PAPA FRANCESCO MEDITAZIONE SANCTAE MARTHAE Depressione o speranza?

Giovedì, 27 novembre 2014
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.272, Mar. 28/11/2014)
Francesco ha lanciato un invito alla «speranza», a non farsi deprimere e spaventare da una realtà fatta di «guerre e sofferenza». Ricordando come le grandi costruzioni erette facendo a meno di Dio siano destinate a crollare: è stato così per la
«malvagia Babilonia», caduta per la corruzione della mondanità spirituale. Ed è stato così anche per la «distratta Gerusalemme», caduta perché «sufficiente» a se stessa e incapace di accorgersi delle visite del Signore. Così per il cristiano l’atteggiamento giusto è sempre «la speranza» e mai «la depressione», ha detto nella messa di giovedì 27 novembre. E ha dedicato la celebrazione alla beata Vergine della medaglia miracolosa, cara alla spiritualità delle figlie della carità di San Vincenzo de’ Paoli, la congregazione che presta servizio nella Casa Santa Marta.

«In questi ultimi giorni dell’anno liturgico — ha fatto subito notare Francesco — la Chiesa ci propone di meditare sulla fine, sugli ultimi giorni, sulla fine del mondo». E «lo fa con diverse immagini, con diversi argomenti: domani ci sarà quella dei segni dei tempi». Ma, ha proseguito, «attira sempre la nostra attenzione verso il fine: l’apparenza di questo mondo si scioglierà e ci sarà un’altra terra, un altro cielo; ma questo finirà, finirà trasformato». Così, ha spiegato, «oggi ci dà, per meditare, la figura di due città, il crollo di due città: due città che non hanno accolto il Signore, che si sono allontanate dal Signore; due città che si sentivano soddisfatte di loro stesse». E così, nella prima lettura, tratta dall’Apocalisse (18,1-2.21-23; 19,1-3.9) Giovanni parla del crollo di Babilonia. Mentre Luca, nel Vangelo (21, 20-28) riporta le parole di Gesù sulla caduta di Gerusalemme.

Però, ha precisato Francesco, «il crollo di queste due città avviene per motivi differenti». Da una parte c’è Babilonia, «simbolo del male, del peccato, che era diventata», si legge appunto nell’Apocalisse, «covo di demoni, rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni bestia impura e orrenda». E «Babilonia cade per corruzione». A dirlo, alla fine, è proprio l’apostolo: «Lei, la grande, corrompeva la terra con la sua prostituzione». Babilonia, ha sottolineato Francesco, «era corrotta, si sentiva padrona del mondo e di se stessa, col potere del peccato». E «quando si accumula il peccato, si perde la capacità di reagire e si incomincia a marcire».

Ma «così accade anche con le persone, con le persone corrotte, che non hanno forza per reagire» ha precisato il Papa. Perché «la corruzione ti dà qualche felicità, ti dà potere e anche ti fa sentire soddisfatto di te stesso»; però «non lascia spazio per il Signore, per la conversione». Ecco, dunque, il profilo della «città corrotta». E proprio «la parola corruzione oggi ci dice tanto: non solo corruzione economica, ma corruzione con tanti peccati diversi; corruzione con quello spirito pagano, con quello spirito mondano». Del resto, ha rimarcato il Pontefice, «la più brutta corruzione è lo spirito di mondanità». E infatti «Gesù aveva chiesto tanto al Padre di custodire i suoi discepoli dal mondo, dallo spirito del mondo, che ti fa sentire come in paradiso qui, pieno, abbondante». Invece «dentro, quella cultura corrotta è un cultura putrefatta: morta e di più... Questo non si vede».

Babilonia è così il «simbolo» — ha detto il Pontefice — di «ogni società, ogni cultura, ogni persona allontanata da Dio; anche allontanata dall’amore ai prossimi, che finisce per marcire, per marcire in se stessa». E alla fine «questa Babilonia, che era covo dei malvagi, cade per spirito di mondanità, cade per corruzione, si allontana dal Signore per corruzione».

Invece, ha spiegato Francesco, «Gerusalemme cade per un altro motivo». Anzitutto «Gerusalemme è la sposa, è la fidanzata del Signore: la voleva tanto!». Però «non si accorse delle visite del Signore» e «ha fatto piangere il Signore». Tanto da fargli dire: «Quante volte ho voluto coprirti come la chioccia con i suoi pulcini: tu non ti sei resa conto delle mie visite, delle tante volte che Dio ti ha visitato».

Dunque, ha precisato il Papa, se «Babilonia cade per corruzione, Gerusalemme cade per distrazione, per non ricevere il Signore che viene a salvarla». In pratica «non si sentiva bisognosa di salvezza: aveva gli scritti dei profeti, di Mosè e questo le era sufficiente». Ma quegli scritti erano «chiusi». Di conseguenza «non lasciava posto per essere salvata, aveva la porta chiusa per il Signore». E così «il Signore bussava alla porta, ma non c’era disponibilità di riceverlo, di ascoltarlo, di lasciarsi salvare da lui». E alla fine Gerusalemme cade.

Secondo il Pontefice, «questi due esempi ci possono fare pensare alla nostra vita: anche noi, un giorno, sentiremo lo squillo della tromba». Ma «in che città saremo in quel giorno? Nella corrotta e sufficiente Babilonia? Nella distratta, con le porte chiuse, Gerusalemme?». In ogni caso, alla fine entrambe vengono distrutte.

Tuttavia «il messaggio della Chiesa in questi giorni — ha suggerito Francesco — non finisce con la distruzione: in tutti e due i testi c’è una promessa di speranza». Infatti nel momento in cui cade Babilonia «si sente il grido di vittoria: alleluia, beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello! Alleluia, adesso incomincia il banchetto di nozze, adesso che è tutto pulito!». Quella città, ha aggiunto, «non era degna di questo banchetto».

D’altra parte «il testo della caduta di Gerusalemme ci consola tanto con quella parola di Gesù: alzate il capo!». L’invito del Signore è a «guardare» e a non lasciarsi «spaventare dai pagani». Poiché «i pagani hanno il loro tempo e dobbiamo sopportarlo con pazienza, come ha sopportato il Signore la sua passione». Per questo resta l’invito di Gesù: «Su la testa!».

Con questo appello alla speranza il Papa ha concluso la sua meditazione. «Quando pensiamo alla fine, alla fine della nostra vita, alla fine del mondo — ha spiegato — ognuno di noi avrà la propria fine; quando pensiamo alla fine, con tutti i nostri peccati, con tutta la nostra storia, pensiamo al banchetto che gratuitamente ci sarà dato e alziamo il capo». Perciò «niente depressione» ma «speranza». È vero, ha riconosciuto Francesco, che «la realtà è brutta: ci sono tanti, tanti popoli, città e gente, tanta gente, che soffre; tante guerre, tanto odio, tanta invidia, tanta mondanità spirituale e tanta corruzione». Però «tutto questo cadrà». Ecco perché, ha affermato, dobbiamo chiedere «al Signore la grazia di essere preparati per il banchetto che ci aspetta, col capo sempre alto».
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.272, Mar. 28/11/2014)

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