don Marco Pedron "Chi sei e chi non sei"

III Domenica di Avvento (Anno B) - Gaudete 
Vangelo: Gv 1,6-8.19-28 
E’ la terza domenica di avvento. Il vangelo di oggi ci presenta la figura del Battista. Il Battista nel vangelo di Gv non viene presentato come negli altri vangeli come l’asceta o il profeta duro che annuncia la distruzione se gli uomini non si convertono. Viene dipinto come il testimone. Il
Battista in Gv è semplicemente un’indicazione, uno strumento che dice: “Non guardate me, guardate più in là, guardate oltre me, guardate ciò che sta dentro me”.
Qui Gv Bt non spiega, non dice chi verrà o come verrà. Dice solo: “Preparate la via... verrà uno che non conoscete...e io di fronte a lui sono niente”.
Questa è l’essenza dell’avvento. Gv Bt sente che qualcosa deve avvenire, attende, aspetta. Sente che sta arrivando qualcosa, ma non sa cosa.
Attendere vuol dire aspettarsi qualcosa di nuovo, di diverso, di non solito. Ma devi rimanere sorpreso perché se conosci già tutto, se tutto è già scritto, che Natale è? Che avvento è? Prepararsi vuol dire: “Acconsenti che ti succeda qualcosa di cui non puoi disporre, che non puoi controllare, che non puoi gestire. Permetti che la vita ti faccia delle sorprese”.
Noi tendiamo a controllare tutto. Noi pianifichiamo tutto. Noi gestiamo tutto o per lo meno ci proviamo. Ma Dio è l’in-gestibile perché Dio è il sempre nuovo, perché Dio è più grande, oltre, più in là. Se Dio non ti sorprende, non è Dio. Se Dio non ti spiazza, non è Dio. Se Dio non ti schiaffeggia rendendoti sveglio e conto di certe cose, non è Dio.
Dio è molto di più negli imprevisti che in tutto ciò che pre-vedo.
C’è una persona in parrocchia con la quale spesso si entra in conflitto. Ogni volta che accade questo quest’uomo, che non vuole mai saperne di aver torto o di ascoltare gli altri, attacca tutti e si defila per un periodo. Dopo un nuovo scontro mi dico: “O.k. per qualche mese non lo vediamo più”. E, invece, no! Imprevisto. E’ venuto a chieder scusa. Lì Dio mi ha parlato. La realtà è più grande dei miei schemi e dei miei modelli.
Era sempre stato un benpensante, esponente della maggioranza silenziosa, duro con moglie e figli, membro di una lega razzista perché è meglio che “i negri stiano a casa loro”, Ma, come succede a tutti, morì. Arrivò baldanzoso alla porta del Paradiso e bussò. Un angelo lo accolse cortesemente e lo fece entrare in sala d’aspetto. Batté sulla tastiera del computer il nome del nuovo arrivato lesse sullo schermo il risultato e disse: “Mi dispiace, ma lei deve farsi un bel po’ di purgatorio!”. “Non è possibile”, disse l’uomo. “Sono sempre stato esemplare”. “Non posso farci niente!”, ribatté l’angelo. “Voglio parlare direttamente con Lui” esclamò rivolgendosi verso la porta che stava alle spalle dell’angelo. “Lo può anche fare” disse l’angelo, “sarà una bella sorpresa”. “Perché?”, chiese l’uomo. “Perché Lei è negra”, sorrise l’angelo.
Lasciate che la vita vi sorprenda! Permettete alla vita di manifestare tutta la sua ricchezza. Ricordatevi che la vita lavora sempre con voi e mai contro di voi. Se la ostacolate, ostacolate voi.
Nel vangelo c’è una grande domanda: che fanno a Giovanni Battista: “Chi sei tu?”. “Chi sono io?”. “Sono un uomo”. Sì, è vero, buono, ok. Ma è troppo poco. Ci sono miliardi di uomini. “Sono un papà”. Sì, buono, ma ci sono milioni di papà. “Sono un marito... un bravo cristiano... un lavoratore... un dipendente... ingegnere... artigiano... commerciante”. Sì tutto vero, ma è troppo poco. Questo è il ruolo che tu sei, è il vestito che indossi, ma dentro chi sei?
Il ruolo è un vestito. Con il pigiama si va a letto, ed è buono. Ma non si va a scuola, al lavoro, al cinema, a mangiare la pizza, a teatro, alla festa di laurea. Il pigiama è un vestito buono per quando si va a letto, poi va cambiato. Il ruolo è così: mi permette di vivere una parte, ma solo una parte della vita.
Molte persone si sono vestite di un ruolo e adesso vivono sempre e solo quello. Fare sempre il solito ruolo ci rassicura: lo conosciamo, ci viene bene, è facile, lo conosciamo, ma ci limita. Il prete fa sempre il prete dappertutto. La donna è sempre madre con tutti; il padre è sempre il capofamiglia lavoratore. Oppure c’è il simpaticone: essere simpatici va bene, ma non si può scherzare sempre. L’altruista: essere generosi va bene, ma non sempre perché a volte bisogna ricaricarsi, ricevere. Il critico: essere critici va bene, ma non si può aver da dire su tutto. Il capo di un’azienda fa il capo dappertutto: a casa, con gli amici, con la moglie: allora diventa autoritario. Il professore fa il professore, il saputello dappertutto: allora diventa superiore agli altri, pesante. E poi c’è chi fa il perfetto, quello che non sbaglia mai; il timido; quello che ha tutto in pugno, ecc. Se lo viviamo così il ruolo ci ingabbia, ne diventiamo schiavi e, invece di aiutarci a vivere, ci imprigiona. Purtroppo in molte persone si è smarrita la persona ed è rimasto solo il ruolo. Se togliessimo il vestito, il ruolo, sotto il vestito non vi troveremmo niente.
Ma la grande domanda rimane: “Al di là di tutti i ruoli e i vestiti, chi sono io?”. Chi sono io dentro, in profondità, nel mio animo? Questa è la grande domanda. Cos’è, cioè, che mi fa unico, irripetibile, diverso, da tutti gli altri? Cos’è che mi fa diverso da tutti? Cos’è che mi rende insostituibile, unico? Perché se non lo trovo vuol dire che io o un altro è la stessa cosa; vuol dire che non sono importante, tanto ce ne sono degli altri; vuol dire che sono uno sbaglio, un doppione, una fotocopia: come se la vita facesse fotocopie! Se sei uguale agli altri allora la tua vita non senso.
Quando ci dicono: “Sei proprio strano, sei diverso da tutti; sei proprio fuori dagli schemi”, noi ci offendiamo, lo sentiamo come un insulto. E invece dovremmo rallegrarci: per fortuna!
Mia madre mi dice spesso: “Tu caro, proprio non ci assomigli affatto. Ma chi ti ha fatto?”. Ma è bellissimo: sono un pezzo unico, irripetibile, nuovo. “Ti assomiglio proprio cara mamma: tu non assomigli alla nonna e neanche al nonno e io non assomigli né a te né al papà. Come vedi siamo uguali”.
C’era un maestro che spiegava agli alunni le invenzioni moderne. “Chi di voi è in grado di nominare qualcosa che non esisteva fino a cinquant’anni fa?”, chiese ad un certo punto. Un bambino vivace seduto in prima fila alzò subito la mano. “Sì, dimmi”, disse il maestro. “Io, signor maestro”.
Giovanni Battista inizia a dire cosa innanzitutto non è.
“Non sono Elia, né Cristo, né un profeta”. E’ importante rifiutare tutti i ruoli che gli altri ci appiccicano addosso, tutte le etichette che ci mettono; è importante dire agli altri: “No, non sono come voi”.
C’è chi addirittura va orgoglioso di essere come suo padre o sua madre. C’è chi addirittura spende tutta la sua vita per ricalcare le orme paterne o familiari. “Ma l’hanno già fatto! Se lo fai anche tu a che servi?”.
La prima verità della vita è disidentificarsi: “Io sono io, non sono te e nessun altro”. Io ho il mio nome. “Non soddisfo le vostre aspettative?”. “Pazienza!”. E’ l’inizio della libertà. “No, non sono come voi volete. Non rientro nei vostri schemi”.
“Mio figlio – dice una madre – è un figlio modello. Non mi fa mai arrabbiare perché sa che gli toglierei il saluto. Fa sempre quello che gli dico io perché sa che altrimenti mi farebbe soffrire. Si comporta bene e non mi delude mai con gli altri. Una volta, da piccolo lo ha fatto (a 4-5 anni), e io per un mese non lo ho più guardato. Ha imparato e adesso tutto fila via liscio”. Terribile! Questo figlio sarà un figlio bravo, obbediente, irreprensibile, ma non sarà mai se stesso. Sarà per sempre (la vita dà sempre per fortuna tante altre possibilità!) “il figlio di” ma non sarà mai se stesso. Questi genitori hanno messo come condizione del loro amore nei suoi confronti tutta una serie di cose che il figlio dev’essere. E’ chiaro che il bambino non ha scelta: o sviluppa se stesso e perde l’amore; oppure si tiene l’amore ma rinuncia a sé. E non c‘è scampo perché l’amore è necessario da piccoli per vivere. Crescerà e sarà sottomesso per paura di perdere l’amore (l’approvazione, la stima, il riconoscimento “dei suoi”) ma lo pagherà caro per tutta la vita perché crederà che amore e affetto debbano essere comprati. E, soprattutto, non svilupperà mai sé ma si adatterà ad essere ciò che gli altri vogliono (la moda, il giudizio degli altri, l’autorità, “altri genitori”, ecc).
Il primo passaggio della vita liberarsi da ciò che non si è. “No, io non sono questo. Questo siete voi, non io”. La prima grande scelta, come il Battista, è non voler essere come gli altri: “No, io non sono questo!”. “Io sono io; io sono diverso; io sono Giovanni il Battista, non sono Elia, né il Cristo né un Profeta”.
L’adolescienza è un’età vitale dal punto di vista dell’anima. Tutti questi ragazzi che si ribellano per cercare se stessi, la propria strada, il proprio volto, chi sono! Meraviglioso! Il dramma è che poi spesso vanno a prendersi altre maschere. Quello di cui si liberano e contro cui lottano (i modelli che non vogliono ripetere) poi se lo rivanno a riprendere. I nostri adulti-giovani, infatti, sono quasi tutti con-formisti, alla moda, non vogliono essere diversi: vogliono essere come quell’attore, quella persona ricca, quella persona che ha soldi, quella persona che si può permettere un sacco di cose, quello che è bello o quello che è ricco. Insomma vogliono essere di tutto fuorché se stessi. Ma quando tu hai perso te stesso, in realtà, hai perso tutto. Perché tu sei l’unica cosa che hai a questo mondo. Nella Medea, tragedia greca, dopo che Medea ha perso tutto l’oracolo le chiede: “Medea, che resta? Tutto è distrutto, tutto è finito?”. E Medea: “Come sarebbe a dire cosa resta? Resto io!”.
Riconoscere ciò che non siamo, anche se gli altri lo vorrebbero, toglierci le maschere, le definizioni, le aspettative che altri ci hanno messo addosso, tutto questo è molto doloroso. Ma se iniziamo a toglierci ciò che non è nostro piano piano emergerà chi siamo. E ne varrà la pena!
Poi Giovanni Battista dice chi è: “Io sono voce di uno che grida: Preparate la strada”. Lui è un profeta (ruolo) ma Giovanni ha trovato chi è (missione): “Lui è voce”. Il ruolo di Madre Teresa era essere suora; la sua missione “essere matita nella mani di Dio”. Etty Hillesum era un’ebrea, deportata (ruolo); ma la sua missione era di essere un “balsamo per molte ferite”. Teresa di Gesù era suora (ruolo), ma la sua missione era quella di essere, nella chiesa, l’amore. Francesco era un laico, monaco (ruolo), ma la sua missione era quella di essere “il pazzo di Dio”. Don Cristiano Bortoli, un prete, (ruolo) si definisce “terapeuta dell’anima”. Ecco la sua missione.
Giovanni Battista ha trovato il motivo per cui vivere, per cui è stato creato, ciò che dà senso alla sua vita. Gv Bt ha trovato il motivo, il senso della sua vita. Lui deve dire a tutti: “State attenti, preparate la via al Signore, non dormite, non sonnecchiate, il Signore vi passa vicino, non lasciatevelo scappare. Dio c’è, ma se avete gli occhi chiusi non lo vedrete”.
Giovanni Battista è voce, altoparlante, di qualcun altro. Gv Bt è voce, cioè, strumento, mezzo, veicolo. Questo è il primo compito di ogni uomo: dar voce all’infinito, al Dio, all’oltre, alla forza che lo abita, ma che non gli appartiene. “Dai voce a ciò che hai dentro!”. “Certo, se non ti ascolti mai, è difficile!”.
Lui dà, presta la voce, ma le parole sono di un altro. Gv Bt testimonia la luce, illumina, ma non è la Luce. E’ come la luna che riflette, ma non è da lei che viene la luce; la luce viene dal sole.
L’uomo è chiamato a testimoniare l’invisibile, il di più che si porta dentro. Questo è il primo servizio che dobbiamo a Dio. Essere strumenti vuol dire proprio questo: permettere che Dio scelga, utilizzi me, come una chitarra, come un pianoforte, come un violino, per suonare la sua musica, la sua sinfonia. Non sono io che suono. E’ Lui che suona in me. Non sono io la musica, non mi appartiene. Io sono lo strumento. Noi siamo l’onda, Lui è l’acqua. Noi siamo i raggi, Lui è il sole.
Questa è la grande chiamata di ciascuno di noi. Noi viviamo, ma la vita non è nostra. Noi siamo padri, madri, ma la paternità o la maternità non è nostra. Non la possediamo. Noi siamo veri, ma la verità non viene da noi. Noi diventiamo liberi, ma non siamo la libertà. Noi danziamo, ma non siamo la danza. Noi facciamo esperienza di Dio, lo sentiamo, ma non siamo Dio. Noi abbiamo un’anima, ma non siamo l’Anima. Noi viviamo il verbo, ma non siamo il soggetto. Il soggetto è Dio.
Il grande male dell’uomo è sentirsi proprietario delle cose e delle persone. Le sente sue, ma non lo sono. Noi siamo amministratori, voce, non possessori.
Poi il compito di Giovanni Battista è di rendere testimonianza a Colui che deve venire. Il suo compito è dire: “Lui è qui. Aprite gli occhi”. Ma non fu ascoltato!
Il giorno dopo Giovanni lo indica (nei dipinti viene disegnato con l’indice rivolto a Gesù: “Non guardate me è Lui che dovete guardare, seguire, conoscere”), fa vedere chi è Colui che deve venire: ma non fu creduto.
Nel vangelo c’è una frase forte: “In mezzo a voi sta uno che non conoscete”. Quella frase vuol dire: “In mezzo a voi sta uno che voi proprio non volete conoscere”.
In genere conoscere, in greco, viene espresso con il verbo gignosko. Qui, invece c’è un altro verbo: oida. Oida indica il sapere esattamente una cosa, la certezza inconfutabile, senza dubbi, evidente. Gesù userà questo verbo con i discepoli da Lui scelti: “Conosco quelli che ho scelti”. E’ il sapere certo dei demoni che dicono: “Io so chi tu sei. Il Santo di Dio”.
Che si usi questo verbo vuol dire allora che i Giudei e farisei hanno scelto deliberatamente, coscientemente, con un atto libero, di non conoscere Gesù, Colui che viene. E’ chiaro, allora che qualunque cosa Lui farà o dirà – e la storia lo confermerà –non potrà in nessun modo cambiare la loro decisione. Chi non vuol credere non crederà.
Giovanni Battista urla, scuote, grida, strattona: ma non serve. Se tu hai deciso dentro di te che non ti interessa, niente ti può convertire. Se tu hai deciso dentro di te che Natale è il 25 dicembre, il pranzo e la messa (una volta all’anno ci può stare!), niente può cambiare. Se tu hai deciso che Dio è un corollario della tua vita, un apparato periferico, nessuna predicazione ti può scalfire. Se tu hai deciso che non vuoi metterti in gioco, la vita non avrà più niente da insegnarti.
C’è ancora chi rimane stupito delle chiese piene la notte o il giorno di Natale. Non facciamo illusioni: molte persone ci saranno ma dentro di loro, nel segreto del loro cuore diranno: “Non ci interessi”; “Non sappiamo che farcene di te”; “A che ci servi?”. E’ il peccato che il vangelo chiama contro lo Spirito Santo, l’unico imperdonabile. Se non vuoi credere, convertirti, cambiare, neppure se scendesse Dio (è già venuto!) lo faresti. Neppure se vedessi Dio faccia a faccia, di persona, neppure se Lui facesse chissà quale miracolo crederesti. Chi ha deciso di non credere, di non conoscerlo, non crederà e non lo conoscerà. Non c’è niente da fare.
Una vecchia ebrea è seduta accanto ad uno svedese, grande e grosso, e continua fissarlo. Alla fine gli rivolge la domanda: “Mi scusi, lei è ebreo?”. “No”, risponde lui. Pochi minuti dopo la donna lo interpella di nuovo: “A me può dirlo, sa. Lei è ebreo, vero?”. “E quello risponde: “Assolutamente no”. Lei lo studia per un po’ e ripete: “Sono sicura che lei è ebreo”. Pur di stare in pace, l’uomo dichiara: “E va bene, sono ebreo!”. La vecchietta lo guarda di nuovo, scuote la testa e gli dice: “Non si direbbe proprio”. Chi non vuol credere, non crederà!
Una donna chiede al cassiere di una banca di cambiarle un assegno. Il cassiere le chiede un documento d’identità, secondo il regolamento della banca. La signora se ne sta in silenzio. Il cassiere le dice: “Senza documento di riconoscimento, signora, niente assegno”. La donna è senza fiato, né parole. Alla fine riesce a pronunciare queste parole: “Ma, Giorgio, sono tua madre”. Vi fa ridere? E’ solo una barzelletta? E’ buffo? E come mai quando Dio quando è venuto non lo hanno riconosciuto? E quest’anno, noi lo riconosceremo? Gli crederemo?
Pensiero della settimana
Chi sono? E se non so chi sono, chi è che vive?
“Talvolta”, dice Neruda, “ho vissuto altre vite ma non la mia”.
Peccato: avere una vita e volerne un’altra.

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