CIPRIANI SETTIMO "Partì con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso"

28 dicembre 2014 | 1a Domenica: S. Famiglia - Anno B | Appunti per la Lectio
SANTA FAMIGLIA (anno C) 
(Domenica dopo Natale o il 30 dicembre)
A qualcuno potrebbe apparire anche superflua la festa della Sacra Famiglia, che la Chiesa ci invita a celebrare in questa Domenica che segue immediatamente la solennità del Natale.
Non si può, infatti, celebrare l'Incarnazione del Figlio di Dio senza pensare a Maria, che lo ha portato per nove mesi nel suo seno, e a Giuseppe, che ha ricoperto con tanto amore e discrezione il ruolo di una vera, anche se particolare,
paternità. Del resto, la stessa rappresentazione così vivace e diffusa del "presepe" ci richiama subito alla mente i tre protagonisti di questa storia, che ha dato senso nuovo alla vita di tutti gli uomini.
In realtà, la festa della S. Famiglia, pur congiunta così intimamente al mistero del Natale, assume un significato tutto proprio e direi anche autonomo, soprattutto per i tempi che stiamo vivendo.
Infatti tale celebrazione, nelle intenzioni della Chiesa, vuole afferrare la totalità dell'esperienza umana di "quella" famiglia, dal suo primo costituirsi fino all'inizio della vita pubblica del Signore, alla sua morte e risurrezione, e proporla all'ammirazione e all'imitazione dei credenti. È quanto ci suggerisce la preghiera d'inizio della Liturgia odierna: "O Dio, nostro Padre, che nella santa Famiglia ci hai dato un vero modello di vita, fa' che nelle nostre famiglie fioriscano le stesse virtù e lo stesso amore, perché, riuniti insieme nella tua casa, possiamo godere la gioia senza fine".
E Dio sa quale enorme importanza ha oggi la famiglia sia per la Chiesa che per la società civile, se vogliamo cominciare a ritessere la tela dell'amore fra gli uomini: se non si impara ad amare nella famiglia, non lo si imparerà da nessun'altra parte!
Di qui la priorità della pastorale della famiglia, come ricordava Papa Giovanni Paolo II, inaugurando la 3ª Conferenza generale dell'Episcopato latino-americano: "Fate ogni sforzo perché vi sia una pastorale della famiglia. Dedicatevi a un settore così prioritario con la certezza che la evangelizzazione nel futuro dipende in gran parte dalla "chiesa domestica". È la scuola dell'amore, della conoscenza di Dio, del rispetto alla vita, alla dignità dell'uomo. Tale pastorale è tanto più importante in quanto la famiglia è oggetto di tante minacce. Pensate alle campagne favorevoli al divorzio, all'uso di pratiche anticoncezionali, all'aborto, che distruggono la società".

"Per questo fanciullo ho pregato..."
Le letture bibliche della presente Domenica ci propongono degli esempi concreti di famiglie "reali", in cui l'amore umano e quello divino si sono fusi in un unico grande amore, che solo dà senso e consistenza alla famiglia stessa, pur in mezzo alle tribolazioni e alle difficoltà che può incontrare la vita familiare, per una molteplicità di combinazioni.
È precisamente il caso che ci presenta la prima lettura (1 Sam 1,20-22.24-28), in cui si descrive la nascita e la consacrazione di Samuele al Signore.
Egli è veramente un "dono" di Dio alla madre, che non poteva avere figli perché sterile. Lo aveva chiesto insistentemente in un suo pellegrinaggio al santuario di Silo: "Signore degli eserciti, se vuoi considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io l'offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo" (1 Sam 1,11). Le ultime espressioni alludono al segno anche sensibile della "consacrazione" (nazireato) al Signore, cioè il farsi crescere i capelli, come Sansone.
Il Signore non fu sordo alla preghiera e al pianto di una donna che desiderava di allargare il suo amore in un figlio, frutto del proprio seno. "Così al finir dell'anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele. "Perché - diceva - dal Signore l'ho impetrato". Quando poi Elkana (il marito) andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il voto, Anna non andò, perché diceva al marito: "Non verrò, finché il bambino non sia divezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre"" (1 Sam 1,20-22).
Si noti la gratitudine di Anna verso il Signore, anche nella imposizione del nome al figlio: la etimologia è fatta solo per assonanza (di per sé Samuele significa: "nome di Dio"), ma fondamentalmente vuole esprimere che Dio soltanto è all'origine della vita. Ogni vita è sacra, anche quella non ancora nata: per cui l'uomo commette un delitto tutte le volte che tenta di eliminarla o di manipolarla.
Si noti anche la delicatezza della madre, che è tutta presa dalle cure verso il figlio, che non vuole esporre a nessun rischio, neppure per compiere un gesto di culto, a cui pur teneva moltissimo. Il "divezzamento" presso gli Ebrei avveniva molto tardi (2-3 anni): solo allora egli poteva "comparire" davanti al Signore, come di fatto avvenne per Samuele secondo il seguito del racconto (vv. 24-28).
Nel comportamento di Anna, al di là della gratitudine al Signore, c'è da sottolineare la dimensione "religiosa", che dà significato a tutto quello che essa compie: se ogni figlio è dono di Dio, a lui deve necessariamente ritornare, non tanto come offerta semplicemente rituale, ma soprattutto come accettazione di dipendenza da Dio.
Ciò implica tutto un processo "educativo", per cui il figlio viene formato in modo da aprirsi da se stesso, liberamente, al dialogo con Dio. I genitori devono riscoprire la loro fondamentale vocazione e responsabilità di "evangelizzatori" dei figli. È in questa maniera che la famiglia cristiana può, e deve, diventare davvero "chiesa domestica", perché in realtà vi si compie quello che è il compito più specifico della Chiesa, cioè l'annuncio del Vangelo.
La generosità di Anna, però, va anche oltre: si espropria addirittura del figlio per offrirlo al Signore, in servizio al tempio e poi per la missione profetica che Dio gli affiderà: "per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore" (v. 28). La scarsità di "vocazioni", sacerdotali o religiose, nella Chiesa non deriva forse, e principalmente, dal fatto che i genitori, anche cristiani, sentono i figli più come loro "possesso" che come "dono" e "proprietà" del Signore? È per questo che molte volte non solo non favoriscono, ma ostacolano addirittura la loro vocazione.

"Ecco, tuo padre ed io, angosciati ti cercavamo"
Il vivacissimo racconto evangelico, esclusivo di Luca (2,41-52), in cui ci viene descritto lo smarrimento di Gesù nel tempio, nelle intenzioni dell'Evangelista ha soprattutto una finalità "cristologica": indicare la vera identità di Gesù e la sua missione. Tutto il brano, infatti, ha il suo centro di interesse e anche di spiegazione nelle parole di Gesù, in risposta al dolente rimprovero della madre: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (v. 49).
Gesù ha un rapporto unico ed esclusivo col Padre, del quale "deve" fare la volontà che lo porterà fino alla morte di croce. Questo "dovere" misterioso e implacabile, scandirà i momenti più decisivi della sua vita, per farlo poi entrare nella "gloria" del Padre. In questo strano episodio dell'infanzia di Gesù abbiamo come l'anticipazione "profetica" del suo completo "donarsi" alla "volontà" del Padre.
Nelle intenzioni della Chiesa, invece, che ci propone questo brano proprio per la festa della S. Famiglia, è chiaro che esso deve venir letto in chiave di illustrazione di questo mistero liturgico. E mi sembra che gli spunti non manchino e siano, anzi, assai stimolanti.
Prima di tutto credo che sia molto significativo il fatto dell'annuale "peregrinare" della famiglia di Gesù a Gerusalemme in occasione della Pasqua (Lc 2,41). Esso rientrava nel quadro delle usanze religiose ebraiche. Così come vi rientrava l'andata di Gesù a dodici anni (v. 42), cioè nell'anno che precedeva il riconoscimento della maturità religiosa del giovane ebreo, fissata a tredici. Questo rende anche comprensibile la permanenza di Gesù nelle adiacenze del tempio (cf vv. 46-47), dove i "maestri" tenevano le loro lezioni sulla legge per i giovani che dovevano essere riconosciuti "adulti" nella fede, con il diritto di poter leggere poi il testo sacro nelle sinagoghe.
La famiglia di Gesù è dunque una famiglia aperta al fatto religioso, lo sente come elemento fondante della sua capacità di realizzarsi proprio come famiglia. Nel caso di Gesù tutto questo potrebbe apparire scontato. E di fatto lo è! Ma Luca ha voluto ricordarcelo proprio per dirci che a maggior ragione questo vale per noi, che forse non avvertiamo la necessità che il rapporto con Dio, la preghiera, la lettura e la meditazione della Parola del Signore diano un profumo nuovo alla serena convivenza e alla crescita delle nostre famiglie.
Il misterioso smarrimento di Gesù nel tempio portò come un'aria di tempesta nella vita tranquilla della famiglia di Nazaret. La possiamo cogliere nelle accorate parole di Maria, dopo tre giorni di spasimo, quando lo ritroverà nel tempio "seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava" (v. 46): "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo" (v. 48).
Anche questo è significativo. Non c'è famiglia, anche la meglio organizzata o la più fortunata, su cui non si abbatta qualche volta la tempesta: incomprensioni, conflitti, errori, insuccessi, malattie, morti di piccoli o di anziani o di giovani. Che fare in queste situazioni? È qui soprattutto che la "fiducia in Dio" raddolcisce i dolori (A. Manzoni), compagina di più i vari membri della famiglia e li carica di speranza in attesa di giorni migliori.
Sembra che Luca voglia dirci proprio questo, quando chiude il suo burrascoso racconto con una annotazione quasi idilliaca: "Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (vv. 51-52). Il dolore e la sofferenza non arrestano la vita: visti in Dio, al contrario, la rendono più dinamica e più feconda.

"Non compresero le sue parole"
L'atteggiamento di Maria e di Giuseppe, attentamente fotografato da Luca, ci suggerisce un'ultima considerazione. Abbiamo appena sentito dirci dal Vangelo che Maria "serbava tutte queste cose nel suo cuore" (v. 51). Immediatamente prima si dice che i genitori di Gesù "non compresero le sue parole" (v. 50), cioè quelle pronunziate da Gesù dopo l'accorato lamento della madre (cf vv. 48-49).
C'è dunque qualcosa di "misterioso" nell'atteggiamento e nelle parole di quel loro "figlio": tanto più misterioso, se confrontato con quello che di lui avevano sperimentato prima e sperimenteranno dopo, almeno fino all'inizio della vita pubblica. E noi sappiamo benissimo che tutto questo è vero: il "mistero" di Cristo non sovrasta noi soltanto, ma anche i suoi genitori!
Però c'è un "mistero" in ogni uomo, e specialmente in ogni essere umano in formazione e in crescita, come sono appunto i figli. I genitori dovrebbero avere una sensibilità finissima per percepirne i problemi e aiutarli a risolverli alla luce di Dio, senza sovrapporsi a loro. Molte volte le loro strade non sono quelle che noi pensiamo o desideriamo: occorre avere rispetto, anzi incoraggiarli a percorrerle con piena fiducia in Dio, soprattutto se sono le vie esaltanti delle varie "chiamate" al servizio apostolico nella Chiesa.
È così che genitori e figli si aiuteranno a vicenda a scoprire quello che Dio vuole da ognuno di noi.

"Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio!"
La seconda lettura (1 Gv 3,1-2.21-24) di per sé non si muove in un contesto di esperienza o di valori familiari come la prima, però esalta la nostra condizione di "figli di Dio", quasi a dire che non basta generare dei figli e anche educarli, se poi non si preparano e non si avviano ad una convinzione anche più profonda, quella cioè di appartenere alla "famiglia" di Dio.
"Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!... Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1 Gv 3,1-2).
E nello stesso tempo esalta la legge che sta alla base di qualsiasi aggregato familiare: "l'amore", che genera la fiducia degli uomini sia fra di loro che nei loro rapporti con Dio: "Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio... Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo, Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri secondo il precetto che ci ha dato" (vv. 21-23).
La famiglia naturale diventa per questa via il simbolo e l'espressione della più grande "famiglia" che è la Chiesa.

  Da CIPRIANI S.

Commenti

Post più popolari