Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola"Solennità dell’Epifania del Signore"

Is 60,1-6; dal Salmo 71 (72); Tt 2,11 – 3,2; Mt 2,1-12
Duomo di Milano, 6 gennaio 2015
1. Incontrarlo nella dimora della sua presenza
«Al vedere la stella provarono una gioia grandissima» (Vangelo, Mt 2,10). Prima ancora di incontrarlo, non appena «la stella si fermò
sopra il luogo dove si trovava il bambino» (Vangelo, Mt 2, 9), i Magi traboccano di gioia. Tutto il senso della nostra vita, infatti, si gioca nella tensione tra il nostro cuore fatto per Dio (capax Dei) e il Suo venirci incontro nella persona di Gesù Cristo, il «grande Dio e salvatore» (Epistola, Tt 2,13). La gioia dei Magi e la gioia nostra è già adorazione («si prostrarono e lo adorarono», Vangelo, Mt 2,11) perché riconosce che il lungo viaggio della vita ha una meta che muove tutta l’esistenza fin nelle più piccole pieghe della storia della famiglia umana.
Tale prospettiva di piena soddisfazione del desiderio costitutivo spalanca l’uomo all’offerta di sé. Questo, alla fine, significano i doni dell’oro, dell’incenso e della mirra da parte dei Magi.

2. Dio chiama tutti alla salvezza
«Con la venuta dei Magi, primizia delle genti lontane, i popoli tutti hai chiamato a salvezza» (All’inizio dell’Assemblea liturgica). Il giorno dell’Epifania del 1955, nella Messa d’ingresso in Diocesi, il beato Arcivescovo Montini spiegò così il senso della solennità di oggi: «La vocazione delle genti a Cristo, il cammino umano guidato dalla luce celeste, la convergenza degli argomenti – interiori, esteriori, biblici e scientifici – che, con complesso travaglio, ma con felicissimo epilogo, conducono al Dio fatto uomo. … è l’offerta universale della luce e della salvezza a quanti avranno la fortuna e il coraggio di accoglierle» (Omelia di ingresso a Milano, 6 gennaio 1955).
L’offerta universale della luce e della salvezza di cui parla il futuro Paolo VI è la manifestazione (l’epifania) di Dio in Gesù Cristo che si dà a conoscere ad ogni uomo.

3. Venuto per il bene di tutti
La solennità di oggi si presta ad un’importante precisazione che può aiutare noi cristiani ad assumere in pieno il compito di testimoni, anche all’interno delle società plurali che caratterizzano soprattutto i paesi nord occidentali. Non è raro notare presso molti cristiani, anche nelle nostre terre ambrosiane, una reticenza, si direbbe quasi una vergogna, a proporre – sottolineo proporre – in tutti gli ambienti dell’umana esistenza, Gesù Cristo come l’unico salvatore e redentore, contemporaneo alla libertà di ogni uomo e di ogni donna. A questa attitudine rinunciataria si connette, a ben vedere, la diffusa considerazione che la vita della Chiesa è spesso marcata dalla contrapposizione tra i cosiddetti cristiani tradizionalisti e i cosiddetti cristiani innovatori. La lettura del franco e stimolante dibattito in occasione dell’Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre scorso sulla famiglia ce ne offre un clamoroso esempio. Si è giunti a parlare di divisione tra rigoristi e lassisti, come se i Padri sinodali fossero impegnati a difendere più le loro idee che non il bene delle persone.
La solennità di oggi ci aiuta a comprendere che questa contrapposizione, spesso esagerata ad arte, dipende, alla fine, proprio dall’incapacità di tenere insieme da una parte la natura universale dell’evento di Gesù Cristo (Egli muore e risorge veramente per tutti) e, dall’altra parte, la libertà dei soggetti, personali e sociali, che abitano la società plurale. Se Cristo è venuto per tutti, è logico che i suoi seguaci testimonino una concezione di sé e della propria azione che ritengono valida per tutti gli uomini. Il cristiano sa che il suo stile di vita è praticabile da tutti ed instancabilmente lo offre a tutti, ma sa anche che questo suo stile non lede affatto la libertà umana comunque essa si situi.
A frenare spesso la proposta del cristiano sulle “questioni scottanti” relative alla convivenza civile nella società plurale è l’affermazione: “Sei cristiano, agisci secondo ciò che la fede ti domanda! Ma lascia liberi gli altri di agire secondo le loro convinzioni”. Questo criterio di comportamento altro non è che una ovvia affermazione della libertà di scelta. Se però pretende di liquidare la libertà da parte dei sostenitori di qualsivoglia mondovisione di proporre pubblicamente la propria concezione dei beni spirituali e materiali toglie qualcosa di essenziale al bene comune. Infatti i soggetti personali e sociali che si autocensurano o vengono impediti di formulare il loro punto di vista privano tutta la società della necessaria ricerca, attraverso un appassionato confronto teso al reciproco riconoscimento, della vita buona per tutti. Neutralizzare la proposta anche di uno solo dei soggetti in campo è svilire il bene comune sociale chiamato a diventare bene politico.
Chi mi garantisce che questa posizione veramente non lede, anzi esalta, la libertà? È Dio stesso, o almeno un senso (significato di vita e direzione di cammino) per l’esistenza riconosciuto o cercato, a garantirlo. Questi si offre ad ogni uomo e ad ogni donna attirando a sé la loro libertà cui non toglie mai la capacità di scegliere in autonomia. Per questo valorizza ogni seme di verità da chiunque provenga e stimola, nell’appassionato confronto con tutti, il “libero giudizio critico” sui frangenti storici che l’umanità, di volta in volta, attraversa.
In quest’ottica i Magi sono espressione dell’amore universale del Dio cristiano. La Chiesa li propone oggi alla nostra attenzione perché è carica di questo amore per la ricerca di senso che caratterizza, esplicitamente o implicitamente, anche il cammino dell’uomo e delle genti di quest’epoca postmoderna.

4. Dio si rende incontrabile e conoscibile ad ogni uomo.
Nell’Inno dedicato al Mistero dell’Epifania, il nostro Padre Ambrogio indica ben quattro “manifestazioni” della gloria di Cristo come Figlio di Dio: la visita dei Magi a Betlemme, il Battesimo di Gesù al Giordano, il miracolo di Cana (dove Gesù «per la prima volta manifestò la sua gloria ai suoi discepoli», Gv 2,11) e la moltiplicazione dei pani (dove Gesù si rivelò come il Messia prefigurato dai profeti, colui che avrebbe imbandito per il suo popolo il banchetto della salvezza).
Con il Battesimo di Gesù al Giordano, il Padre lo manifesta agli uomini come il Figlio unigenito, l’amato che – come osservò acutamente von Balthasar (Tu coroni l’anno con la tua grazia, Jaca Book, Milano 1990, 21) – dona qualcosa della sua unicità a tutti i suoi fratelli e sorelle.
È questa la ragione che fonda la possibilità di guardare l’altro, ogni uomo, sempre come soggetto e mai come oggetto. «Oggi come ieri, alla radice della schiavitù si trova una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. ... La persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, con la forza, l’inganno o la costrizione fisica o psicologica viene privata della libertà, mercificata, ridotta a proprietà di qualcuno; viene trattata come un mezzo e non come un fine» (Papa Francesco, Messaggio per la 48a Giornata Mondiale della Pace, 4).
Ognuno dovrebbe divenire per l’altro un’occasione di epifanìa, un’occasione di adorare la presenza di Dio in ogni uomo.

5. Un popolo puro che gli appartenga
«Tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio» (Lettura, Is 60,4). La visione del profeta Isaia si attua per noi oggi qui convenuti per adorarLo. Siamo usciti dalle nostre case, forse anche molto lontane dalle nostre terre d’origine, come fecero i Magi. Ma qual è lo scopo di questo nostro con-venire eucaristico? «Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,12b), ci ha detto il Vangelo. Vogliamo tornare alle nostre case, come i Magi, per un’altra strada. Quale strada? La strada della nostra personale conversione. Per grazia ci è accaduta la “fortuna” della fede e noi abbiamo avuto il “coraggio” di accoglierla. Non tratteniamola per noi. Offrirla ai nostri fratelli uomini è il modo più sicuro per non perderla.
«Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone» (Epistola, Tt 2,14). Il dono totale di sé da parte di Gesù per noi ci ottiene la libertà dei figli. L’appartenenza a Lui ci rende puri, non impeccabili, ma indomabili nell’affermare la volontà di bene. Amen.

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