Mons.Antonio Riboldi"Noi siamo ‘l’edificio’ di Dio, la Sua Chiesa"

Omelia del giorno 9 Novembre 2014
 Dedicazione della Basilica Lateranense
La Parola di Dio, oggi, ci interpella, e seriamente, su cosa intendiamo per ‘Chiesa’.
Se ci facciamo caso, normalmente ci fermiamo al tempio. Ogni paese, ogni comunità, ha la sua Chiesa e tutti consideriamo solo questo aspetto: la Chiesa come ‘luogo’ dove avviene l’incontro ‘a tu per Tu’ con Dio, nelle liturgie, nella preghiera e nell’adorazione del SS.mo Sacramento.

Ci sono chiese o cattedrali, che sono un vero splendore di arte, altre più modeste, ma tutte ‘case’ di Dio. I nostri fratelli nella fede si sono sempre prodigati affinché le ‘case di Dio-con noi’ fossero belle, creando dei veri capolavori d’arte. Ricordo che, dopo il terremoto del Belice, Paolo VI raccomandava a noi parroci, nel momento della ricostruzione, di costruire ‘chiese a misura di abitanti’, semplici, ossia che rispecchiassero la povertà dei fedeli.

Dopo il terremoto, nei tempi di vita nelle tende, la Chiesa era una tenda in cui, a volte, per la sua precarietà, dovevamo celebrare con l’ombrello!

Ma se intendiamo per chiesa ‘il luogo di incontro con Dio’, tutto può essere Chiesa: la famiglia, detta ‘piccola Chiesa domestica’, e lo stesso luogo di lavoro. Quello che conta è che rispecchino la Presenza del Padre, perché essere Chiesa, significa soprattutto essere un popolo in cammino, guidato dallo Spirito di Dio, attraverso i Suoi pastori.

Ma Papa Francesco, nella recente Esortazione apostolica Evangelii gaudium e in tanti suoi interventi, sottolinea con forza un altro aspetto, proponendo ‘una Chiesa in uscita’.

Il nostro è tempo di inevitabili fallimenti, se vogliamo, ma di meravigliose sfide, che conoscono la loro audacia nella fiducia in Dio che se ‘chiama e manda’ sa di avere una potenza tale da abbattere ogni difficoltà. E' tempo di coraggio evangelico, che non è esibizionismo di potenza umana, ma di umile servizio alla fede ed agli uomini.

S. Paolo, oggi, in cui la liturgia celebra la ‘Dedicazione della basilica Lateranense’, ‘va oltre’, in profondità e così, stupendamente, ci definisce:

“Fratelli, voi siete l’edificio di Dio … Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti non si può porre un fondamento diverso da quello che già si trova, che è Gesù Cristo. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui, perché santo è il tempio di Dio, che siete voi”. (Corinzi, 3. 9-17)

La nostra appartenenza alla Chiesa inizia il giorno del Battesimo, la vera ‘seconda nascita’.

Nella Chiesa, siamo cresciuti, con i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia e siamo stati accolti di fatto con il sacramento della Cresima, che ci ha resi consapevoli ‘testimoni della fede’.

Nella Chiesa tanti hanno iniziato il cammino della loro specifica vocazione, con la celebrazione del sacramento del Matrimonio.

Così la Chiesa è o dovrebbe essere la casa in cui percorriamo il pellegrinaggio verso la celeste Chiesa, che è il Paradiso, anzi la Chiesa siamo noi: ‘popolo in cammino’!

Ma è così? Ci sentiamo Chiesa-comunità? O abbiamo della Chiesa concetti sbagliati, che la privano della sua divina bellezza? È la casa di Dio con noi e di noi con Dio?

Impensierisce il fatto che tanti cristiani, da tempo, non la considerino più la casa di Dio con noi, vedendo, pericolosamente, come sola casa, il mondo: una casa senza Dio, tremenda, con tutti i mali che ne conseguono! Nella Chiesa, Dio ci raduna come una sola famiglia che si ama e cresce con Lui nell’Amore. Fuori si rischiano false amicizie o compagnie, che devastano la bellezza della nostra vita interiore, distruggono ‘l’edificio di Dio’, che noi siamo.

Quando, da vescovo, ogni domenica, chiamavo i fedeli alla celebrazione eucaristica e vedevo il Duomo affollato di fedeli, provavo la grande gioia di chi si sente in famiglia.

Era lì che si costruiva il tempio di Dio. E lo provo ancora oggi.

Ma qualche volta, purtroppo, come ‘il tempio di Dio’ che ognuno di noi è, anche la Chiesa, come edificio di culto, luogo di intimità con Dio, che esige il massimo rispetto, viene ‘usata’ in modi che nulla hanno a che fare con la sua vera natura. Basta pensare a certi matrimoni o prime comunioni, veri ‘spettacoli mondani’...non si può esprimere l’impressione che ne nasce, ma sentiamo Gesù:

“Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: ‘Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!’. I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: ‘Lo zelo per la Tua casa mi divorerà’.” (Mt. 2, 13-22) Credo che Gesù, anche oggi, davanti a tante violazioni della Casa del Padre Suo, userebbe la stessa sferza.

Il beato Rosmini, nel 1848, scrisse un libro che intitolò: ‘Le cinque piaghe della Santa Chiesa’.  Sanzionato, l’anno dopo, dalla Congregazione dell’Indice. Sarà proprio il caro e ora beato Paolo VI a togliere l’opera dall’elenco, dichiarando che non meritava tale sentenza e, anzi, ‘Le cinque piaghe’ divennero, secondo molti, ispirazione per molti argomenti affrontati dal Concilio Vaticano II.

Secondo Rosmini le piaghe della Santa Chiesa erano: la divisione del popolo dal Clero, nel pubblico culto, l’insufficiente educazione del Clero, la disunione dei vescovi, la nomina dei vescovi, abbandonata al potere temporale, la servitù dei beni temporali.

Oggi forse vi è un altro aspetto, che tocca ognuno di noi, e che Papa Francesco evidenziò in un discorso, solo poche settimane dopo la sua elezione alla Cattedra di S. Pietro, esprimendo il suo rammarico per una fede epidermica di tanti, contraddetta dalla condotta, e la necessità di coerenza alla vera sequela di Gesù, dichiarando che bisogna "uscire da se stessi, da un modo stanco e abitudinario di vivere la fede, chiuso nei propri schemi’. … Spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una messa domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non abbiamo il coraggio di 'uscire' per portare Cristo’.

Ci vuole il coraggio e la testimonianza dei Santi che amavano e amano la Chiesa di ieri e di oggi.

Il beato Rosmini, prima di scrivere Le cinque piaghe, faceva queste considerazioni:

‘Posi mano a scrivere questo libro a sfogo dell’animo mio addolorato e fors’anco a conforto altrui. Esitai prima di farlo: perciocché meco medesimo mi proponea la questione: Sta egli bene che un uomo senza giurisdizione, componga un trattato sui mali della Santa Chiesa?... A questa questione io mi rispondevo, che il meditare sui mali della Chiesa, anche a un laico non potea essere riprovevole, ove a ciò fosse mosso dal vivo zelo del bene di essa e della gloria di Dio’.

Non ci resta che chiedere allo Spirito di saper vivere e provare gioia e orgoglio anche noi, per ‘essere edificio di Dio, tempio in cui Egli abita’ e ‘Suo popolo in cammino’. Battezzati che, sentendo la chiamata, rispondono con la vita.

Bisogna tornare ad essere cristiani convinti e gioiosi, per essere capaci di ‘andare incontro a chi si è allontanato dalla fede per varie ragioni’, rispondendo ad un bisogno che oggi più che mai, secondo Papa Francesco, ha la Chiesa: ‘la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità’, perché ‘chi conosce Gesù, chi lo incontra personalmente, rimane affascinato … Trovare Gesù è avere la gioia cristiana, che è un dono dello Spirito Santo, gioia che si vede, trasparire in ogni parola, in ogni gesto, anche in quelli più semplici e quotidiani … ’


Antonio Riboldi – Vescovo

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