CIPRIANI SETTIMO sdb"HAI PRESERVATO LA VERGINE MARIA DA OGNI MACCHIA DI PECCATO ORIGINALE"

08 dicembre 2014| Immacolata Concezione B | Omelia
Proprio nel cuore dell'Avvento scintilla di gioia e di luce la festa dell'Immacolata Concezione di Maria, che di fatto è come una "via" preparatoria alla "venuta" di Cristo in mezzo a noi.
E questa "via" incomincia già molto prima che l'angelo le annunciasse il grande mistero della divina maternità, come ci ricorderà tra poco il Vangelo: incomincia fin dal primo istante del suo esistere umano nel seno di sua madre; dal suo
"concepimento", appunto.

Era giusto, infatti, che Maria la quale, nel disegno di Dio, era destinata ad essere la madre del suo Figlio, neppure per un istante fosse soggetta al peccato originale che, a iniziare da Adamo, contagia tutti gli uomini. Lei che ci ha dato colui che ha "distrutto il peccato", come poteva essere a sua volta devastata dal peccato?

È quanto viene espresso sia nella colletta, sia soprattutto nel bellissimo prefazio: "Tu hai preservato la Vergine Maria da ogni macchia di peccato originale, perché, piena di grazia, diventasse degna madre del tuo figlio. In lei hai segnato l'inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza. Da lei, vergine purissima, doveva nascere il Figlio, agnello innocente che toglie le nostre colpe; e tu sopra ogni altra creatura la predestinavi per il tuo popolo avvocata di grazia e modello di santità". Oltre all'affermazione del dogma, in questo testo si afferma anche la "esemplarità" di Maria per tutta la Chiesa: essa pure deve, come Maria, essere "senza macchia" e "splendente di bellezza".

La festa dell'Immacolata Concezione, perciò, non è soltanto la celebrazione della quasi infinita santità di Maria, ma anche un richiamo per tutti noi a "specchiarci" nella sua "pienezza di grazia" e nel suo "splendore" di luce.

"In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo..."

Mi sembra che proprio in questa direzione si muova la seconda lettura, ripresa dal prologo della lettera agli Efesini, in cui san Paolo ringrazia, celebrandolo, "il Padre del Signore nostro Gesù Cristo" per averci inseriti, già "prima della creazione del mondo", nel suo disegno di salvezza: quello che per Paolo è il "mistero" per eccellenza. Se questo è valido in modo particolare per Maria, rimane però vero anche per tutti noi: anzi, è sicuro che l'apostolo proprio di noi qui voleva parlare, non di Maria, anche se lei più di tutti ha corrisposto al disegno di Dio.
"Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà..." (Ef 1,3-6).
Mi sembra che le idee fondamentali di questo brano siano tre. La prima è che Dio da sempre "ci ha benedetti" e "scelti" in Cristo (v. 4): l'unica ragione del nostro esistere è lui! La seconda è che il nostro rapporto con Cristo non è soltanto di simpatia, ma addirittura di "incorporazione", fino a diventare, in qualche misura, quello che lui è, cioè "figli" di Dio, sia pure per "adozione" (v. 5): questo implica come una nuova nascita, che di fatto si attua nel battesimo. La terza idea è che tutto ciò esige da noi un impegno di santità, che maturi nell'amore: "...per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità" (v. 4). È solo così che la nostra vita sarà, di per se stessa, una celebrazione dell'opera gratuita di Dio in noi: "...a lode e gloria della sua grazia" (v. 6).

"Per singolare grazia e privilegio
è stata preservata immune da ogni colpa di peccato originale"

La Liturgia, pertanto, non ha fatto un uso indebito di questo testo applicandolo a Maria, perché in realtà in lei esso trova la realizzazione più profonda. Il nostro rapporto di "fraternità" con Cristo, pur profondo ed esaltante, non raggiungerà mai l'intensità di quello che Maria ebbe con lui; rapporto addirittura di "maternità" e di "filiazione", con un intreccio di vita, anche a livello fisico, che ci sconcerta.
Maria è l'unica creatura, di cui Dio ha avuto bisogno per dare "carne" al suo Figlio! Questo può farci intravedere la profondità misteriosa con cui essa entra da sempre nel "disegno" di Dio, più di tutti noi: e anche la "santità" sublime, che deve aver accompagnato tutta la sua vita, per essere "degna" dimora del Figlio dell'Altissimo. Non ci si può immergere nel fuoco, senza diventare fuoco bruciante!
Per cui non è per niente aberrante l'intuizione della Chiesa, che riporta ed estende questo fulgore di "santità" fino al primo momento del suo esistere terreno nel seno della madre: mentre tutti nasciamo con il peccato originale, che segna del suo stigma tutta la nostra vita, lei è stata sottratta al suo contagio fin dall'inizio, per pura benevolenza divina: proprio perché la fonte, per cui ci viene la sorgente della vita, non fosse minimamente inquinata.
È questo infatti il senso fondamentale del dogma dell'Immacolata Concezione, quale è stato definito da Pio IX con la bolla "Ineffabilis Deus" (1854): "Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina, la quale ritiene che la beatissima vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente e in vista dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, sia stata preservata immune da ogni colpa di peccato originale, è dottrina rivelata da Dio, e perciò da credersi fermamente e costantemente da tutti i fedeli".

"Porrò inimicizia fra te e la donna"

In una lettura fatta procedendo a ritroso, cioè dallo sviluppo attuale del dogma, acquista più luce anche il racconto della Genesi, in cui si descrive il primo incontro di Dio con i progenitori dopo la loro disubbidienza. Essi tentano inutilmente di "nascondersi" davanti a lui, coprendo la loro "nudità" (Gn 3,9-11), la quale in questo contesto designa più il senso della colpevolezza che non della vergogna: essi si sentono veramente "nudi", cioè sprovvisti di tutto davanti a Dio, bisognosi solo della sua "misericordia", se egli vorrà loro concederla.
Di fatti gliela concederà, e precisamente prendendo la rivincita sul "serpente" (che evidentemente in tutta questa scena rappresenta Satana, il vero colpevole di questo disastro iniziale che si ripercuoterà su tutta la storia umana), per mezzo di una "donna", che sarà però come la "contro-Eva", nel senso che non si comporterà come la prima!
È il famoso cosiddetto "protovangelo", perché annuncia fin dai primordi la futura salvezza, che si attuerà in Cristo, donatoci da Maria.

"Allora il Signore Dio disse al serpente: "Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno"" (Gn 3,14-16).
L'"umiliazione" del serpente, che viene espressa attraverso immagini riprese dal suo, per noi repellente, modo di vivere, di fatto consisterà soprattutto nella sua sconfitta ad opera di una misteriosa "donna" e della sua "stirpe", che invece di essergli "amici", come erano stati Eva ed anche Adamo, gli saranno "nemici".

E gli saranno "nemici" proprio perché non ascolteranno le sue parole di seduzione e di incitamento alla disubbidienza contro Dio, come era avvenuto in quei lontani primordi. Centrale perciò in tutto il brano è il preannuncio profetico del v. 15: "Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno".
Anche se sarà di fatto la stirpe della donna a "schiacciare" la testa al serpente, cioè a vincerlo, in realtà la vittoria sarà comune, data l'intima associazione dei due nella "inimicizia" senza quartiere. In questo senso la traduzione della Volgata: "ipsa (cioè la donna) conteret caput tuum" non falsifica il testo, anche se in parte lo forza: accanto al "Figlio" c'è sempre la "madre". Se la "stirpe" allude al Messia, è più che logico vedere nella "donna", anch'essa lottatrice, Maria.

"Lo Spirito Santo scenderà su di te"

Il Vangelo di Luca, che ci descrive l'incantevole scena dell'annunciazione (1,26-38), ci aiuta a penetrare meglio nel mistero dell'Immacolata Concezione, quale di fatto la Chiesa, nel suo sforzo di penetrazione del deposito della fede, lo intende.
È evidente da tutto il racconto che l'intenzione dell'evangelista è quella di mettere in luce la "concezione" verginale di Gesù e la sua origine trascendente: "Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo". Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio"" (Lc 1,34-35).
Solo l'intervento dello Spirito può compiere il prodigio dell'incarnazione del "Figlio di Dio": proprio per questo egli salta le vie normali della generazione umana, e non perché questa sia peccaminosa o fosse indegna di Gesù.

La "verginità" di Maria va molto al di là del mero fatto fisico: essa è il "segno" della totale appartenenza di Maria di Nazaret a Dio, per cui egli può operare in lei tutto quello che a lui piace. Giuseppe, che pur entra in questo progetto, non è elemento di disturbo, perché si adegua in tutto e per tutto alla situazione voluta da Dio: la "paternità", che gli è negata sul piano della "carne", gli verrà più ampiamente concessa sul piano dello "spirito"! È esattamente il quadro antitetico a quello che abbiamo visto nella Genesi: là Eva, che trascina Adamo nella rivolta contro Dio; qui Maria, che si associa Giuseppe, suo "sposo" (v. 27), per realizzare nella "verginalità" del coniugio e nella totale obbedienza il disegno trascendente di Dio.

"Avvenga di me quello che hai detto"

Maria si è lasciata plasmare e possedere dalla "parola" di Dio, diversamente da Eva che ha sospettato della sua benevolenza e non ha obbedito al suo comando. Il racconto di Luca si chiude precisamente con la risposta di Maria all'angelo: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (v. 38).
È la disponibilità totale a farsi possedere dalla forza della "parola": mentre Maria si professa la "serva del Signore" e si dichiara pronta ad attuare il progetto di Dio per la salvezza del mondo, di fatto mette in movimento qualcosa che "crea" una situazione nuova, e diventa la "madre" del Signore. Proprio perché sa confessarsi "serva", Dio l'assume per il compito più alto che sia mai stato affidato a creatura umana.
Tutto questo già ci può far intravedere gli abissi di santità di questa creatura unica ed eccezionale: non ci si improvvisa "servi del Signore", con quell'abbandono totale a lui, come ha fatto Maria, se non si è già interiormente preparati a questa "lotta con l'angelo", in cui Dio sarà sempre il vincitore.

"Ti saluto, o piena di grazia"

Il racconto di san Luca ci permette di cogliere qualcosa del mistero della santità di Maria nelle parole iniziali di saluto, rivoltele da Gabriele: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te" (v. 29). Parole tanto grandi, queste, che le recano addirittura "turbamento" (v. 29). L'angelo, nel ribadirle, le rivela anche il progetto di Dio: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù" (vv. 30-31).
C'è un termine, che ricorre qui per ben due volte: "grazia" (cháris). "Hai trovato grazia presso Dio". E prima ancora: "Ti saluto, o piena di grazia", qui in forma di participio verbale. Maria, dunque, è l'amica di Dio, gli è gradita; potremmo, inversamente, anche dire che Dio è "innamorato" di Maria. Ma se Dio si innamora di una creatura, vuol dire che egli crea o riconosce in essa i motivi del suo innamoramento.

"Hai trovato grazia presso Dio"

E l'innamoramento di Dio verso Maria non sta nascendo adesso: il participio verbale, a cui abbiamo fatto cenno sopra, è al perfetto, che in greco esprime una situazione già preesistente e che continua a permanere. Perciò la traduzione più esatta di quel densissimo kecharitoméne, che il latino ha tradotto "gratia plena", sarebbe: "O tu che sei stata colmata, e rimani colma, del favore divino", della sua benevolenza. È un riconoscere, almeno implicitamente, che Dio "da sempre" ha pensato a Maria e l'ha preparata ad essere la madre del suo Figlio.

Proprio perché entrava in questo progetto, che è essenzialmente progetto di santità e di grazia, la benevolenza di Dio verso di lei ha raggiunto il suo vertice: non soltanto l'ha liberata dal peccato, come fa con noi tutti nel battesimo, ma l'ha "preservata" dal cadervi.
Per tutto questo non possiamo non gioire anche noi con Maria e pregarla di concederci almeno un raggio della sua "santità" veramente eccezionale.

"O donna piena e sovrabbondante di grazia, ogni creatura rinverdisce, circondata dal traboccare della tua pienezza. O Vergine benedetta e più che benedetta, per la cui benedizione ogni creatura è benedetta dal suo Creatore, e il Creatore è benedetto da ogni creatura".

   CIPRIANI SETTIMO

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