiderio di generosità, per aiutarlo e soccorrerlo; si considerano dei salvatori e spesso si mettono su un piedistallo. Ma toccando il povero, raggiungendolo, stabilendo una relazione di amore e di fiducia con lui, il mistero si svela. Nel cuore dell’insicurezza del povero c’è una presenza di Gesù. È allora che essi scoprono il sacramento del povero e che arrivano al mistero della compassione.
Il povero sembra spazzare le barriere della potenza, della capacità e dell’orgoglio; fa fondere i gusci che il cuore umano si mette intorno per proteggersi. Il povero rivela Gesù Cristo. Fa scoprire a chi è venuto per aiutarlo la sua stessa povertà e vulnerabilità; gli fa scoprire anche la sua capacità di amare, la potenza d’amore del suo cuore. Il povero ha il potere misterioso: nella sua debolezza, egli diviene capace di toccare i cuori induriti e di rivelare loro le fonti di acqua viva nascoste in loro. È la manina del bimbo di cui non si ha paura, che scivola attraverso le sbarre della nostra prigione di egoismo. Egli arriva ad aprire la serratura. Egli libera. E Dio si cela nel bambino. I poveri ci evangelizzano. È per questo che sono i tesori della Chiesa» ( J.Vanier, La comunità luogo del perdono e della festa, pp. 70-71).

Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci dice che Gesù, il Figlio dell’uomo, il giudice ultimo delle nostre vite, ha voluto prendere il volto di quanti hanno fame e sete, degli stranieri, di quanti sono nudi, malati o prigionieri, insomma di tutte le persone che soffrono o sono messe da parte; il comportamento che noi abbiamo nei loro confronti sarà dunque considerato come il comportamento che abbiamo nei confronti di Gesù stesso. Non vediamo in questo una semplice formula letteraria, una semplice immagine! Tutta l’esistenza di Gesù ne è una dimostrazione. Lui, il Figlio di Dio, è diventato uomo, ha condiviso la nostra esistenza, sino nei dettagli più concreti, facendosi il servo del più piccolo dei suoi fratelli. Lui che non aveva dove posare il capo, sarà condannato a morire su una croce. Questo è il Re che celebriamo!
Indubbiamente questo ci può sembrare sconcertante! Ancor oggi, come 2000 anni fa, abituati a vedere i segni della regalità nel successo, nella potenza, nel denaro o nel potere, facciamo fatica ad accettare un simile re, un re che si fa servo dei più piccoli, dei più umili, un re il cui trono è una croce. E tuttavia, ci dicono le Scritture, è così che si manifesta la gloria di Cristo: è nell’umiltà della sua esistenza terrena che Egli trova il potere di giudicare il mondo. Per Lui, regnare è servire! E ciò che ci chiede è di seguirlo su questa via, di servire, di essere attenti al grido del povero, del debole, dell’emarginato. Il battezzato sa che la sua decisione di seguire Cristo può condurlo a grandi sacrifici, talvolta persino a quello della vita. Ma, come ci ha ricordato san Paolo, Cristo ha vinto la morte e ci trascina dietro di Sé nella sua risurrezione. Ci introduce in un mondo nuovo, un mondo di libertà e di felicità. Ancora oggi tanti legami con il mondo vecchio, tante paure ci tengono prigionieri e ci impediscono di vivere liberi e lieti. Lasciamo che Cristo ci liberi da questo mondo vecchio! La nostra fede in Lui, che è vincitore di tutte le nostre paure, di ogni nostra miseria, ci fa entrare in un mondo nuovo, un mondo in cui la giustizia e la verità non sono una parodia, un mondo di libertà interiore e di pace con noi stessi, con gli altri e con Dio. Ecco il dono che Dio ci ha fatto nel Battesimo!
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34). Accogliamo questa parola di benedizione che il Figlio dell’uomo rivolgerà, nel giorno del Giudizio, agli uomini e alle donne che avranno riconosciuto la sua presenza fra i più umili dei loro fratelli, in un cuore libero e pieno dell’amore del Signore! Fratelli e sorelle, questo passo del Vangelo è veramente una parola di speranza, poiché il Re dell’universo s’è fatto vicinissimo a noi, servo dei più piccoli e dei più umili. (Papa Benedetto XVI, dall’Omelia del 20 novembre 2011)


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