mons. Roberto Brunelli "Quali programmi per uomini in attesa"
I Domenica di Avvento (Anno B) (30/11/2014)
Vangelo: Mc 13,33-37
La festa di Cristo Re, celebrata domenica scorsa, ha concluso l'anno liturgico con l'implicito invito a guardare avanti, al Signore glorioso che offre ai suoi fedeli la possibilità di raggiungerlo per condividere in eterno la sua vita. Il vangelo letto allora offriva indicazioni su come vivere adesso, per potersi presentare a lui, quando sarà il momento, in modo da conseguire la meta; oggi, prima domenica del nuovo anno liturgico, il vangelo (Marco 13,33-37) si collega al
precedente con un forte richiamo: vegliare, perché nessuno sa quando quel momento accadrà. "Gesù disse ai suoi discepoli: Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. (...) Voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi lo dico a tutti: vegliate!"
E' questo il tempo di Avvento, cioè venuta: la doppia venuta di Dio, proteso a incontrare l'uomo. L'Avvento, prima parte dell'anno liturgico, intende ricordare la prima venuta del Figlio di Dio, quella storica di duemila anni fa, per preparare la seconda, che per ciascun uomo accadrà quando lasceremo questo mondo. Il passaggio dalla vita presente a quella eterna è presentato in altre pagine dei vangeli con una similitudine: è come il ritorno del padrone di casa, che valuta il modo in cui i suoi dipendenti si sono comportati durante la sua assenza. Il ritorno è certo, ma non precisato nelle sue coordinate temporali.
Che quel momento sia imprevedibile, basta a confermarlo la comune esperienza, richiamata ogni giorno anche dalle pagine di questo quotidiano: malattie fulminanti, incidenti stradali, guerre e delinquenza consigliano di non dare per scontato neppure che vivremo sino a domani. Ma come va intesa l'esortazione di Gesù a non farsi trovare addormentati, cioè a vegliare? Forse che stando svegli si evitano i rischi cui la vita umana va soggetta? Qualcuno magari sì; controllare la salute, guidare con prudenza, aiuta; ma altre situazioni ci sfuggono, e in ogni caso prima o poi tutti da questo mondo partiremo. In tale contesto, che significa vegliare? Significa anzitutto non cedere alla tentazione dell'aspettare rassegnati senza far nulla, "perché tanto dovrò lasciare tutto qui", "perché tanto non sarò io a cambiare il mondo". Significa non cedere alla tentazione di sprofondare nel deprimente "godiamoci la vita, fin che c'è tempo". Significa non cedere alla tentazione di affannarsi ad ogni costo, di strafare magari a spese altrui, per dimostrare a sé stessi e agli altri di aver saputo realizzare qualcosa; significa non cedere alla tentazione di abbandonarsi agli sterili lamenti sulla fugacità dell'esistenza, ai rimpianti sul passato, alla paura del futuro.
Significa invece impegnarsi serenamente, senza affanni ma anche senza pigrizie, a realizzare tutto il bene possibile; per dirla nei termini del vangelo di qualche domenica fa, far fruttare i talenti, secondo le indicazioni di Colui che un giorno ce ne chiederà conto. Significa vivere in questo mondo come se dovessimo starci sempre, pur sapendo bene che presto lo lasceremo; camminare con i piedi ben poggiati sulla terra, ma con gli occhi rivolti al cielo. Significa guardare al passaggio da questo mondo all'altro per quello che davvero importa: è l'incontro con il Signore, il quale ci esorta a farci trovare pronti. Pronti ad accoglierlo nel suo volto di padre, fratello, amico con le mani colme di doni. Qualunque sia la vita presente, è destinata a finire; conviene operare in modo che la vita ventura sia migliore di questa. A chi cerca di mettere in pratica il suo insegnamento, Gesù promette che se ora si dibatte nelle difficoltà, dopo non ci saranno più; se invece ora può dirsi contento, solo dopo sperimenterà come sia la vera felicità. In ogni caso vegliare conviene, perché "dopo" sarà meglio, oltre ogni attesa.
Vangelo: Mc 13,33-37
La festa di Cristo Re, celebrata domenica scorsa, ha concluso l'anno liturgico con l'implicito invito a guardare avanti, al Signore glorioso che offre ai suoi fedeli la possibilità di raggiungerlo per condividere in eterno la sua vita. Il vangelo letto allora offriva indicazioni su come vivere adesso, per potersi presentare a lui, quando sarà il momento, in modo da conseguire la meta; oggi, prima domenica del nuovo anno liturgico, il vangelo (Marco 13,33-37) si collega al
precedente con un forte richiamo: vegliare, perché nessuno sa quando quel momento accadrà. "Gesù disse ai suoi discepoli: Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. (...) Voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi lo dico a tutti: vegliate!"
E' questo il tempo di Avvento, cioè venuta: la doppia venuta di Dio, proteso a incontrare l'uomo. L'Avvento, prima parte dell'anno liturgico, intende ricordare la prima venuta del Figlio di Dio, quella storica di duemila anni fa, per preparare la seconda, che per ciascun uomo accadrà quando lasceremo questo mondo. Il passaggio dalla vita presente a quella eterna è presentato in altre pagine dei vangeli con una similitudine: è come il ritorno del padrone di casa, che valuta il modo in cui i suoi dipendenti si sono comportati durante la sua assenza. Il ritorno è certo, ma non precisato nelle sue coordinate temporali.
Che quel momento sia imprevedibile, basta a confermarlo la comune esperienza, richiamata ogni giorno anche dalle pagine di questo quotidiano: malattie fulminanti, incidenti stradali, guerre e delinquenza consigliano di non dare per scontato neppure che vivremo sino a domani. Ma come va intesa l'esortazione di Gesù a non farsi trovare addormentati, cioè a vegliare? Forse che stando svegli si evitano i rischi cui la vita umana va soggetta? Qualcuno magari sì; controllare la salute, guidare con prudenza, aiuta; ma altre situazioni ci sfuggono, e in ogni caso prima o poi tutti da questo mondo partiremo. In tale contesto, che significa vegliare? Significa anzitutto non cedere alla tentazione dell'aspettare rassegnati senza far nulla, "perché tanto dovrò lasciare tutto qui", "perché tanto non sarò io a cambiare il mondo". Significa non cedere alla tentazione di sprofondare nel deprimente "godiamoci la vita, fin che c'è tempo". Significa non cedere alla tentazione di affannarsi ad ogni costo, di strafare magari a spese altrui, per dimostrare a sé stessi e agli altri di aver saputo realizzare qualcosa; significa non cedere alla tentazione di abbandonarsi agli sterili lamenti sulla fugacità dell'esistenza, ai rimpianti sul passato, alla paura del futuro.
Significa invece impegnarsi serenamente, senza affanni ma anche senza pigrizie, a realizzare tutto il bene possibile; per dirla nei termini del vangelo di qualche domenica fa, far fruttare i talenti, secondo le indicazioni di Colui che un giorno ce ne chiederà conto. Significa vivere in questo mondo come se dovessimo starci sempre, pur sapendo bene che presto lo lasceremo; camminare con i piedi ben poggiati sulla terra, ma con gli occhi rivolti al cielo. Significa guardare al passaggio da questo mondo all'altro per quello che davvero importa: è l'incontro con il Signore, il quale ci esorta a farci trovare pronti. Pronti ad accoglierlo nel suo volto di padre, fratello, amico con le mani colme di doni. Qualunque sia la vita presente, è destinata a finire; conviene operare in modo che la vita ventura sia migliore di questa. A chi cerca di mettere in pratica il suo insegnamento, Gesù promette che se ora si dibatte nelle difficoltà, dopo non ci saranno più; se invece ora può dirsi contento, solo dopo sperimenterà come sia la vera felicità. In ogni caso vegliare conviene, perché "dopo" sarà meglio, oltre ogni attesa.
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