Card. Angelo Scola,L’ingresso del Messia Cantino al loro re i figli di Sion IV domenica d’Avvento

Arcidiocesi di Milano
Is 16,1-5; Sal 149; 1Ts 3,11 – 4,2; Mc 11,1-11
Duomo di Milano, 7 dicembre 2014
1. Quasi una profezia
«Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio» (Vangelo, Mc 11,11). La narrazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, che segna l’inizio
dell’ultima settimana della vita di Gesù, sembrerebbe più consona alla Pasqua che al Natale. Il rito ambrosiano, sulla scorta degli antichi Padri della Chiesa, lo propone invece in questa domenica. Perché? Perché, anche se non rispetta lo sviluppo storico degli avvenimenti della vita di Gesù, è quasi una profezia della manifestazione gloriosa di Gesù alla fine della storia. Abbiamo imparato che non si può separare la memoria dell’Avvento nella storia del Figlio di Dio – il Santo Natale – dal Suo avvento finale nella gloria. Ciò domanda a ciascuno di noi e a tutto il popolo cristiano di accogliere – è il titolo di questa IV Domenica di Avvento – fin da ora l’ingresso del Signore nella nostra vita personale e comunitaria.

2. La singolarità del messianismo di Gesù
Entrando nella città santa Gesù mostra una sovrana consapevolezza dell’evento che si sta svolgendo, ne dispone minuziosamente ogni gesto, addirittura lo “vede” in anticipo – «troverete un puledro legato… E se qualcuno vi dirà… rispondete…» (Mc 11,2b.3a) –, dimostrando di possederne fino in fondo il significato. Egli, anche in questo caso, si rivela come il Signore della storia che, per questo, viene a redimerla.
La scelta di cavalcare un puledro, il gesto dei discepoli e della folla di stendere i mantelli davanti a lui, le parole con cui la gente lo acclama, il riferimento a Davide… sono tutti richiami a questa signorìa del Messia, ma suggeriscono chiaramente che Gesù è un Messia del tutto particolare, non asseconda la logica del mondo.

3. Sovrana consapevolezza che inaugura un confronto
Il Vangelo di Marco però non indugia sul quadro di acclamazione e di esultanza nel quale si svolge l’ingresso a Gerusalemme, anzi bruscamente lo interrompe facendolo coincidere con l’entrata diretta nel Tempio («Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio»). Dopo essere stato accompagnato sulla strada da una folla festosa, Gesù, anche se in secondo piano sono presenti i dodici, si trova solo [il verbo è significativamente al singolare, entrò, come pure è il verbo uscì] e quasi in incognito.
E l’evangelista continua: «Dopo aver guardato ogni cosa attorno» (Mc 11,11). Il verbo greco (periblepo) indica che lo sguardo di Gesù è uno scrutare attento che anticipa la tensione che segnerà il resto del racconto (la cacciata dei mercanti dal tempio). Gesù entra nel tempio non come un semplice pellegrino, ma per dare inizio ad un confronto che avrà conseguenze decisive sia per lui che per il tempio.
Dal Vangelo di oggi deriva per noi una conseguenza decisiva. Se Colui che viene è il Signore, ognuno di noi è chiamato a situarsi rispetto a Lui, a prendere posizione. Kierkegaard osserva che se Dio si fa uomo e viene allora «tu devi».

4. La misura dell’amore è amare senza misura
Il Signore viene a prendere su di Sé il nostro male e allora «sarà stabilito un trono sulla mansuetudine, vi siederà con tutta fedeltà, nella tenda di Davide, un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia» (Lettura, Is 16,5). Egli viene come Colui che, Innocente assoluto, prende su di Sé il nostro male, il nostro peccato e offre se stesso per la nostra redenzione, viene come agnello immolato. Dio sorprende sempre, eccedendo ogni nostra misura di pensiero e di azione. Perché «la misura dell’amore [ad imitazione della carità, l’amore di Dio] è amare senza misura» (Agostino, Lettera 109,2). È questa sovrabbondanza che noi riceviamo e non possiamo, per quanto ne siamo capaci, non restituire.
Per questo Paolo scrive «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti [non c’è infatti autentico amore con i “nostri” se non è tendenzialmente aperto a tutti]» (Epistola, 1Ts 3,12).

5. La figura della moralità cristiana
La ragione di questo invito all’amore dell’Apostolo è la venuta finale del Signore. Come abbiamo ricordato la prima domenica d’Avvento, è il fine/la fine che orienta il nostro presente e lo spinge alacre al compimento: «per rendere saldi i vostri cuori nella santità» (Epistola, 1Ts 3,13). Si vede in questo il cuore della morale che Gesù propone. Essa consiste nella ripresa o, meglio, nel “lasciarsi riprendere” ogni volta «affinché… possiate progredire ancora di più» (Epistola, 1Ts 4,1b).
Per questo il Santo Padre ci ricorda che «la predicazione morale cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non è una mera filosofia pratica né un catalogo di peccati ed errori. Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti. … Tutte le virtù sono al servizio di questa risposta di amore» (Francesco, Evangelii gaudium, 39).

6. Disponibili a lasciarsi riprendere
Continuiamo il nostro cammino verso il santo Natale imitando la disponibilità dei nostri bambini più piccoli che non si scandalizzano di essere caduti (e lo fanno continuamente), ma sono sempre pronti a lasciarsi rialzare e a riprendere a camminare.
Maria Immacolata, la cui festa celebreremo domani, ci protegga in questo permanente cammino di ripresa che non cessa di ridonarci la gioia di vivere. Amen.

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