fr. Massimo Rossi Commento su Matteo 25,14-30

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/11/2014)
Penultime parole del Signore ai Dodici, prima del suo ingresso trionfale a Gerusalemme; penultime, sì, perché le ultime sono quelle di un'altra parabola, altrettanto famosa, che non vi anticipo, perché ci rifletteremo la prossima domenica, solennità di Cristo Re e ultima
domenica dell'anno liturgico.
Brutta bestia, la paura! la paura paralizza, impedisce di pensare e, peggio ancora (impedisce) di agire. Il terzo servo manca ai suoi doveri perché ha paura del padrone.
Non credo che quel padrone avesse dato ai tre servitori incarichi fuori dal normale; chissà quante volte era già partito per un viaggio improvviso, e si era comportato esattamente come nel racconto: intendo dire che Dio non pretende da noi prestazioni eccezionali! Dio non chiede mai l'impossibile! solo ciò che sappiamo fare. Ma se lo sappiamo fare, lo dobbiamo fare! e se non lo facciamo ci mettiamo automaticamente dalla parte del torto.
La paura non è mai l'unità di misura del proprio concetto di sé; la paura di Dio, poi, è un atteggiamento veterotestamentario, che non ha nulla a che vedere con la fede cristiana, che è fede nel Dio della misericordia, fede nel Dio dell'amore infinito, fede nel Dio del perdono.
A meno che la paura non sia l'effetto del peccato... Ricordate come rispose Adamo quando Dio andò a cercarlo nel paradiso terrestre? "Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto." (Gn 3,10).
Ebbene, per noi che crediamo in Cristo Risorto, neanche il rimorso di coscienza per il peccato commesso dovrebbe suscitare la paura dell'incontro con Dio!
A questo proposito, il teologo tedesco Balthasar commenta così l'angoscia di Gesù nell'orto degli ulivi: il Figlio di Dio dovette lottare, fino a sudar sangue, contro il Tentatore che gli presentava il Dio degli uomini, il Dio giudice giusto e inclemente, il Dio che tutti temiamo a motivo del nostro peccato; Gesù fu tentato di cambiare l'immagine del Dio nel quale aveva sempre creduto, il Dio dell'amore, il Padre di ogni misericordia, con quella del Dio che castiga...
Ma (Gesù) resistette anche questa volta, come anni prima aveva resistito nel deserto, e mantenne la fede e la speranza nel Padre suo...anche se in quei tremendi istanti, non sentiva più la sua voce confortante, ma solo il lugubre borbottio di un temporale imminente...
Non dobbiamo aver paura del Padrone, pardon, del Signore!
Aver paura del "redde rationem", del giorno del rendiconto finale, è un indizio che non si è capito gran che del Vangelo! Molti di noi ricorderanno ancora il ‘Dies iræ' che i nostri nonni cantavano ai funerali. Per non parlare degli affreschi della Cappella Sistina...ma di questo ne abbiamo già parlato tante volte.
È da poco terminato il mese di ottobre, dedicato alla devozione alla Madonna del Rosario: non saremo anche noi di quelli ancora convinti che Maria Santissima ci debba proteggere dall'ira di suo Figlio? Maria ci deve proteggere da noi stessi, altro che storie!! Lo ripeto ancora, è il peccato che inquina la nostra esistenza, a cominciare dalle (nostre) idee... Il peccato insinua pensieri insani su tutto e su tutti, anche su Dio! E così, invece di rimetterci prontamente in piedi dopo l'ennesima caduta, ce ne rimaniamo prostrati, come animali feriti, e magari malediciamo l'Onnipotente, e ce la prendiamo con Lui perché ci ha chiamati a vivere in un mondo brutto e cattivo... e altri simili pensieri di leopardiana memoria...
Se, invece di bestemmiare, leggessimo un po' più spesso il Vangelo, scopriremmo quale amore aveva e ancora ha Gesù per i peccatori; il Figlio del falegname non disdegnava la loro compagnia, anzi, si confondeva con loro alle acque del Giordano, per ricevere il battesimo di Giovanni Battista.
All'inizio del suo Vangelo, Marco riporta le seguenti parole di Gesù: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori." (2,17).
Ecco, questa è la carta di identità di Gesù, la carta di identità del nostro Dio.
Fede e paura non possono stare insieme: "Non abbiate paura!" - dice il Signore ai discepoli - "Credete in Dio e credete anche in me!" (Gv 14); sono le ultime parole del Signore, prima del suo arresto...e sono anche le prime parole di S.Giovanni Paolo II, con le quali il Papa venuto di lontano inaugurò il suo pontificato, il 22 ottobre del 1978.
Fu la paura a vincere Pietro, quando si mise a camminare sull'acqua per andare incontro a Dio: la paura di un istante fu più forte della fede in Gesù che lo chiamava. E fu ancora la paura, non di Dio ma degli uomini, a fargli rinnegare il nome di Gesù davanti alla serva del Sommo Sacerdote.
Neanche degli uomini dobbiamo aver paura, ce lo raccomanda sempre il Signore: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima. (...) Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli." (Mt 10,28 ss.). La fede può vincere la paura! La fede, quella vera, vince sempre!
Del resto, che cosa restava al Beato Giuseppe Girotti, nei giorni della sua prigionia a Dachau? soltanto la fede: la fede e la speranza che, risorto Cristo, sarebbe risorto anche lui l'ultimo giorno!
Per questa fede, per questa speranza, fr. Giovanni si immolò per i fratelli Ebrei con coraggio eroico!
L'eroismo della sua virtù venne riconosciuto dai compagni del lager e, 50 anni dopo, anche dalla Chiesa, che lo ha elevato agli onori degli altari.
È vero, Gesù non era un eroe alla maniera di questo mondo; con buona pace dell'amico Friedrich Nietzsche, Gesù non era un superuomo! Neanche i martiri lo sono...
E qui il cerchio si chiude: ho cominciato dall'affermazione che Dio non ci chiede mai qualcosa di superiore alla forze umane, e ho finito smentendo la convinzione che i cristiani siano dei superuomini... I cristiani sono dei servi, per di più in-utili. Il premio del (nostro) servire non è altro, rispetto al servire; il premio della fede, non è altro, non è oltre, rispetto alla fede!
La fede è premio a se stessa! Lo insegna san Giacomo nella sua Lettera: "Chi fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele non come un ascoltatore smemorato, ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla." (1,25).

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