don Giorgio Scatto "E' il tempo della libertà e della responsabilità "
Giona 3,1-10 1Cor 7,29-31 Mc 1,14-20
Il tempo si è fatto breve: passa, infatti, la figura di questo mondo.
A un certo momento della vita prendiamo coscienza che il tempo che abbiamo a disposizione non è illimitato. Le possibilità, le opportunità di scelta, pure i sogni e le fantasie, si restringono e si riducono in modo sensibile. Gettati in una storia che ci rivela tutta la sua precarietà e incertezza, e spesso tutto il
suo dolore e la sua violenza, siamo tentati di fuga nell’irresponsabilità o di alienazione negli idoli che ci sono offerti dal mercato dei desideri. Paolo invece, quando dice che “il tempo si è fatto breve” non pensa al poco tempo che ci resta, quanto piuttosto a un tempo - il nostro - che riceve come un’accelerazione, che si contrae, come fa l’atleta prima della corsa. Se è vero che “passa la figura di questo mondo”, e che ogni realtà creata è segnata dalla ‘finitudine’, è anche vero che il cristiano è chiamato a vivere il proprio tempo con quella libertà e con quella responsabilità che deriva dalla novità inaugurata dall’evento di Gesù Cristo, morto e risorto: è questa novità che determina i rapporti tra gli sposi, il senso del piangere e del gioire, del progettare e del costruire tutte le attività dell’uomo. Per un cristiano l’orizzonte non è quello inquietante della ‘fine’, ma quello luminoso di un incontro pieno di promesse. Siamo pellegrini senza una casa, senza bagagli, senza sicurezza per il domani. I sentieri che attraversano i deserti della storia e dell’esistenza non sono mai una ‘dimora’, ma una ‘traccia’ sulla quale camminiamo spediti per attendere un paesaggio da cui non si torna indietro. Questo paesaggio è Dio stesso visto allo scoperto, e solo la morte lo mostrerà così. In questa ‘dinamica del provvisorio’, lungo il sentiero della vita, siamo chiamati a lodare Dio e a servire i fratelli.
D’altro canto, si apre davanti a noi un compito immane, possibile solo nella fiducia riposta in chi ci ha chiamati. Anche a noi è rivolta la Parola del Signore: <<Alzati, va a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico>>. Talvolta, o spesso, presi dall’angoscia e dalla paura, fuggiamo nella direzione opposta, come accadde al profeta Giona. Il Signore però non si stanca di cercarci, perché vuole che ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Tutti siamo scandalizzati dal terrore che si sta scatenando in tutto il mondo, e spesso la paura ci rende pavidi. Siamo piombati in una notte che non sembra annunciare alcuna alba. <<Gridano: sentinella, quanto resta della notte? La sentinella risponde: viene il mattino, e poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi; venite!>>. (Is 21,11-12). Commenta Giuseppe Dossetti: ”Secondo la sentinella non si tratta tanto di cercare nella notte rimedi esteriori più o meno facili, ma anzitutto di un trasformarsi interiormente, di un dietrofront intimo, di un voltarsi positivo verso il Dio della salvezza. Radice di questa conversione è anzitutto la contrizione, il pentimento”. E continua: “La partenza assolutamente indispensabile oggi mi sembra quella di dichiarare e perseguire lealmente – in tanto baccanale dell’esteriore – l’assoluto primato dell’interiorità, dell’uomo interiore”.
I primi due versetti del brano del vangelo offerto oggi alla nostra meditazione (Mc 1,14-15) non sono la solenne apertura del ministero pubblico di Gesù, quanto piuttosto la conclusione di ciò che è stato narrato prima: la missione e la predicazione del Battista, il battesimo e le tentazioni di Gesù. Nel prologo del vangelo di Marco, attraverso l’intrecciarsi narrativo tra la figura di Giovanni e quella di Gesù, appare che quest’uomo, indicato come l’Agnello di Dio, è il Messia atteso. Egli è il principio, il fondamento e la realizzazione di tutta la storia della salvezza. In lui è finito il tempo dell’attesa, le promesse si compiono, il Regno di Dio si fa vicino, come un albero carico di frutti buoni, le cui fronde giungono fino a terra: tutto Dio, ora, in questo nostro tempo, è a portata di mano. Cristo è anche il fondamento della predicazione cristiana, il suo contenuto irrinunciabile, che impegna alla metànoia, alla conversione, e alla pistis, alla fede. L’attività di Gesù è “proclamazione del vangelo di Dio”. L’evangelista vuole così stabilire una stretta continuità tra la predicazione di Gesù e quella post pasquale dei suoi discepoli. Il sommario sull’attività di Gesù ha una precisa intenzione ecclesiologica: la Chiesa deve annunciare l’avvento e la manifestazione del Messia, realizzata in Gesù. Non c’è nessun altro salvatore che dobbiamo ancora aspettare. Inoltre, tutta la vita cristiana deve dipendere da questo annuncio: dal momento che in Gesù si realizzano tutte le promesse di Dio, dobbiamo ‘convertirci’ credendo a questo annuncio. Ci si converte solo accogliendo il ‘vangelo di Dio’, cioè Gesù. In questa luce va considerato il racconto della chiamata. “Gesù vide Simone e Andrea e disse loro: <<Venite dietro a me>>”. La centralità di Gesù è la chiave di volta del racconto. Leggiamo, infatti, che l’accento è posto sulla chiamata autorevole e sovrana da parte di Gesù, piuttosto che sulla decisione dei discepoli. Inoltre, l’autorità di Gesù non è pari a quella di un capo carismatico, che seduce e conquista, ma deriva dalla sua identità messianica e la sua chiamata rivela che il Regno non solo è annunciato, ma che si sta realizzando nella storia, in mezzo agli uomini.
“Vi farò diventare pescatori di uomini”. La chiamata ad andare dietro a Gesù, a stare con lui, è finalizzata alla missione. “Pescare uomini” corrisponde al compito di strappare l’umanità alla morte, in tutte le forme in cui essa manifesta il suo dominio: la solitudine, la durezza dei cuori, l’odio e la violenza, lo sfruttamento dell’uomo, l’abuso dei bambini, l’idolatria di un’economia che uccide, ecc. Il racconto della chiamata dei primi discepoli diventa un paradigma attorno al quale è pensata la missione e l’identità della Chiesa: l’iniziativa di Gesù, la comunione con lui, l’invio in tutte le periferie umane, senza alcun timore.
“Lasciarono le reti; lasciarono il loro padre”. Lavoro e affetti non sono più valori assoluti e indiscutibili. Essi rimangono come dono e come responsabilità, ma sono ora potenziati, purificati e guidati dalla Parola di verità del vangelo di Gesù. Dentro la vita di lavoro e nell’intreccio dei nostri affetti si compie la nostra conversione.
Il tempo si è fatto breve: passa, infatti, la figura di questo mondo.
A un certo momento della vita prendiamo coscienza che il tempo che abbiamo a disposizione non è illimitato. Le possibilità, le opportunità di scelta, pure i sogni e le fantasie, si restringono e si riducono in modo sensibile. Gettati in una storia che ci rivela tutta la sua precarietà e incertezza, e spesso tutto il
suo dolore e la sua violenza, siamo tentati di fuga nell’irresponsabilità o di alienazione negli idoli che ci sono offerti dal mercato dei desideri. Paolo invece, quando dice che “il tempo si è fatto breve” non pensa al poco tempo che ci resta, quanto piuttosto a un tempo - il nostro - che riceve come un’accelerazione, che si contrae, come fa l’atleta prima della corsa. Se è vero che “passa la figura di questo mondo”, e che ogni realtà creata è segnata dalla ‘finitudine’, è anche vero che il cristiano è chiamato a vivere il proprio tempo con quella libertà e con quella responsabilità che deriva dalla novità inaugurata dall’evento di Gesù Cristo, morto e risorto: è questa novità che determina i rapporti tra gli sposi, il senso del piangere e del gioire, del progettare e del costruire tutte le attività dell’uomo. Per un cristiano l’orizzonte non è quello inquietante della ‘fine’, ma quello luminoso di un incontro pieno di promesse. Siamo pellegrini senza una casa, senza bagagli, senza sicurezza per il domani. I sentieri che attraversano i deserti della storia e dell’esistenza non sono mai una ‘dimora’, ma una ‘traccia’ sulla quale camminiamo spediti per attendere un paesaggio da cui non si torna indietro. Questo paesaggio è Dio stesso visto allo scoperto, e solo la morte lo mostrerà così. In questa ‘dinamica del provvisorio’, lungo il sentiero della vita, siamo chiamati a lodare Dio e a servire i fratelli.
D’altro canto, si apre davanti a noi un compito immane, possibile solo nella fiducia riposta in chi ci ha chiamati. Anche a noi è rivolta la Parola del Signore: <<Alzati, va a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico>>. Talvolta, o spesso, presi dall’angoscia e dalla paura, fuggiamo nella direzione opposta, come accadde al profeta Giona. Il Signore però non si stanca di cercarci, perché vuole che ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Tutti siamo scandalizzati dal terrore che si sta scatenando in tutto il mondo, e spesso la paura ci rende pavidi. Siamo piombati in una notte che non sembra annunciare alcuna alba. <<Gridano: sentinella, quanto resta della notte? La sentinella risponde: viene il mattino, e poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi; venite!>>. (Is 21,11-12). Commenta Giuseppe Dossetti: ”Secondo la sentinella non si tratta tanto di cercare nella notte rimedi esteriori più o meno facili, ma anzitutto di un trasformarsi interiormente, di un dietrofront intimo, di un voltarsi positivo verso il Dio della salvezza. Radice di questa conversione è anzitutto la contrizione, il pentimento”. E continua: “La partenza assolutamente indispensabile oggi mi sembra quella di dichiarare e perseguire lealmente – in tanto baccanale dell’esteriore – l’assoluto primato dell’interiorità, dell’uomo interiore”.
I primi due versetti del brano del vangelo offerto oggi alla nostra meditazione (Mc 1,14-15) non sono la solenne apertura del ministero pubblico di Gesù, quanto piuttosto la conclusione di ciò che è stato narrato prima: la missione e la predicazione del Battista, il battesimo e le tentazioni di Gesù. Nel prologo del vangelo di Marco, attraverso l’intrecciarsi narrativo tra la figura di Giovanni e quella di Gesù, appare che quest’uomo, indicato come l’Agnello di Dio, è il Messia atteso. Egli è il principio, il fondamento e la realizzazione di tutta la storia della salvezza. In lui è finito il tempo dell’attesa, le promesse si compiono, il Regno di Dio si fa vicino, come un albero carico di frutti buoni, le cui fronde giungono fino a terra: tutto Dio, ora, in questo nostro tempo, è a portata di mano. Cristo è anche il fondamento della predicazione cristiana, il suo contenuto irrinunciabile, che impegna alla metànoia, alla conversione, e alla pistis, alla fede. L’attività di Gesù è “proclamazione del vangelo di Dio”. L’evangelista vuole così stabilire una stretta continuità tra la predicazione di Gesù e quella post pasquale dei suoi discepoli. Il sommario sull’attività di Gesù ha una precisa intenzione ecclesiologica: la Chiesa deve annunciare l’avvento e la manifestazione del Messia, realizzata in Gesù. Non c’è nessun altro salvatore che dobbiamo ancora aspettare. Inoltre, tutta la vita cristiana deve dipendere da questo annuncio: dal momento che in Gesù si realizzano tutte le promesse di Dio, dobbiamo ‘convertirci’ credendo a questo annuncio. Ci si converte solo accogliendo il ‘vangelo di Dio’, cioè Gesù. In questa luce va considerato il racconto della chiamata. “Gesù vide Simone e Andrea e disse loro: <<Venite dietro a me>>”. La centralità di Gesù è la chiave di volta del racconto. Leggiamo, infatti, che l’accento è posto sulla chiamata autorevole e sovrana da parte di Gesù, piuttosto che sulla decisione dei discepoli. Inoltre, l’autorità di Gesù non è pari a quella di un capo carismatico, che seduce e conquista, ma deriva dalla sua identità messianica e la sua chiamata rivela che il Regno non solo è annunciato, ma che si sta realizzando nella storia, in mezzo agli uomini.
“Vi farò diventare pescatori di uomini”. La chiamata ad andare dietro a Gesù, a stare con lui, è finalizzata alla missione. “Pescare uomini” corrisponde al compito di strappare l’umanità alla morte, in tutte le forme in cui essa manifesta il suo dominio: la solitudine, la durezza dei cuori, l’odio e la violenza, lo sfruttamento dell’uomo, l’abuso dei bambini, l’idolatria di un’economia che uccide, ecc. Il racconto della chiamata dei primi discepoli diventa un paradigma attorno al quale è pensata la missione e l’identità della Chiesa: l’iniziativa di Gesù, la comunione con lui, l’invio in tutte le periferie umane, senza alcun timore.
“Lasciarono le reti; lasciarono il loro padre”. Lavoro e affetti non sono più valori assoluti e indiscutibili. Essi rimangono come dono e come responsabilità, ma sono ora potenziati, purificati e guidati dalla Parola di verità del vangelo di Gesù. Dentro la vita di lavoro e nell’intreccio dei nostri affetti si compie la nostra conversione.
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