JUAN JOSE BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA: Mc 13,33-37

30 novembre 2014 | 1a Domenica di Avvento - Anno B| Omelia
Qualcuno che sta ancora per venire - lo sappiamo bene -, non si è allontanato da noi per sempre. La sua sentita assenza è la forma di essere presente nella nostra vita. Il nostro Dio è, ci dice oggi Gesù nel vangelo, un Dio che è di passaggio, come quel signore della casa che poteva ritornare da un momento all'altro. Le parole di Gesù
furono un invito ai suoi discepoli a vivere speranzosi, a vivere nell'attesa di Dio, a confidare nel nostro Dio. È vero, il nostro Dio, come il signore della parabola, sembra essere lontano da noi, dalle nostre case, dal nostro mondo, dal nostro cuore. È in viaggio, ci sembra, come il padrone di casa. Ma come lui, nota Gesù, il suo viaggio è di ritorno. Con ciò, Gesù ci dà un motivo per sopportare senza esasperare l'assenza del nostro Dio ed il suo ritardo nel ritornare: il servo che non sa il momento del ritorno del suo padrone, deve conoscere solo la sua avvertenza, "vegliate". Non può riposare, né di giorno né di notte, finché il suo signore è assente e sta per venire. Chi non spera nel suo signore, smette di essergli sottomesso; il servo che dispera ha smesso di obbedire al suo padrone.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
33"Fare attenzione, vigilate: perché non sapete quando è il momento.
34È come un uomo che fece un viaggio e lasciò la sua casa, e diede ad ognuno dei suoi domestici il suo compito, incaricando il portinaio che vegliasse.
35Vegliate dunque, perché non sapete quando verrà il padrone di casa, se all'imbrunire, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o all'alba; 36 fate attenzione che non venga inaspettatamente e vi trovi addormentati.
37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!"

I. LEGGERE: CAPIRE QUELLO CHE DICE E COME DICE IL TESTO

In Mc 13, l'ultimo discorso di Gesù in Marco, Gesù ha annunciato la fine di Gerusalemme, la distruzione del suo tempio; entrambi gli avvenimenti, insospettabili per quanti ammiravano la bellezza della città e del suo tempio, significavano, in realtà, la fine del 'loro' mondo: la città di David e l'assenza di Dio. Perché, questo discorso, curiosamente, si chiude con una ripetuta esortazione alla vigilanza.
I destinatari sono i discepoli e chi ha un atteggiamento di veglia come modo cristiano di aspettare. L'esortazione, piuttosto un ordine, ripetuta tre volte, rimane giustificata da una breve parabola. Non conoscere il momento della venuta del suo signore obbliga il servo ad aspettarlo. Ignorare l'ora del suo arrivo impone la veglia permanente. Oltre a motivare l'attesa richiesta, la parabola chiarisce il comportamento che ci si aspetta del discepolo di Cristo: il signore che si allontana lascia tutti i suoi servi, con responsabilità differenziate come sono state gli incarichi assegnati; i servi devono compiere un servizio ed il portinaio ha l'incarico di vigilare. Il tempo della separazione non è, dunque, occasione per l'inattività né, molto meno, momento per sognare: non sapere il momento del ritorno obbliga ad occuparsi degli incarichi ricevuti; al servo gli è proibito il sonno ed il riposo, fino a che ritorni il padrone.
Vivere in stato di attesa suppone passare i giorni lavorando mentre si aspetta colui al quale dobbiamo rendere conto della nostra amministrazione, continuiamo ad essere i suoi servi; liberarsi della propria responsabilità significherebbe perdere i beni ricevuti e la speranza; e perdere la speranza sarebbe tanto quanto perdere il Signore che passa.

II. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

Viviamo in un mondo che continua poco a poco a ridurre, di modo inesorabile, non solo i segni della presenza di Dio bensì, perfino anche, le orme del suo camminare tra noi. Ci dimentichiamo del nostro Dio, e ciò aumenta la nostra disperazione. Si cerca di intrattenersi con i beni perituri che ci sono offerti. E noi, i credenti, ci stiamo abbandonando al sonno; abbiamo smesso di vigilare. E quello che è più grave, sembra che ci siamo rassegnati a vivere così: diamo l'impressione di avere perso anche noi Dio, quando viviamo senza la fede, accontentandoci che ci lasciano in pace, lasciandoci nei nostri sonni. E tuttavia, la notte non dovrebbe risultarci troppo lunga, perché non lo è mai per chi spera a chi in realtà ama: se il ricordo del Dio assente ed amato fosse un po' più permanente, la veglia ci sarebbe meno penosa e più breve; se ci ferisse pensarlo di meno, non l'aspetteremmo di più?
Il fatto è che il cristiano crede che Dio sta per venire: Egli è il nostro Futuro! Chi lo crede, in realtà deve dare al mondo la testimonianza della sua speranza. Se Dio ha ancora tanta fiducia in noi da venire al nostro incontro, non abbiamo diritto a soffocare la speranza, né rubarla agli altri, con la nostra inefficacia e la nostra sonnolenza. Solo perché i testimoni di Dio dormono, poiché i domestici di casa non vigilano, l'assenza di Dio nel mondo diventa sempre di più visibile, più scoraggiante e drammatica. Il crescente sentimento di solitudine che si annida nel cuore dei credenti, la tranquilla accettazione che oggi il mondo è fuori dalle mani di Dio, si deve a noi che dovremmo vivere aspettandolo e agendo per farci migliori, non crediamo che realmente venga, che abbia interesse per noi in questo mondo, che ci desidera tanto da ritornare con noi.
Di una cosa possiamo essere sicuri: Dio tornerà un giorno; meglio ancora, è già per strada. Dovremmo, i cristiani, essere gli uomini più svegli, i più attivi, i più immaginativi, poiché sappiamo che possiamo sperare in Dio.., perché viene! Non sappiamo quando potrà arrivare, certo, ma sappiamo già che cosa esigerà. Precisamente perché i nostri giorni si restringono, perché c'è meno luce e più ombre si accumulano nella nostra vita, dobbiamo vigilare di più e meglio. La nostra fede che è fedeltà sostenuta per la nostra attesa del Signore che viene, è protesta, discreta, ma efficace, contro il male che esiste nel mondo, il piccolo mondo del nostro cuore e l'altro, intorno al nostro che ci trascende. Vivere come cristiani significa non arrendersi alle apparenze, non disperare oggi di fronte al male tanto evidente: se Dio sta per venire, c'è ancora qualcosa in noi, e nel nostro mondo che lo fa avvicinare, qualcosa in noi che gli sembra buono: abbiamo qualcosa che attrae un Dio! In ciò si appoggia la nostra speranza. E basterebbe trovare un motivo, uno solo, per l'attesa di nostro Signore, affinché ci sia d'obbligo la veglia.
Frattanto, per sostenere la nostra fiducia, per rimpicciolire le veglie che dobbiamo passare in bianco, per desiderare con maggiore sincerità il ritorno del Dio del quale sentiamo la mancanza, potremmo pregare, pregarlo che ci desse prove più palpabili della sua presenza. Per superare la nostra solitudine, potremmo richiamarlo al nostro lato, dal nostro vuoto e nonostante le nostre ombre.., così saprà che lo desideriamo che lo stiamo aspettando che camminiamo svegli perché Egli vuole venire.
Pregare dispiacendosi della sua mancanza è la migliore maniera per non disperare, è la forma per mantenersi svegli senza arrendersi al sonno: pregare aiuta a sopportare l'assenza di Dio, in noi e nel nostro mondo, senza perdere la speranza di trovarlo un giorno. Potremmo farlo, per esempio, con le parole del profeta: "Tu o Signore, sei nostro padre; da sempre ti chiami il nostro redentore. Perché, allora, Signore, ci lasci perdere le tue strade ed indurisci il nostro cuore perché non ti tema? Ritorna per amore ai tuoi servi… Magari si strappasse il cielo e scendessi, sciogliendo i monti con la tua presenza..!".
Ma con il solo pregare non si esaurisce la nostra responsabilità né si riempie il nostro tempo di attesa. Gesù ricorda che il Signore, come il padrone della parabola, lasciò ad ognuno con un compito. Se ci lasciò soli, e lo sentiamo, non ci lasciò disoccupati. Non basterà, dunque, aspettarlo, se mentre l'aspettiamo non realizziamo la sua missione. La speranza cristiana non si riduce nel non far niente, semplicemente aspettando colui che deve venire. Vivere in stato di veglia suppone vivere tenendo occupate le mani e la vita, mentre il nostro cuore continua a sentire la mancanza. Che ci manchi il Signore non vuole dire che ci manchi il lavoro; non c'è migliore maniera di aspettare il Signore che viene che facendo la sua volontà fino a che arrivi.
                                                                                     JUAN JOSE BARTOLOME sdb

Commenti

Post più popolari