CIPRIANI SETTIMO SDB""Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni"

14 dicembre 2014| 3a Domenica Avvento Anno B | Appunti per la Lectio
La nota dominante della Liturgia di questa 3ª Domenica di Avvento è senz'altro quella della "gioia". Anche se non esplicita, la ritroviamo perfino in quelle così secche risposte del Battista agli inviati dei "Giudei", in cui egli volutamente allontana da sé la loro attenzione per concentrarla soltanto in colui che "viene dopo" e che già sta "in mezzo" a loro senza che essi "lo conoscano" (Gv 1,26-27).

Questa è precisamente la sua missione: in questo "si compie la sua gioia", nel fatto cioè che ci si interessi a Cristo, anche se lui personalmente dovrà "diminuire" e scomparire dalla scena.
"Siate sempre lieti"
"Rallegratevi nel Signore sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi... Il Signore è vicino" (Fil 4,4-5), cantiamo gioiosamente nell'antifona iniziale. Il tema ritorna nella prima lettura: "Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza" (Is 61,10). Il salmo responsoriale ci fa pregare con le parole stesse di Maria nel Magnificat, ispirate certamente anche dal brano di Isaia appena citato: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore" (Lc 1,46-47).

Anche nella seconda lettura c'è un altro invito di Paolo alla gioia: "Siate sempre lieti" (1 Ts 5,16).
La colletta poi riassume tutti questi sentimenti di giubilo collegandoli alla loro motivazione diretta e immediata, che è la celebrazione delle imminenti festività natalizie: "Guarda, o Padre, il tuo popolo che attende con fede il Natale del Signore, e fa' che giunga a celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza".

In tutti i testi sopra citati è anche espresso il motivo della "gioia", che è collegato al fatto della "salvezza": "Mi ha rivestito delle vesti di salvezza", ci ricordava Isaia; "Il Signore è vicino", rimarcava san Paolo; e Maria giustifica la sua gioia perché Dio "ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1,48), concedendole il privilegio incredibile di diventare la madre del "Salvatore".
Una dimensione essenziale, quella della "gioia", al nostro credere e al nostro vivere cristiano, che dovremmo saper testimoniare di fronte al mondo, affogato nella "tristezza" e addirittura nella "nausea", in forma più convincente. In realtà, non sempre noi cristiani sappiamo mostrare agli altri una faccia da "salvati" o da "redenti", come si esprimeva causticamente F. Nietzsche, per invogliarli ad essere, anche loro, dei "salvati" dall'amore di Cristo.
Ci voleva un uomo "gioioso" come san Francesco per riscoprire tutta la poesia del Natale e per inventare, per la felicità nostra e dei nostri figli, il presepe!

Giovanni "venne come testimone per rendere testimonianza alla luce"

Forse però il sorriso non c'era sulle labbra riarse di Giovanni il Battista, quel giorno in cui "i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti" (Gv 1,19) per inquisire su di lui e sulla sua attività; ma doveva esserci tanta gioia egualmente nel suo cuore nell'annunciare Cristo e nel rendergli testimonianza. Più tardi si paragonerà lui stesso addirittura all'"amico dello sposo", che "esulta di gioia" nell'ascoltare "la voce dello sposo" (Gv 3,29).
Il brano del Vangelo odierno è tutto centrato sulla figura del Battista. Ed è giusto: lui, che ha "rivelato" Gesù a Israele, può e deve "rivelarlo" anche a noi in questo Natale che ormai già sta bussando alle porte.

Perché di autentica "rivelazione" si tratta, cioè di capacità di intuire e penetrare il "senso" delle cose e del mistero. Altrimenti, può capitare anche a noi quello di cui il Battista rimproverava ai Giudei che erano andati ad interrogarlo: "...in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete" (Gv 1,26). Potremo forse anche cantare le canzoni di Natale e visitare il presepe; ma, se non avremo una fede fresca e luminosa, anche noi non riusciremo a vedere Gesù, che pur "ritorna" e sta "in mezzo a noi".
Isolando dal "prologo" del quarto Vangelo tre versetti relativi al Battista (Gv 1,6-8) e cucendoli con la successiva "testimonianza" che egli darà al Cristo quale suo precursore, la Liturgia ne fa emergere tutta la grandezza e anche la missione nella storia della salvezza: la sua "testimonianza" continua tuttora nella fede della Chiesa e nell'annuncio liturgico.

"Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce" (Gv 1,6-8).
Due idee fondamentali mi sembrano affermate in questi versetti. La prima è che Giovanni è un "mandato da Dio" (v. 6): la sua missione perciò è una missione "profetica", che si riallaccia al profetismo classico, ormai morto da tempo, e fa rifiorire le speranze dei tempi messianici. La seconda idea, poi, è relativa alla "natura" della sua missione: egli ha il compito di "rendere testimonianza alla luce", pur non essendo lui "la luce" (vv. 7-8), cioè il Messia, come forse lo ritenevano alcuni suoi fanatici discepoli.

Quello della "testimonianza" è un concetto molto importante nel quarto Vangelo: essa ha sempre come oggetto la persona di Gesù, il suo significato profondo, perciò è essenzialmente "cristologico"; rimanda alla storia, perché presuppone una conoscenza ed un'esperienza diretta, un aver "visto" con i propri occhi e "toccato" con le proprie mani: Cristo non lo si conosce mai se non lo si afferra dal di dentro, nella totalità e densità del suo mistero! Infine, la "testimonianza" presuppone sempre un contesto conflittuale, di opposizione, di giudizio. Si tratta, in un modo o in un altro, di un processo: fra verità e menzogna, fra luce e tenebre, fede e incredulità.

Proprio questo aspetto di "processo" è evidente nell'ambasceria ufficiale mandata da Gerusalemme per inquisire sull'operato e sulla figura di Giovanni: essi non vengono con l'animo ben disposto, pronti a lasciarsi illuminare dal Battista. Infatti il testo dice che furono i "Giudei" a inviare "sacerdoti e leviti per interrogarlo" (v. 19). Ora è risaputo che nel quarto Vangelo il termine "Giudei" (al plurale) è quasi tecnico per esprimere le autorità religiose giudaiche in quanto ostili a Gesù.

E anche tutto l'interrogatorio ha più l'aria di una discettazione inquisitoriale che non di una umile ricerca della verità: "Chi sei tu?... Sei Elia?... Sei tu il profeta?... Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?" (vv. 19.21.22). Si interroga per riferire, per far prendere delle decisioni alle autorità centrali, non per "decidersi" personalmente davanti alla verità. Proprio per questo la "verità" che già sta "in mezzo" a loro, cioè Gesù, essi non la "conoscono" (v. 26), anzi non la conosceranno mai.

"Io sono voce di uno che grida nel deserto"

Totalmente diverso è l'atteggiamento di Giovanni Battista. Egli poteva essere anche adulato per il fatto che si pensassero cose tanto alte di lui; ma sarebbe venuto meno alla sua funzione di "testimone della luce", qualora non avesse aiutato i suoi interroganti, anche se mal disposti, a cercarla.

Prima e più che un atteggiamento di umiltà, il suo è un atteggiamento di sincerità e di rispetto della "verità". Egli davvero non era "il Cristo", come si poteva sospettare da alcuni, dato il suo insegnamento e il movimento di opinione che si era creato attorno a lui; non era neppure Elia, che pur richiamava con il suo modo di vestire e con lo stile di vita e che secondo un testo di Malachia (3,1-3.23-25) avrebbe dovuto preparare il "giorno del Signore"; non era neppure "il profeta", che avrebbe dovuto succedere a Mosè, rinnovando e superando i prodigi dell'Esodo.

Nello stesso tempo, però, c'era in lui anche qualcosa di Elia e del "profeta": Cristo stesso ha presentato più di una volta Giovanni come il novello Elia, mandato a "preparare le strade". Questo, però, non era il momento di parlare di sé: egli doveva soltanto "rendere testimonianza alla luce" che era Cristo (vv. 7.8).

Per quanto lo riguardava personalmente, dice soltanto quello che era necessario per far capire il suo rapporto con Gesù: "Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia" (v. 23). È interessante notare che nessuno dei Sinottici mette queste parole in bocca al Battista: essi le riportano solo per dire che in lui si è verificata la profezia di Isaia (40,3). È chiaro che qui è più la teologia che la storia che interessa all'evangelista: egli ci presenta Giovanni come già lo interpretava la tradizione cristiana, più che come si potesse interpretare da se stesso.

"Io battezzo con acqua..."

E anche l'ultima affermazione di Giovanni, in risposta alla domanda perché battezzasse se non era "né il Cristo, né Elia, né il profeta" (v. 25), si muove su questa linea: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei sandali" (vv. 26-27). Dichiarando la sua "indegnità" a fare perfino il "servo" al Cristo già presente "in mezzo" a loro, ma che i "Giudei" purtroppo mai "conosceranno" con gli occhi della fede, vuole affermare la grandezza di colui che egli annuncia e vuol far nascere nel cuore dei suoi ascoltatori come un desiderio, un anelito verso di lui. Di nuovo, un gesto di umiltà che non è fine a se stesso, ma vuol fare spazio a Cristo.
È solo con questi atteggiamenti di sincerità, di lealtà e di umiltà che anche noi potremo andare incontro al Signore che ritorna in mezzo a noi nel mistero del Natale. San Giovanni Battista è il grande "pedagogista" dell'Avvento cristiano.

"Lo spirito del Signore è su di me"

Ma anche la prima lettura è piena di insegnamenti per una degna preparazione al Natale.
Al di là di quel meraviglioso invito alla "gioia", evocata con l'immagine delle "nozze" (Is 61,10) e a cui abbiamo già fatto riferimento, è importante la parte iniziale del brano, in cui Isaia preannuncia la venuta e la missione di un misterioso personaggio, che si rivolgerà soprattutto ai poveri, ai deboli, agli oppressi: "Lo spirito del Signore Dio è su di me, / perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; / mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, / a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, / a proclamare la libertà degli schiavi, / la scarcerazione dei prigionieri, / a promulgare l'anno di misericordia del Signore" (Is 61,1-2).

Secondo il Vangelo di Luca, Gesù iniziò la sua vita pubblica proprio leggendo, nella sinagoga di Nazaret, ed applicando a sé questo meraviglioso testo di Isaia: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" (Lc 4,21). Con questo voleva dire che la profezia si era compiuta in lui: lui era il misterioso personaggio, di cui aveva parlato Isaia. Però i suoi concittadini non erano disposti ad accettarlo in quella nuova veste con cui si presentava a loro, e tentarono addirittura di assassinarlo.

Cristo non ha mai avuto "facile" accoglienza fra gli uomini: la gente è prevenuta nei suoi riguardi e si inganna nel decifrarne la fisionomia più vera ed autentica, come i suoi concittadini di Nazaret e come gli inquisitori mandati da Gerusalemme presso Giovanni. C'è chi vuole un Cristo potente e operatore di prodigi; c'è chi vuole un Cristo col berretto frigio e che canti "l'Internazionale" per incitare alla rivoluzione; c'è chi vuole un Cristo tutto buono e pacifico, che rimanga solo nella penombra delle sue chiese e lasci il mondo e le piazze ai demagoghi e agli agitatori politici. E così via. La storia delle "deformazioni" di Gesù di Nazaret non è ancora finita!

Invece Gesù è soltanto quello che lui ha detto veramente di essere: cioè "l'Unto" del Signore ("mi ha consacrato con l'unzione"), che Iddio ha "mandato" a salvare tutti, e specialmente i più "poveri" a cui nessuno pensa, a "liberare" gli schiavi e i prigionieri, dovunque si trovino, all'Est e all'Ovest della nostra terra, a guarire i "cuori spezzati". E Dio solo sa quanti "cuori spezzati" ci sono nel mondo, fra i piccoli e fra i grandi, fra gli innocenti e gli assassini, fra quelli che mancano di tutto e quelli che sono soffocati dall'abbondanza di ogni bene!

Gesù è venuto, e ritornerà per il Natale, per celebrare con noi e in noi questa "liberazione" degli spiriti e dei corpi, di cui tutti gli uomini, senza nessuna eccezione, hanno bisogno. La "rivoluzione" cristiana, annunciata dal Natale, è l'unica rivoluzione che non è rivolta contro nessuno, perché deve farsi "nel" cuore di tutti!

  CIPRIANI SETTIMO

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