JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA: Mc 1,7-11

11gennaio 2015 | Battesimo di Gesù - Anno B | Omelia
Con somma brevità l'evangelista racconta l'inizio del ministero pubblico di Gesù: la predicazione del Battista e l'intervento pubblico del Padre l'identificano come il Datore dello Spirito e il Figlio prediletto di Dio. La narrazione serve per scoprire la vera identità di Gesù: è molto più di quanto si poteva sperare da uno che 'arriva da Nazareth', dato che può battezzare con lo Spirito di Dio, qualcosa che neanche il Battista faceva. Dio in persona rompe il suo silenzio, ed il cielo, per dichiararlo
pubblicamente suo figlio. Difficilmente potrebbe incominciare meglio la 'vita di Gesù', il Messia e Figlio di Dio. Così fa capire Marco ai suoi lettori che il suo personaggio non è più un semplice uomo di Dio e che il suo messaggio non è semplice buona notizia. Nella sua persona e nella sua predicazione si fa presente lo stesso Dio, perché dà il suo Spirito.

In quel tempo, 7Giovanni proclamava:
"Dopo di me viene colui che è più forte di me, io non sono degno di chinarmi per slegargli i lacci dei sandali.
8Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con Spirito Santo.
9Ed ecco arrivò Gesù da Nazareth di Galilea fu battezzato da Giovanni nel Giordano.
10Appena uscì dall'acqua, vide squarciarsi il cielo e lo Spirito Santo scendere verso di lui come una colomba. 11Si sentì una voce dal cielo:
"Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento".

I. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice

Marco introduce il suo racconto, la buona notizia di Gesù Cristo, Figlio di Dio (Mc 1,1), con un prologo (Mc 1,2-13), nel quale, prima di presentare il suo protagonista, concede spazio e voce, in primo luogo, al Battista, il suo precursore (Mc 1,2-8), ed immediatamente dopo, a Dio in persona chi si definisce come il Padre compiaciuto di Gesù. Prima che Gesù si identifichi con quello che dice e faccia, Dio si identifica con lui.
Il narratore dice poco sul suo personaggio: procede dalla sottovalutata Nazareth (cf. Gv 1,46) e, come segno della sua volontà di conversione (Mc 1,4) si lascia battezzare da Giovanni. Inizi poco promettenti, che non servono per la testimonianza che dà Dio su Gesù; questa testimonianza, terza e definitiva di una serie (Mc 1,1.7-8.11), è il centro dell'episodio: Dio dice chi è Gesù per Lui; superando abbondantemente la dichiarazione del Battista e le sue aspettative (Mc 1,7-8) e prima che lo dicano altri (Mc 1,24; 5,6) Dio si dichiara suo padre. Identificando Gesù come figlio, Dio si è identificato a sé stesso: Gesù lo definisce come padre. Non vi è migliore presentazione: è stato Dio che si è identificato con un uomo di Nazareth, battezzato nel Giordano. Al credente in quel Dio non gli rimane che accettare Gesù come il suo Dio: comprendere Gesù, e vederlo, con gli occhi ed il cuore di Dio è il lavoro dei credenti.
La breve scena è, dunque, il racconto della chiamata di un uomo ad essere figlio di Dio. Conta, in effetti, la vocazione di Gesù ad essere, ed ad agire come, figlio di Dio (cf. Sal 2,7). Nonostante sia sconosciuto, l'apparizione di Gesù sulle rive del Giordano apre a Dio la voglia di comunicarsi col suo popolo e comunica il suo Spirito al suo unto per mezzo dell'acqua battesimale. Dove è Gesù, per insignificante che sia la sua presenza, saranno aperti i cieli senza ostacoli, lo Spirito scende e Dio parla. Il tempo dell'attesa è finito. Chi aspettare ancora, se il Figlio è già venuto? Quando Dio non parla, e dove Egli non significa niente, Gesù è assente; dove si presenta, benché sia in pieno deserto, Dio rompe il suo silenzio ed i cieli.
È Dio che si dice Padre di Gesù; e la sua parola, come affermazione di Dio, crea quando dice (Gn 1,3.6.9.11.13-14.20-24) fa figlio a chi così chiama. È al padre che corrisponde riconoscere suo figlio, accettandolo pubblicamente come proprio. E Dio mostra la sua paternità nel momento stesso nel quale Gesù appare in scena; prima perfino che abbia detto o fatto qualcosa che dimostri la sua filiazione, Gesù è presentato da Dio come figlio e Dio si presenta come suo Padre. Essere figlio è conseguenza del volere del padre: Gesù è figlio caro di Dio. Questo amore paterno precede, ed accompagnerà, il suo ministero: l'uomo di Nazareth è il figlio di Dio. Il racconto che ora incomincia non è la cronaca dell'attuazione di un uomo, per grande che sia; è la narrazione del comportamento del Figlio di Dio. Dio sta all'origine, in fondo, della vita e dell'opera di Gesù di Nazareth; quanto di lui si racconti è vangelo di Dio.

II. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

Celebrata la natività, torniamo a contemplare Gesù mentre camminava tra gli uomini, predicando Dio ed il suo regno. C'è data così l'occasione di rivivere le circostanze del suo passaggio tra gli uomini, quello che ci aiuterà a vivere, come dobbiamo, tutti i giorni vicino ad essi senza disperare di trovarci un giorno col Dio-con-noi che è Gesù di Nazareth.
Iniziando questa strada, oggi il vangelo ci presenta Gesù, già adulto che scende al Giordano per essere battezzato da Giovanni. Per Gesù dovette essere questa una decisione fondamentale, tanto quanto da segnare una pietra miliare nella sua vita: fino a questo momento, e benché appena sappiamo qualcosa di quanto aveva potuto fare prima o come aveva dovuto vivere, si può dire che visse una esistenza normale, quella che corrispondeva ad un campagnolo galileo; da ora in poi, vivrà nelle strade, senza soffitto né famiglia proprie, annunciando il regno di Dio ed avvicinandosi agli uomini che volessero ascoltarlo; quasi tutto quanto sappiamo di lui, i miracoli che conosciamo come le sue parabole, le continue dispute coi suoi rivali e la difficile relazione coi suoi discepoli, la sua vita errante e la sua morte tragica, corrisponde al periodo che segue a questo incontro col Battista ed è la sua conseguenza logica. Il battesimo trasformò radicalmente Gesù: se tanto significò per lui, che cosa non potrà significare per noi?
Per gli ebrei il battesimo era una pratica penitenziale; chi lo riceveva, riconosceva i propri peccati e cercava di cuore di ritornare a Dio. Gesù si unì ad una moltitudine che discendeva al Giordano alla ricerca di perdono ed ansiosa di conversione; ma il suo battesimo non fu effetto del suo pentimento: Dio in persona si è incaricato di dissipare qualunque ombra di dubbio dichiarandolo pubblicamente suo Figlio Prediletto. Coloro che andarono dal Battista per avvicinarsi a Dio, trovarono in quel compagno il Dio che avevano perso: il Dio che credevano lontano dalle loro preoccupazioni e dal loro peccato, il Dio che tante volte avevano ignorato stava vicino ad essi, verso il Giordano. Ed il Figlio di Dio, identificato davanti alla gente e Giovanni da suo Padre, non sa fare altro che predicare la conversione ed avvicinare il Regno a chi più ha bisogno di esso: essere totalmente di Dio, appartenere alla sua famiglia, lo mette a disposizione di quanti appartengono a Dio e non sono ancora totalmente suoi.
Gesù scoprì la sua missione personale, quando uscì allo scoperto: presentato come figlio prediletto di Dio, non poté non badare a ciò che interessava suo Padre; non poté nascondersi più tra gli uomini che cercavano Dio, perché Dio lo identificò come Figlio. Quanto più si sapeva vicino a Dio, tanto più sentiva la necessità di avvicinare a Dio agli uomini: nel Giordano Dio non poté tacere quanto gli importava Gesù, e Gesù non poté stare in silenzio da allora riguardo Dio ed il suo regno. Quando non si sapeva della sua relazione con Dio, Gesù poteva conservare l'anonimato ed essere considerato un galileo qualunque; dal momento in cui Dio, rompendo il suo silenzio ed i cieli, lo proclamò figlio caro, non ebbe altra missione sulla terra che proclamare il volere del Padre che sta nei cieli. Sapersi figlio di Dio lo convertì in missionario, essere stato annunciato come prediletto lo portò ad annunciare Dio che lo prediligeva: sentirsi amato da Dio lo fece suo inviato. Se col suo battesimo Gesù obbligò Dio a dare testimonianza a suo favore, con la dichiarazione di Dio e la discesa del suo Spirito, Gesù si trasformò in apostolo del Padre. Dato che tutti sapevano chi era, doveva fare conoscere Dio a tutti.
Non dovremmo dimenticarci oggi che anche noi siamo stati, come Gesù e nel suo nome, battezzati. Che non ci ricordiamo di quel giorno lontano, non ci libera delle sue conseguenze: certo, il giorno del nostro battesimo non si aprì il cielo e gli astanti non sentirono la voce di Dio; ma non per questo siamo meno figli di Dio. Contemplare oggi Gesù, chiamato figlio dal suo Dio e chiamato a predicare il suo regno, dovrebbe aiutarci a recuperare la nostra dignità di figli e la nostra missione di testimoni, un onore ed un compito che abbiamo ricevuto contemporaneamente il giorno del nostro battesimo.
Se a volte non riusciamo a sentirci amati da Dio, se spesso non siamo capaci di trovare il Padre nel Dio che invochiamo, non sarà perché, a differenza di Gesù, ci siamo dimenticati della missione del figlio, missione che Dio da a chi riconosce come suo figlio il giorno stesso della sua adozione? Se il regno di Dio non occupa il nostro cuore e le nostre mani, se non ci preoccupano i temi del nostro Padre, non potremo sentirci mai, benché lo siamo, famiglia di Dio: il Dio di Gesù smette di essere familiare con chi non familiarizza con la sua volontà. Se non ci interessa proclamare agli altri quello che noi siamo già, se Dio ed il suo regno non diventano presenti in noi, con quale diritto ci lamentiamo che Dio non si comporta con noi come farebbe un padre? Chi si sa figlio, agisce come tale: si sente amato, solo chi ama; saremo capaci di percepire la preoccupazione di Dio per noi, le sue attenzioni, se facessimo nostre le preoccupazioni di Dio: Dio non entrerà pienamente nel nostro cuore, se il suo regno non ha riempito i nostri giorni e le nostre mani; chi non si interessa di Dio, difficilmente potrà sentire l'interesse di Dio.
Perdiamo molto tempo noi cristiani, a volte tutta la vita, quando ci interessa di Dio solo le sue grazie e non la sua volontà, i suoi doni e non il regno. Se ci preoccupa solo che Dio si mostri buono, migliore oggi di quanto lo fu ieri, non sentiremo il suo amore: il figlio non dubita dell'attenzione del Padre e bada agli interessi familiari senza aspettare salario come contraccambio. Preoccuparsi un po' più di quanto bisogna fare ancora nel mondo affinché Dio sia conosciuto ed amato, rispettato e benedetto, ci trasformerebbe nei suoi figli amati. Questo fece Gesù che oggi stiamo contemplando. Noi, invece, quanto più ci disinteressiamo di Dio e delle sue cose tanto più esigiamo che si occupi di noi. Gesù, il figlio di Dio per antonomasia, non rimase contento di esserlo, non continuò vivendo nell'anonimato la sua propria dignità: predicò il Dio del quale si sapeva Figlio, si fece conoscere come familiare di Dio mentre annunciava il suo regno ai suoi uditori.
Dedichiamoci a contemplare Gesù: egli è il nostro cielo aperto e la voce del nostro Dio, il suo Figlio più caro. E vediamo in lui quanto siamo chiamati ad essere: figli di Dio e missionari del Padre. Saremo figli se ci facciamo suoi testimoni: Dio non aspetta da noi miracoli né prodigi maggiori di quello di poter recuperare il coraggio di annunciarlo come Padre. Facciamo nostra la missione di Gesù e Dio ci riconoscerà come suoi figli: dire al mondo che abbiamo un Padre nel nostro Dio, ci convertirà nei suoi figli amati. Potremmo aspirare di più con così poco sforzo?

                                                                                     JUAN J. BARTOLOME sdb

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