FRATI MINORI DELL'UMBRIA"IMITARE COLUI CHE AMIAMO"
Alla radice della sofferenza c’è il male nelle sue innumerevoli forme
Se noi leggiamo i giornali o guardiamo la televisione, purtroppo constatiamo come il male imperversi attorno a noi e moltitudini di uomini e donne sono duramente provate dalla sventura e dalla sofferenza. Malattie, terremoti, alluvioni, guerre, torture, disoccupazione, miseria, droga e barbarie di ogni genere affliggono
quotidianamente l’umanità; e nessuno di noi è risparmiato dalla sofferenza causata a sé o ai propri cari, o agli amici ed ai conoscenti da dolori, malattie, tradimenti, incomprensioni, ingiustizie, o da angosce, ansietà, stanchezza, solitudine.
Ma perché tanto male e tanta sofferenza? Come si può conciliare l’esistenza di un Dio onnipotente con l’immensità del male e della sofferenza che ci circonda?
L’esistenza di Dio e l’esistenza del male e della sofferenza sembra una contraddizione, tanto che già Lattanzio, un filosofo cristiano del terzo secolo d.C. scriveva: «Se Dio vuole eliminare il male, ma non può farlo, vuol dire che non è onnipotente, il che è contraddittorio.
Se può farlo ma non lo vuole, è perché non ci ama, il che è ugualmente contraddittorio. Se non lo può e non lo vuole, vuol dire che non ha né potenza né amore, e dunque non è Dio». Certo è che alla radice della sofferenza c’è il male nelle sue innumerevoli forme.
Ma come possiamo definire il male? È difficile perché il male lo si può definire solo in riferimento a un bene che esso sminuisce o compromette. Infatti, esso è necessariamente la privazione di un bene: la malattia, ad esempio, è la privazione dello stato di buona salute; la guerra è la privazione della pace; la solitudine è la mancanza di una relazione di piacevole compagnia o solidarietà; l’amarezza proviene dalla diminuzione della felicità data da una feconda relazione di amicizia e di amore; e così via.
Possiamo, comunque, distinguere due forme principali di male: il «male esistenziale», che deriva all’uomo dalla sua esistenza naturale, di cui sono espressioni le malattie, la sofferenza, l’agonia, la morte; e il «male legato alla libertà dell’uomo», per l’uso perverso della sua libertà, di cui sono espressioni le violenze in genere, la guerra, la confusione, l’avidità di potere, di ricchezze o di sapere ecc., legate all’egoismo personale, nazionale o razziale, ma anche gli eccessi di ogni genere, l’alcolismo, il fumo e la droga, la mancanza del rispetto dell’ecologia. Ma qui dobbiamo fermarci, per soffermarci su come Francesco accettò la sofferenza. Francesco, spinto dall’amore in tutto, imitò Cristo per arrivare all’identità con Lui. E per stare alla sequela di Cristo, obbedendo all’invito del Maestro «Se uno mi vuole servire mi segua» (Gv 12,26), volle camminare sulle sue orme, seguendo l’indicazione di Pietro «anche Cristo patì per voi... perché voi ne seguiate le orme» (1 Pt. 2, 2 1).
Francesco, immagine vivente del Signore, nell’imitare Cristo volle anche soffrire con Lui, accettandone i dolori e le sofferenze, tanto che nel testo dei «Tre compagni» è riportato che «il suo cuore si struggeva, come ferito, al ricordo della passione del Signore» e lo «Specchio di perfezione» attesta che «Francesco aveva un così grande fervore di amore e di compassione verso i dolori e la passione di Cristo, e tanto ogni giorno se ne affliggeva intimamente ed esteriormente, che non faceva caso alle proprie malattie», e noi ben sappiamo che di malattie Francesco ne aveva in abbondanza. Naturalmente, Francesco, oltre alle sofferenze fisiche, volle avere anche quelle spirituali, in modo da potersi conformare meglio ed il più possibile a Cristo, accettandone quindi le repulsioni, le scelte e gli atteggiamenti di vita, sia pure quelli più duri e difficili a seguire ed a sopportare.
Angela da Foligno ha ben interpretato e capito Francesco: «Tutto ciò - scrive la Santa - che Gesù, Dio-Uomo, disprezzò, anche lui totalmente lo disprezzò; tutto ciò che questo Dio-Uomo Gesù amò, anche lui lo amò con tutto il suo essere, in modo perfetto, seguendo le sue orme, affinché in ogni cosa potesse essere conforme a Lui... Di solito - aggiunge - ciò che si ama si desidera possederlo, e quanto più lo si ama, più si desidera possederlo. Così le cose che amò Gesù, che era Dio-Uomo, le amò Francesco il poverello». Ecco perché Francesco amò la povertà: perché amata da Cristo povero, ecco perché Francesco fu obbediente per amore di Cristo obbediente in tutto al Padre. E così, per amore di Gesù paziente, Francesco ricercò il patire, e desiderò l’umiliazione proprio per amore di Colui che si era spogliato di tutto arrivando ai più bassi gradini dello spogliamento di sè.
Se noi leggiamo i giornali o guardiamo la televisione, purtroppo constatiamo come il male imperversi attorno a noi e moltitudini di uomini e donne sono duramente provate dalla sventura e dalla sofferenza. Malattie, terremoti, alluvioni, guerre, torture, disoccupazione, miseria, droga e barbarie di ogni genere affliggono
quotidianamente l’umanità; e nessuno di noi è risparmiato dalla sofferenza causata a sé o ai propri cari, o agli amici ed ai conoscenti da dolori, malattie, tradimenti, incomprensioni, ingiustizie, o da angosce, ansietà, stanchezza, solitudine.
Ma perché tanto male e tanta sofferenza? Come si può conciliare l’esistenza di un Dio onnipotente con l’immensità del male e della sofferenza che ci circonda?
L’esistenza di Dio e l’esistenza del male e della sofferenza sembra una contraddizione, tanto che già Lattanzio, un filosofo cristiano del terzo secolo d.C. scriveva: «Se Dio vuole eliminare il male, ma non può farlo, vuol dire che non è onnipotente, il che è contraddittorio.
Se può farlo ma non lo vuole, è perché non ci ama, il che è ugualmente contraddittorio. Se non lo può e non lo vuole, vuol dire che non ha né potenza né amore, e dunque non è Dio». Certo è che alla radice della sofferenza c’è il male nelle sue innumerevoli forme.
Ma come possiamo definire il male? È difficile perché il male lo si può definire solo in riferimento a un bene che esso sminuisce o compromette. Infatti, esso è necessariamente la privazione di un bene: la malattia, ad esempio, è la privazione dello stato di buona salute; la guerra è la privazione della pace; la solitudine è la mancanza di una relazione di piacevole compagnia o solidarietà; l’amarezza proviene dalla diminuzione della felicità data da una feconda relazione di amicizia e di amore; e così via.
Possiamo, comunque, distinguere due forme principali di male: il «male esistenziale», che deriva all’uomo dalla sua esistenza naturale, di cui sono espressioni le malattie, la sofferenza, l’agonia, la morte; e il «male legato alla libertà dell’uomo», per l’uso perverso della sua libertà, di cui sono espressioni le violenze in genere, la guerra, la confusione, l’avidità di potere, di ricchezze o di sapere ecc., legate all’egoismo personale, nazionale o razziale, ma anche gli eccessi di ogni genere, l’alcolismo, il fumo e la droga, la mancanza del rispetto dell’ecologia. Ma qui dobbiamo fermarci, per soffermarci su come Francesco accettò la sofferenza. Francesco, spinto dall’amore in tutto, imitò Cristo per arrivare all’identità con Lui. E per stare alla sequela di Cristo, obbedendo all’invito del Maestro «Se uno mi vuole servire mi segua» (Gv 12,26), volle camminare sulle sue orme, seguendo l’indicazione di Pietro «anche Cristo patì per voi... perché voi ne seguiate le orme» (1 Pt. 2, 2 1).
Francesco, immagine vivente del Signore, nell’imitare Cristo volle anche soffrire con Lui, accettandone i dolori e le sofferenze, tanto che nel testo dei «Tre compagni» è riportato che «il suo cuore si struggeva, come ferito, al ricordo della passione del Signore» e lo «Specchio di perfezione» attesta che «Francesco aveva un così grande fervore di amore e di compassione verso i dolori e la passione di Cristo, e tanto ogni giorno se ne affliggeva intimamente ed esteriormente, che non faceva caso alle proprie malattie», e noi ben sappiamo che di malattie Francesco ne aveva in abbondanza. Naturalmente, Francesco, oltre alle sofferenze fisiche, volle avere anche quelle spirituali, in modo da potersi conformare meglio ed il più possibile a Cristo, accettandone quindi le repulsioni, le scelte e gli atteggiamenti di vita, sia pure quelli più duri e difficili a seguire ed a sopportare.
Angela da Foligno ha ben interpretato e capito Francesco: «Tutto ciò - scrive la Santa - che Gesù, Dio-Uomo, disprezzò, anche lui totalmente lo disprezzò; tutto ciò che questo Dio-Uomo Gesù amò, anche lui lo amò con tutto il suo essere, in modo perfetto, seguendo le sue orme, affinché in ogni cosa potesse essere conforme a Lui... Di solito - aggiunge - ciò che si ama si desidera possederlo, e quanto più lo si ama, più si desidera possederlo. Così le cose che amò Gesù, che era Dio-Uomo, le amò Francesco il poverello». Ecco perché Francesco amò la povertà: perché amata da Cristo povero, ecco perché Francesco fu obbediente per amore di Cristo obbediente in tutto al Padre. E così, per amore di Gesù paziente, Francesco ricercò il patire, e desiderò l’umiliazione proprio per amore di Colui che si era spogliato di tutto arrivando ai più bassi gradini dello spogliamento di sè.
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