Luca Desserafino sdb "La luce splende nelle tenebre"

4 gennaio 2015 | 2a Domenica di Natale - Anno B | Omelia
La prima lettura di questa domenica costituisce uno dei grandi elogi della Sapienza divina: essa si identifica da una parte con la Parola di Dio personificata, dall'altra con lo Spirito divino che si librava sulle acque primordiali.
Il prologo di Giovanni ha un andamento molto simile: Gesù è chiamato la Parola, il Verbo, in quanto rivelazione definitiva del Padre.

E la Parola, per Giovanni, evoca precisamente il ricordo della Parola divina dell'Antico Testamento, Parola che trova la sua perfezione in Gesù: egli è la Parola di Dio fattasi carne per la vita del mondo.
La seconda lettura è costituita dall'inno con cui Paolo inizia la lettera ai cristiani di Efeso. Dio ci ha predestinati ad essere suoi figli per opera di Gesù. Dobbiamo chiedergli "uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui".

Gesù è la Parola di Dio:
non può essere una parola che non ha senso.
Egli è tutto, parola e parola di tutto.

Dio aveva rivelato il suo eterno potere per mezzo della creazione, aveva inviato i suoi profeti, i suoi messaggeri ma, nonostante ciò, era rimasto pieno di mistero, invisibile, nascosto dietro i principati e le potenze, dietro le tribolazioni e le ansietà.

Ad un certo punto, in un certo tempo storico concreto, Dio si è rivelato; ha parlato distintamente e chiaramente. Ciò è avvenuto in Gesù di Nazaret. Gesù è la Parola che ha rotto il relativo silenzio di Dio. Il contenuto di questa Parola è Dio stesso. Un Dio diverso da come lo pensavano gli uomini: è un Dio Trinità d'amore, è un Padre misericordioso che ama l'uomo e lo vuole salvo.

Per molti oggi questa "Parola" cade nel vuoto. Dio non fa più parte delle nostre abitudini. Oggi la sua esistenza è messa in discussione. L'ateismo non è più soltanto il problema di pochi: esso investe un numero sempre maggiore di uomini, tanto da diventare un fenomeno di civiltà. "Dio non serve a niente", è l'obiezione più facile.

In effetti Dio non esiste per "servire" a qualche cosa, come molti ancora pensano; Dio non è il medico dei casi disperati, né un'agenzia di assicurazioni su pegni di giaculatorie o pellegrinaggi, né un alibi per spiegare quello che l'uomo non capisce o ancora non riesce a fare.

Il Dio di Gesù Cristo non è una specie di tiranno, benevolo o irritato, secondo i casi, che interviene arbitrariamente nel corso degli avvenimenti per arrestarne alcuni o modificarne altri. Credere in un Dio così, è sedere nell'anticamera dell'ateismo.

Ma il Dio che in Gesù, Verbo incarnato, si rivela, ha i contorni del volto paterno.

Un Dio-amore che si manifesta nella figura del Padre misericordioso, che si rivela così nel Suo Figlio unigenito. Da tutta l'umanità, Egli attende il riconoscimento filiale di questo amore che invade, da sempre, tutta la creazione.

La Chiesa ci invita a porre all'inizio di questo anno la Parola evangelica. Questo vuol dire rinascere: ripartire dal Vangelo. Se non c'è il Vangelo a fondamento delle nostre giornate, sarà vano il nostro impegno perché saremo privi della luce che è venuta nel mondo.

E dobbiamo:

crescere con il Vangelo,
ascoltandolo giorno dopo giorno,
sfogliandolo pagina dopo pagina,
per ascoltarlo e metterlo in pratica.
Così diventiamo contemporanei del Vangelo.

Le domeniche ci aiuteranno in questo cammino assieme al Signore. Da Natale in avanti il Verbo, la Parola evangelica, deve divenire carne della nostra vita. Per mezzo di essa, infatti, Dio compie la sua opera, la sua storia di salvezza in noi e nel mondo. La salvezza non è una idea irraggiungibile: Dio si mostra con la comprensibilità della parola.

E non è neppure nell'astratto: la parola di Dio si manifesta nella carne, nella vita. Potremmo dire che la parola evangelica chiede di esser veduta e deve divenire fatto, vita concreta. Solo in questo modo la testimonianza di ogni credente è riconoscimento di un amore filiale che dal seno della Trinità si espande e raggiunge, in Cristo, ogni uomo.


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