JUAN JOSE BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA: Gv 1,1-18
25 dicembre 2014 | Natale di Gesù - Anno B | Omelia
L'inno che apre il quarto vangelo, è una magnifica meditazione credente sull'incarnazione. Non smette di richiamare l'attenzione che esercita la contemplazione del mistero nei primi credenti poeti: l'inno descrive in modo sommario le tappe della 'biografia' della Parola di Dio: prima della creazione, durante, e con lei in Dio. In Gesù di Nazareth Dio si
trasformò in pezzo di storia ed in vita dell'uomo; la sua Parola fatta carne, rese possibile la contemplazione della gloria di Dio. Niente è alieno ad un Dio che è rimasto a portata del credente; accampato nel suo mondo, niente di lui gli sarà estraneo; ma l'unica contemplazione possibile di Dio è quella che si ottiene mediante l'ascolto della sua Parola: questa è la strada per diventare amico del Dio che si è accampato tra noi. L'accettazione della sua Parola è il cammino verso la filiazione divina.
1 In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
2 Egli era in principio presso Dio.
3 Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di ciò che esiste.
4 In Lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
5 La luce brillò nella tenebra, ma le tenebre non l'anno accolta.
[6Venne un uomo mandato da Dio il suo nome era Giovanni: 7egli veniva come testimone, per dare testimonianza alla luce, affinché per mezzo di lui tutti venissero alla fede. 8Egli non era la luce, bensì testimone della luce].
9 Veniva nel mondo la luce vera che illumina ogni uomo.
10 Era nel mondo, il mondo è stato fatto per mezzo di Lui, ed il mondo non lo riconobbe.
11 Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
12 A quanti però lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome.
13 I quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
14 E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria: gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
[15 Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
"Era di lui che io dissi: "Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché esisteva prima di me."]
16 Dalla sua pienezza tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia.
17 Perché la legge fu data per mezza di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezze di Gesù Cristo.
18 Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
I. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice
Invece di 'narrare' quello che è successo, oggi il vangelo 'contempla' il mistero: più che parlare di lui, si addentra in lui. L'incarnazione di Dio non è ricordata come qualcosa passata o vista dal di fuori, è celebrata nell'attualità ed accettata nella fede: con l'inno il credente si esprime in profondità perché gli nasce dal sentirlo e dal con-sentirlo, cioè, dall'adorarlo con la mente e dal riceverlo nel cuore. Giovanni introducendo con questo inno il suo vangelo, autentica 'biografia' della Parola incarnata, segnala quale deve essere l'atteggiamento fondamentale dei suoi lettori: l'ammirazione di un mistero incomprensibile che è compreso da chi, grato, lo contempla.
Per renderlo meglio nella narrazione, Giovanni ha modificato il poema originale con qualche aggiunta propria, il più ovvio, per il suo tono prosaico, si incentra nella figura del Battista (1,6-8.15), il quale è subordinato alla Parola, come suo testimone; meno evidente, l'aggiunta (1,12c-13) serve per spiegare come arrivano gli uomini ad essere figli di Dio (1,12b), e (1,17-18) che commenta la sovrabbondanza della grazia (1,16).
L'inno si apre nel principio assoluto, in una soglia, senza tempo né distanze, riservato a Dio in esclusiva (1,1-3): prima di tutto esisteva già la Parola; dopo, tutto esiste per la Parola. Dopo aver messo in Dio, prima della creazione, l'inizio della storia di Gesù, il cantico passa a contemplare la relazione della Parola col mondo degli uomini, l'appezzamento più importante della creazione, il posto e il motivo della sua incarnazione (1,4-5). Un primo inciso (1,6-8) colloca l'opera rivelatore della Parola in un preciso contesto storico: scartata come luce, ci fu chi diede testimonianza a beneficio della Parola, Giovanni Battista. Il cantico riprende il tema dell'incarnazione e menziona la 'accoglienza' della Parola incarnata da parte degli uomini (1,9-13). In 1,14 il cantico raggiunge il suo zenit: la divina Parola fatta carne, che è in Dio, si accampò tra gli uomini cosicché poterono 'vedere' la sua gloria, l'essere figlio del Padre. A suo favore si trova l'espressa attestazione del Battista, il portavoce (1,15), ed una professione di fede della comunità (1,16-18) che afferma la storicità della manifestazione di Dio nella Parola incarnata e la sua esclusività salvifica. Il riassunto non può essere né più denso né meno completo. Ci sono verità che si confessano meglio pregando che speculando.
II. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA
Oggi i credenti dobbiamo recuperare le ragioni per celebrare l'incarnazione di Dio. Non bisogna sforzarsi molto per accorgersi che non tutti oggi sanno, - lo sappiamo noi, cristiani? - molto bene il perché festeggiare la nascita di Gesù: dopo tutto, è qualcosa che succedette già più di due mila anni fa. Se queste celebrazioni natalizie non riescono a darci una ragione in più per essere migliori, un motivo migliore per farci persone migliori, i cristiani non abbiamo celebrato, né capito almeno, la natività. Se il ricordare, con stupore, che il nostro Dio si fece uno di noi, non ci illumina e non ci stimola ad essere più simili a Lui, la nostra festa ed i buoni momenti sperimentati in lei sono risultati inutili: abbiamo celebrato la nascita di Gesù come pagani, come tanti dei nostri contemporanei che ignorano o hanno dimenticato il motivo della loro gioia.
In questi giorni, è vero, alla fine di un anno che non ha colmato sicuramente le nostre migliori aspettative, ci è più facile riempirci di buone intenzioni, sentirci più umani, più affettuosi in famiglia e meno esigenti con gli altri. Tutti rimpiangiamo di non arrivare ad essere migliori di quanto vogliamo. Ma non è meno vero che, sfortunatamente, molto di quanto vediamo intorno a noi, nella famiglia, nella società, e nel nostro cuore, non ci dà troppi motivi per aspettare questo miglioramento.
Perché bene, celebrare il Natale deve farci capire che non abbiamo diritto a perdere la fiducia in una famiglia migliore, in una migliore società, in noi stessi e nel nostro possibile miglioramento: se Dio ebbe tanta fiducia in noi da farsi bambino, cittadino, uomo di questo mondo, uno come noi, come potremo noi sottovalutare, o condannare, il modo che Dio scelse per venire al nostro incontro? Se fummo noi che gli demmo il motivo per farsi simile all'umanità, perché diffidare di noi stessi? Qui può essere una buona ragione per sforzarsi di essere più umani, a somiglianza di Dio. Il Dio che si incarnò ci restituisce la fiducia nell'uomo, la fiducia nel mondo, la fiducia in noi stessi, non perché siamo già buoni, bensì perché Dio si è fatto uomo in questo mondo per fare possibile la bontà e la felicità agli uomini di questo mondo.
Non abbiamo, in effetti, nessun motivo per annullare la decisione di Dio: disperando degli uomini, rinunciando al mondo o a noi stessi, disperiamo di Dio e rinunciamo a riconoscerlo. Se farsi uomo non gli ostacolò l'avvicinarsi all'uomo, non può essere una scusa, molto meno un impedimento, per non trovarsi con Lui. Se vivere in questo mondo fu il modo scelto da Dio per vivere tra noi, questo mondo, tale quale è, non deve toglierci l'allegria di stare con Dio ed essere in lui. Se il cuore umano non fu ostacolo al Dio che si fece uomo, non può esserlo neanche per nessuno dei suoi credenti. Questa sì che è una buona ragione per lo stupore, la contemplazione e la festa: Dio si è fatto tanto vicino che tutto quello che sia proprio del mondo e dell'uomo è un vero accesso a Lui. Non bisogna lasciare di esseri umani per impadronirsi di Dio, per vivere come Dio. Lì si che abbiamo una buona ragione per l'allegria e la speranza.
Contemplare oggi l'incarnazione di Dio ci da, inoltre, un altro motivo di speranza: che Dio si sia fatto uomo, uomo come noi, deve farci capire - capire col cuore, comprendere queste ragioni che solo il cuore raggiunge - che essere uomo è qualcosa di divino, che difendere l'uomo è difendere Dio, che trovarsi con un uomo può significare trovarsi con Dio. Se non ci riusciamo, non sarà perché sia impossibile; sarà, piuttosto, perché non siamo disposti a trovarlo nell'uomo, immagine - l'unica verace - di Dio. Non c'è ragione affinché noi, i credenti nell'incarnazione di Dio, siamo insensibili al prossimo, né, quello che sarebbe ancora peggio, inumani: benché sappiamo che non tutti gli uomini sono degni di fiducia, rimane fermo il fatto che nonostante tutto l'uomo ha meritato la fiducia di Dio. Compresi, chiaro, noi stessi! Pensare di più a ciò ci lascerebbe meravigliati di Dio e ci darebbe la ragione che ci manca per migliorarci e migliorare il mondo che abbiamo.
Andare, dunque, per il mondo alimentare la fiducia, l'apertura agli altri, combattendo l'indifferenza o la paura davanti allo sconosciuto, cambierebbe il mondo molto più rapidamente ed efficacemente di quanto possano farlo le leggi e la scienza, l'educazione o la polizia, le autorità civili o religiose. Purtroppo abbiamo convertito il nostro mondo, il mondo nel quale Dio nacque bambino, in un mondo di sfiducia, di freddezza, se non di invidie o di terrore; e ciò, perché abbiamo lasciato crescere nei nostri cuori il seme di Caino: la sfiducia verso l'altro, la paura del prossimo, la negazione del fratello. Non potendo vedere nell'altro un fratello, è logico che lo consideriamo un nemico che bisogna far sparire dalla nostra vita o, almeno, far tacere. Non c'è bisogno di ucciderlo, basta trattarlo con indifferenza.
Resistere a queste tendenze significa fare un posto al Dio che viene tra noi: andare per il mondo con un po' più di fiducia negli altri, può rendere il nostro Dio più visibile, più evidente davanti agli altri e più vicino a noi. E questo può essere un'altra buona ragione per ringraziare Dio per l'incarnazione e viverla come una festa. È una ragione tanto buona che ci farebbe vivere la vita intera come il nostro natale, come il nostro continuo incontro con Dio. Coloro che accolsero la Parola, ci ricorda l'inno evangelico, ricevettero un uomo; ed accogliendo un uomo, si fecero con Dio, i suoi figli.
E nonostante, è facile in questi giorni sbagliarsi e situare la nostra felicità nei regali che si aspettano o nelle relazioni familiari che si fomentano: una felicità di ragioni tanto piccole, per forza deve durare ben poco. La felicità la scopre il credente scoprendo Dio, quando ci troviamo con gli uomini, in questo mondo: è una felicità che non può perdersi che, piuttosto, si guadagna giorno per giorno; perché è la felicità che Dio ha messo alla nostra portata per essersi fatto uno di noi. Perché è la felicità che si ottiene quando uno non vede nel suo prossimo un possibile rivale, quando uno può vedere in fondo al cuore del prossimo il volto impresso del suo Dio. Questo è quello che deve fare possibile la celebrazione credente dell'incarnazione: riconciliarci con gli altri e con noi stessi contemplando il nostro Dio che si riconciliò con l'uomo facendosi uno tra tutti. L'incarnazione di Dio può essere ben celebrata da uomini che conoscono la ragione della loro gioia e mettono la loro speranza e la loro voglia nel diventare più umani, uguagliandosi al loro Dio.
JUAN JOSE BARTOLOME sdb
L'inno che apre il quarto vangelo, è una magnifica meditazione credente sull'incarnazione. Non smette di richiamare l'attenzione che esercita la contemplazione del mistero nei primi credenti poeti: l'inno descrive in modo sommario le tappe della 'biografia' della Parola di Dio: prima della creazione, durante, e con lei in Dio. In Gesù di Nazareth Dio si
trasformò in pezzo di storia ed in vita dell'uomo; la sua Parola fatta carne, rese possibile la contemplazione della gloria di Dio. Niente è alieno ad un Dio che è rimasto a portata del credente; accampato nel suo mondo, niente di lui gli sarà estraneo; ma l'unica contemplazione possibile di Dio è quella che si ottiene mediante l'ascolto della sua Parola: questa è la strada per diventare amico del Dio che si è accampato tra noi. L'accettazione della sua Parola è il cammino verso la filiazione divina.
1 In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
2 Egli era in principio presso Dio.
3 Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di ciò che esiste.
4 In Lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
5 La luce brillò nella tenebra, ma le tenebre non l'anno accolta.
[6Venne un uomo mandato da Dio il suo nome era Giovanni: 7egli veniva come testimone, per dare testimonianza alla luce, affinché per mezzo di lui tutti venissero alla fede. 8Egli non era la luce, bensì testimone della luce].
9 Veniva nel mondo la luce vera che illumina ogni uomo.
10 Era nel mondo, il mondo è stato fatto per mezzo di Lui, ed il mondo non lo riconobbe.
11 Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
12 A quanti però lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome.
13 I quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
14 E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria: gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
[15 Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
"Era di lui che io dissi: "Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché esisteva prima di me."]
16 Dalla sua pienezza tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia.
17 Perché la legge fu data per mezza di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezze di Gesù Cristo.
18 Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
I. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice
Invece di 'narrare' quello che è successo, oggi il vangelo 'contempla' il mistero: più che parlare di lui, si addentra in lui. L'incarnazione di Dio non è ricordata come qualcosa passata o vista dal di fuori, è celebrata nell'attualità ed accettata nella fede: con l'inno il credente si esprime in profondità perché gli nasce dal sentirlo e dal con-sentirlo, cioè, dall'adorarlo con la mente e dal riceverlo nel cuore. Giovanni introducendo con questo inno il suo vangelo, autentica 'biografia' della Parola incarnata, segnala quale deve essere l'atteggiamento fondamentale dei suoi lettori: l'ammirazione di un mistero incomprensibile che è compreso da chi, grato, lo contempla.
Per renderlo meglio nella narrazione, Giovanni ha modificato il poema originale con qualche aggiunta propria, il più ovvio, per il suo tono prosaico, si incentra nella figura del Battista (1,6-8.15), il quale è subordinato alla Parola, come suo testimone; meno evidente, l'aggiunta (1,12c-13) serve per spiegare come arrivano gli uomini ad essere figli di Dio (1,12b), e (1,17-18) che commenta la sovrabbondanza della grazia (1,16).
L'inno si apre nel principio assoluto, in una soglia, senza tempo né distanze, riservato a Dio in esclusiva (1,1-3): prima di tutto esisteva già la Parola; dopo, tutto esiste per la Parola. Dopo aver messo in Dio, prima della creazione, l'inizio della storia di Gesù, il cantico passa a contemplare la relazione della Parola col mondo degli uomini, l'appezzamento più importante della creazione, il posto e il motivo della sua incarnazione (1,4-5). Un primo inciso (1,6-8) colloca l'opera rivelatore della Parola in un preciso contesto storico: scartata come luce, ci fu chi diede testimonianza a beneficio della Parola, Giovanni Battista. Il cantico riprende il tema dell'incarnazione e menziona la 'accoglienza' della Parola incarnata da parte degli uomini (1,9-13). In 1,14 il cantico raggiunge il suo zenit: la divina Parola fatta carne, che è in Dio, si accampò tra gli uomini cosicché poterono 'vedere' la sua gloria, l'essere figlio del Padre. A suo favore si trova l'espressa attestazione del Battista, il portavoce (1,15), ed una professione di fede della comunità (1,16-18) che afferma la storicità della manifestazione di Dio nella Parola incarnata e la sua esclusività salvifica. Il riassunto non può essere né più denso né meno completo. Ci sono verità che si confessano meglio pregando che speculando.
II. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA
Oggi i credenti dobbiamo recuperare le ragioni per celebrare l'incarnazione di Dio. Non bisogna sforzarsi molto per accorgersi che non tutti oggi sanno, - lo sappiamo noi, cristiani? - molto bene il perché festeggiare la nascita di Gesù: dopo tutto, è qualcosa che succedette già più di due mila anni fa. Se queste celebrazioni natalizie non riescono a darci una ragione in più per essere migliori, un motivo migliore per farci persone migliori, i cristiani non abbiamo celebrato, né capito almeno, la natività. Se il ricordare, con stupore, che il nostro Dio si fece uno di noi, non ci illumina e non ci stimola ad essere più simili a Lui, la nostra festa ed i buoni momenti sperimentati in lei sono risultati inutili: abbiamo celebrato la nascita di Gesù come pagani, come tanti dei nostri contemporanei che ignorano o hanno dimenticato il motivo della loro gioia.
In questi giorni, è vero, alla fine di un anno che non ha colmato sicuramente le nostre migliori aspettative, ci è più facile riempirci di buone intenzioni, sentirci più umani, più affettuosi in famiglia e meno esigenti con gli altri. Tutti rimpiangiamo di non arrivare ad essere migliori di quanto vogliamo. Ma non è meno vero che, sfortunatamente, molto di quanto vediamo intorno a noi, nella famiglia, nella società, e nel nostro cuore, non ci dà troppi motivi per aspettare questo miglioramento.
Perché bene, celebrare il Natale deve farci capire che non abbiamo diritto a perdere la fiducia in una famiglia migliore, in una migliore società, in noi stessi e nel nostro possibile miglioramento: se Dio ebbe tanta fiducia in noi da farsi bambino, cittadino, uomo di questo mondo, uno come noi, come potremo noi sottovalutare, o condannare, il modo che Dio scelse per venire al nostro incontro? Se fummo noi che gli demmo il motivo per farsi simile all'umanità, perché diffidare di noi stessi? Qui può essere una buona ragione per sforzarsi di essere più umani, a somiglianza di Dio. Il Dio che si incarnò ci restituisce la fiducia nell'uomo, la fiducia nel mondo, la fiducia in noi stessi, non perché siamo già buoni, bensì perché Dio si è fatto uomo in questo mondo per fare possibile la bontà e la felicità agli uomini di questo mondo.
Non abbiamo, in effetti, nessun motivo per annullare la decisione di Dio: disperando degli uomini, rinunciando al mondo o a noi stessi, disperiamo di Dio e rinunciamo a riconoscerlo. Se farsi uomo non gli ostacolò l'avvicinarsi all'uomo, non può essere una scusa, molto meno un impedimento, per non trovarsi con Lui. Se vivere in questo mondo fu il modo scelto da Dio per vivere tra noi, questo mondo, tale quale è, non deve toglierci l'allegria di stare con Dio ed essere in lui. Se il cuore umano non fu ostacolo al Dio che si fece uomo, non può esserlo neanche per nessuno dei suoi credenti. Questa sì che è una buona ragione per lo stupore, la contemplazione e la festa: Dio si è fatto tanto vicino che tutto quello che sia proprio del mondo e dell'uomo è un vero accesso a Lui. Non bisogna lasciare di esseri umani per impadronirsi di Dio, per vivere come Dio. Lì si che abbiamo una buona ragione per l'allegria e la speranza.
Contemplare oggi l'incarnazione di Dio ci da, inoltre, un altro motivo di speranza: che Dio si sia fatto uomo, uomo come noi, deve farci capire - capire col cuore, comprendere queste ragioni che solo il cuore raggiunge - che essere uomo è qualcosa di divino, che difendere l'uomo è difendere Dio, che trovarsi con un uomo può significare trovarsi con Dio. Se non ci riusciamo, non sarà perché sia impossibile; sarà, piuttosto, perché non siamo disposti a trovarlo nell'uomo, immagine - l'unica verace - di Dio. Non c'è ragione affinché noi, i credenti nell'incarnazione di Dio, siamo insensibili al prossimo, né, quello che sarebbe ancora peggio, inumani: benché sappiamo che non tutti gli uomini sono degni di fiducia, rimane fermo il fatto che nonostante tutto l'uomo ha meritato la fiducia di Dio. Compresi, chiaro, noi stessi! Pensare di più a ciò ci lascerebbe meravigliati di Dio e ci darebbe la ragione che ci manca per migliorarci e migliorare il mondo che abbiamo.
Andare, dunque, per il mondo alimentare la fiducia, l'apertura agli altri, combattendo l'indifferenza o la paura davanti allo sconosciuto, cambierebbe il mondo molto più rapidamente ed efficacemente di quanto possano farlo le leggi e la scienza, l'educazione o la polizia, le autorità civili o religiose. Purtroppo abbiamo convertito il nostro mondo, il mondo nel quale Dio nacque bambino, in un mondo di sfiducia, di freddezza, se non di invidie o di terrore; e ciò, perché abbiamo lasciato crescere nei nostri cuori il seme di Caino: la sfiducia verso l'altro, la paura del prossimo, la negazione del fratello. Non potendo vedere nell'altro un fratello, è logico che lo consideriamo un nemico che bisogna far sparire dalla nostra vita o, almeno, far tacere. Non c'è bisogno di ucciderlo, basta trattarlo con indifferenza.
Resistere a queste tendenze significa fare un posto al Dio che viene tra noi: andare per il mondo con un po' più di fiducia negli altri, può rendere il nostro Dio più visibile, più evidente davanti agli altri e più vicino a noi. E questo può essere un'altra buona ragione per ringraziare Dio per l'incarnazione e viverla come una festa. È una ragione tanto buona che ci farebbe vivere la vita intera come il nostro natale, come il nostro continuo incontro con Dio. Coloro che accolsero la Parola, ci ricorda l'inno evangelico, ricevettero un uomo; ed accogliendo un uomo, si fecero con Dio, i suoi figli.
E nonostante, è facile in questi giorni sbagliarsi e situare la nostra felicità nei regali che si aspettano o nelle relazioni familiari che si fomentano: una felicità di ragioni tanto piccole, per forza deve durare ben poco. La felicità la scopre il credente scoprendo Dio, quando ci troviamo con gli uomini, in questo mondo: è una felicità che non può perdersi che, piuttosto, si guadagna giorno per giorno; perché è la felicità che Dio ha messo alla nostra portata per essersi fatto uno di noi. Perché è la felicità che si ottiene quando uno non vede nel suo prossimo un possibile rivale, quando uno può vedere in fondo al cuore del prossimo il volto impresso del suo Dio. Questo è quello che deve fare possibile la celebrazione credente dell'incarnazione: riconciliarci con gli altri e con noi stessi contemplando il nostro Dio che si riconciliò con l'uomo facendosi uno tra tutti. L'incarnazione di Dio può essere ben celebrata da uomini che conoscono la ragione della loro gioia e mettono la loro speranza e la loro voglia nel diventare più umani, uguagliandosi al loro Dio.
JUAN JOSE BARTOLOME sdb
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