mons. Roberto Brunelli "Un regno ci attende dalla fondazione del mondo"
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (23/11/2014)Vangelo: Mt 25,31-46
"Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo": è il titolo solenne di questa domenica, l'ultima dell'anno liturgico. Essa cioè conclude il ciclo delle celebrazioni con le quali ogni anno si rivive l'intervento di Dio nella vita degli uomini. Si intende, l'intervento storico, di duemila anni fa, ma anche quello che si ripropone di continuo, perché occorre non dimenticarlo mai: ogni giorno Dio rinnova ad ogni uomo l'offerta della salvezza, e a chi la accoglie Egli
apre le porte della vita eterna insieme con lui.
Il ciclo dell'anno liturgico si chiude appunto con uno sguardo al futuro, in cui campeggia maestosa la figura di Gesù, vincitore definitivo del male, di tutti i mali che affliggono l'umanità. Il brano evangelico di oggi (Matteo 25,31-46) è quello in cui Gesù, parlando di sé in terza persona, descrive il giorno del giudizio finale, quando egli convocherà tutti gli uomini e, con autorità sovrana, pronuncerà la sentenza sulla loro destinazione definitiva. Li dividerà in due gruppi, e al primo dirà: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo", mentre per il secondo risuonerà la condanna: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli".
La divisione e il conseguente giudizio non saranno a capriccio, ma in base a una regola ben precisa: gli uomini staranno per sempre con lui o lontano da lui, a seconda che nella vita terrena abbiano o no imitato lui, supremo modello di amore. Per amore lui, il Figlio di Dio, ha assunto la povera natura umana; per amore si è chinato sui malati, sugli smarriti nel peccato, sui dubbiosi, sugli affamati, sugli emarginati dalla società; per amore ha accettato l'infamante morte in croce, per coinvolgere tutti nella nuova vita da risorto. Chi ha davvero accolto tanto amore lo contraccambia, amando quanti si trovano in necessità: ed egli considera fatto a sé quel che si fa a loro. Di qui le parole che motivano il giudizio finale: "Venite, benedetti... perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, in carcere e siete venuti a trovarmi".
Ovviamente la fame, la malattia e le altre carenze umane qui elencate sono soltanto esempi. La carità può esplicarsi in tanti modi; si aiuta chi ha fame, ad esempio, dandogli il pane ma anche, potendo, dandogli un lavoro con cui guadagnarselo; si giova ai malati stando loro accanto ma anche studiando medicina, o fondando un ospedale; le leggi attuali rendono estremamente difficoltoso visitare i carcerati, ma si può sempre operare in questo campo superando i pregiudizi nei confronti di chi esce di prigione. Ulteriori ambiti sono richiamati in altre circostanze dallo stesso Gesù (le beatitudini, ad esempio, lodano chi si dà da fare per la pace e per la giustizia) e di altri ancora si trovano innumerevoli espressioni nella meravigliosa storia, lunga ormai duemila anni, della carità cristiana.
Un'ampia casistica in proposito offre poi quella sublime pagina della Bibbia che è denominata "inno all'amore" (1Corinzi, 13). Vi si dice tra l'altro: "L'amore è paziente e benigno; non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L'amore non avrà mai fine". Il giudizio universale che concluderà la storia per portarla nell'eternità comprende proprio questo: la fede e la speranza non avranno più ragion d'essere, perché avranno conseguito il loro oggetto; ma l'amore resterà: quello di Dio per noi, quello nostro per lui e per i fratelli, sarà la sostanza della vita nel regno "preparato per noi sin dalla fondazione del mondo".
"Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo": è il titolo solenne di questa domenica, l'ultima dell'anno liturgico. Essa cioè conclude il ciclo delle celebrazioni con le quali ogni anno si rivive l'intervento di Dio nella vita degli uomini. Si intende, l'intervento storico, di duemila anni fa, ma anche quello che si ripropone di continuo, perché occorre non dimenticarlo mai: ogni giorno Dio rinnova ad ogni uomo l'offerta della salvezza, e a chi la accoglie Egli
apre le porte della vita eterna insieme con lui.
Il ciclo dell'anno liturgico si chiude appunto con uno sguardo al futuro, in cui campeggia maestosa la figura di Gesù, vincitore definitivo del male, di tutti i mali che affliggono l'umanità. Il brano evangelico di oggi (Matteo 25,31-46) è quello in cui Gesù, parlando di sé in terza persona, descrive il giorno del giudizio finale, quando egli convocherà tutti gli uomini e, con autorità sovrana, pronuncerà la sentenza sulla loro destinazione definitiva. Li dividerà in due gruppi, e al primo dirà: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo", mentre per il secondo risuonerà la condanna: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli".
La divisione e il conseguente giudizio non saranno a capriccio, ma in base a una regola ben precisa: gli uomini staranno per sempre con lui o lontano da lui, a seconda che nella vita terrena abbiano o no imitato lui, supremo modello di amore. Per amore lui, il Figlio di Dio, ha assunto la povera natura umana; per amore si è chinato sui malati, sugli smarriti nel peccato, sui dubbiosi, sugli affamati, sugli emarginati dalla società; per amore ha accettato l'infamante morte in croce, per coinvolgere tutti nella nuova vita da risorto. Chi ha davvero accolto tanto amore lo contraccambia, amando quanti si trovano in necessità: ed egli considera fatto a sé quel che si fa a loro. Di qui le parole che motivano il giudizio finale: "Venite, benedetti... perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, in carcere e siete venuti a trovarmi".
Ovviamente la fame, la malattia e le altre carenze umane qui elencate sono soltanto esempi. La carità può esplicarsi in tanti modi; si aiuta chi ha fame, ad esempio, dandogli il pane ma anche, potendo, dandogli un lavoro con cui guadagnarselo; si giova ai malati stando loro accanto ma anche studiando medicina, o fondando un ospedale; le leggi attuali rendono estremamente difficoltoso visitare i carcerati, ma si può sempre operare in questo campo superando i pregiudizi nei confronti di chi esce di prigione. Ulteriori ambiti sono richiamati in altre circostanze dallo stesso Gesù (le beatitudini, ad esempio, lodano chi si dà da fare per la pace e per la giustizia) e di altri ancora si trovano innumerevoli espressioni nella meravigliosa storia, lunga ormai duemila anni, della carità cristiana.
Un'ampia casistica in proposito offre poi quella sublime pagina della Bibbia che è denominata "inno all'amore" (1Corinzi, 13). Vi si dice tra l'altro: "L'amore è paziente e benigno; non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L'amore non avrà mai fine". Il giudizio universale che concluderà la storia per portarla nell'eternità comprende proprio questo: la fede e la speranza non avranno più ragion d'essere, perché avranno conseguito il loro oggetto; ma l'amore resterà: quello di Dio per noi, quello nostro per lui e per i fratelli, sarà la sostanza della vita nel regno "preparato per noi sin dalla fondazione del mondo".
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