CIPRIANI SETTIMO SDB"Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto..."

22 febbraio 2015 | 1a Domenica - T. Quaresima B | Appunti per la Lectio
Il periodo di Quaresima è come un lungo itinerario attraverso gli aspri sentieri del "deserto", con una più avvertita presenza di Dio nel silenzio degli uomini e delle cose, verso la luce splendente della Pasqua: essa viene offerta
da Dio come un "dono" completamente gratuito, ma nello stesso tempo come un premio che soltanto coloro, che non si saranno sperduti o scoraggiati nel faticoso cammino, hanno il diritto di ricevere. Una "terra promessa", dunque, la Pasqua, che sta a disposizione di ognuno che verso di essa si protende con tutta l'ansia della conquista faticosa e con tutto l'ardore di chi anela ad un gioioso "riposo" dopo l'arsura della lunga traversata.
L'intreccio di questi vari temi (la prova del deserto, l'esperienza di Dio, il rinnovamento dello spirito, la purificazione del cuore, ecc.) costituisce la trama di fondo delle tre letture bibliche che ci vengono proposte per questa prima Domenica di Quaresima.

Il "diluvio" e il nostro "battesimo"
La prima lettura è ripresa dalla Genesi (9,8-15) e ci descrive l'"alleanza" contratta da Dio con Noè ed i suoi figli, quali rappresentanti dell'umanità intera, dopo la devastazione del diluvio. Purificata dalle acque del diluvio, nasce un'umanità "nuova": con essa Dio si impegna, mediante il segno iridato e pacificante dell'"arcobaleno" (v. 13), a darle vita ed amore per sempre: "Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l'arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi... e non ci saranno più le acque del diluvio, per distruggere ogni carne" (vv. 14-15).
Non sarà dunque Dio a rompere il patto; ma l'uomo sarà capace di osservalo per sempre? Tutto il rischio sta da questa parte! La Quaresima vuole aiutarci a scoprire questa perenne ambiguità "rischiosa" che è nel cuore dell'uomo: il che implica l'invito ad una costante "conversione".

La seconda lettura, ripresa dalla prima lettera di Pietro (3,18-22), è collegata con la precedente per un richiamo "tipologico" al diluvio che, se per i più fu causa di perdizione, per altri, anche se pochi, fu causa di "salvezza", cioè per coloro che poterono entrare nell'arca con Noè: "Figura, questa, del battesimo che ora salva voi; esso non è rimozione di sporcizia del corpo, ma invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo..." (vv. 21-22).
È dalle acque del battesimo che, di mezzo al rottame e allo sfasciume del nostro "vecchio" uomo, nasce la "creazione" novella, che è già la Pasqua del Cristo "risorto" e la nostra: da parte del cristiano si tratterà precisamente di vivere secondo le esigenze della "buona coscienza" che la fede in Cristo ha formato in lui. La Quaresima dovrebbe essere uno sforzo di verificare, ed eventualmente di purificare, questa "buona coscienza", cioè l'impegno a vivere secondo le esigenze dell'amore e della fedeltà a Cristo, che ci siamo assunti nel battesimo.

Gesù "rimase nel deserto quaranta giorni, tentato da Satana"
Ma è soprattutto il brevissimo brano del Vangelo di Marco (1,12-15) che ci dà il senso drammatico e gioioso insieme della Quaresima, in quanto tempo di aspra lotta con Satana e anche tempo di vittoria e di trasformazione interiore, operata in noi dall'ascolto del Vangelo della salvezza.
Come si vede facilmente, il brano consta di due parti: il racconto della tentazione di Gesù nel deserto (vv. 12-13) e il primo annuncio del Vangelo nei suoi elementi più essenziali e di maggiore novità (vv. 14-15). È dal congiungimento di queste due parti che si può ricavare il significato "globale" della Quaresima, che la Liturgia intende proporci, anche se più indicativa rimane la prima parte del quadro, cioè il racconto della "tentazione" di Gesù.
Abbiamo detto la "tentazione" di Gesù. Ed è vero. Il testo di Marco, infatti, a differenza di quello di Matteo che pone come scopo del ritrovarsi di Gesù nel deserto proprio la tentazione ("Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo": 4,1), non si dilunga sulle famose tre tentazioni, come fanno gli altri Sinottici.1 Questo sta a significare che la sua attenzione è rivolta all'insieme del quadro e non ad un solo particolare: proprio per questo, pur nella sua tipica laconicità, il racconto di Marco appare più pregnante ed efficace.

Al primo posto rimane, in ogni modo, anche in Marco, il fatto della "tentazione" di Gesù ad opera di Satana (v. 13); anzi, da come si svolge il racconto, si ha l'impressione che essa sia durata per tutti i quaranta giorni della sua dimora nel deserto. Perciò una "tentazione" particolarmente dura ed affaticante, il primo scontro violento contro la forza del male, impersonata dal suo primo artefice e responsabile, Satana.
Più d'una volta incontreremo Gesù in contrasto con il suo avversario irriducibile, dalla guarigione dell'indemoniato di Cafarnao quando tutta la folla è presa dalla meraviglia perché "comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono" (1,27), al "rimprovero" che egli farà agli spiriti del male che tentano di svelarne il "segreto" alla gente forse per disorientarla (3,11-12), all'accusa di peccato "contro lo Spirito" per coloro che diabolicamente lo accusavano di "cacciare i demoni per mezzo del principe dei demoni" (3,22): è piuttosto vero il contrario, che cioè "il più forte" ormai è venuto ed è riuscito a "legare" l'avversario e a "saccheggiarne" la dimora (3,27)!

Questa grande lotta di Gesù contro Satana comincia proprio dal suo ritiro nel deserto.
Marco non ci dice il contenuto della lunga tentazione di Gesù, ma è facile intuirlo: deve essere stato un sottile gioco di illusione per indurre Gesù a un messianismo "facile" e trionfalistico, piuttosto che a quello "duro" che passerà per la croce. Proprio questa sarà la tentazione che si ripresenterà al Salvatore nell'agonia dell'orto e che egli di nuovo vincerà affidandosi completamente alla volontà del Padre: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu" (14,36).
E sarà anche questa la "tentazione" che assalirà quotidianamente i discepoli del Cristo, sino alla fine del mondo. Però egli ripete a tutti noi, soprattutto in questo tempo di Quaresima, quello che disse allora agli apostoli addormentati: "Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole" (14,38).

Oltre a Satana, "nel deserto" si trova anche Dio
Accanto a Satana, però, Cristo trova nel deserto anche una più intensa presenza di Dio, che gli dà forza a superare l'attacco frontale dell'avversario. E non per nulla Marco, come del resto fanno gli altri Sinottici, sottolinea esplicitamente che è lo Spirito Santo che "sospinse Gesù nel deserto" (v. 12): proprio quello Spirito, che era disceso sopra di lui in forma di colomba, poco prima, durante il battesimo ricevuto da Giovanni, consacrandolo in maniera definitiva "Figlio di Dio", non tanto ontologicamente quanto operativamente, vale a dire in modo che Gesù attuasse sempre e solo la volontà del Padre.

Ora il deserto, con la sua immensa solitudine parlante, mette a contatto diretto con Dio e svuota l'anima di tutte le sicurezze umane: il deserto è il luogo dell'impotenza dell'uomo, della fragilità, della sua "perdibilità" ad ogni momento, davanti a un agguato improvviso o allo smarrimento della direzione di marcia. È nel deserto, perciò, che si sente con prepotenza il bisogno di Dio.

Certamente Gesù obbedisce a questa esigenza di un più profondo e prolungato contatto con il Padre quando si ritira nel deserto per "quaranta giorni".
Il numero "quaranta" poi è un antico numero sacro nella Bibbia, e per di più collegato con l'esperienza del deserto: infatti Israele venne messo alla prova per quarant'anni nel deserto; per quaranta giorni e quaranta notti Mosè si intrattenne in cima al monte solo con Dio, pregando e digiunando; per quaranta giorni e quaranta notti Elia camminò attraverso il deserto fino al monte Oreb, sostenuto miracolosamente dal cibo apprestatogli da Dio.
Un periodo così lungo, dal quale deriva certamente l'ampiezza cronologica in cui è contenuta la nostra attuale Quaresima, sta a dire che un'esperienza di Dio è valida nella misura in cui è prolungata ed afferra la totalità del nostro essere: il disegno di Dio si scopre all'uomo, solo se questi si esercita a leggere in profondità il proprio cuore e, soprattutto, l'immensa profferta di amore fatta dal Padre celeste.

È per questo che, sull'esempio di Cristo, gli uomini che hanno fatto crescere la Chiesa hanno sempre ricercato ampi spazi di silenzio nella loro vita: a incominciare da san Paolo fino a Francesco d'Assisi, a Ignazio di Loyola, a padre Charles de Foucauld, o a padre Pio da Pietrelcina. La Quaresima deve riproporre a ciascuno di noi la via del "silenzio", la quale non è altro che un aspetto dell'esperienza del deserto, per incontrare di nuovo Dio: nel tumulto della nostra vita affannosa incontriamo il più delle volte solo la "contraffazione" del volto di Dio!

"Gesù stava con le fiere"
C'è un particolare curioso nella breve narrazione di Marco e che è esclusivo del secondo evangelista: "Gesù stava con le fiere" (v. 13). Che significato ha questa frase piuttosto strana?
Dato che Marco è così asciutto ed essenziale nel suo scrivere, non è a pensare che egli abbia voluto aggiungere una nota di colore per proporci in maniera più nitida lo sfondo del deserto; e tanto meno è a pensare che le "fiere" siano qui presentate come alleate di Satana nell'opera di seduzione del Cristo. "Si tratta di qualcosa di più: il Messia, il quale vive in intima comunione con Dio, ristabilisce la pace anche con le bestie feroci, che costituiscono per l'uomo un continuo pericolo. La frase può ben riecheggiare il Salmo 91, ma non nel senso di una vittoria sulle bestie "malvagie", quanto piuttosto nel senso di una riconciliazione con le creature di Dio. A dire il vero, il pensiero del "secondo Adamo" che ci riporta ai tempi del paradiso terrestre non affiora nel Vangelo di Marco. Ma si sa che per l'era messianica era atteso anche il ritorno alla mansuetudine di tutte le fiere; e il Messia pieno di Spirito di Dio sperimenta, nella sua lotta contro Satana, l'avverarsi di questa profezia".

Vincendo Satana, Cristo rinnova l'universo, rappacifica la creazione, riporta gli uomini a colloquio con Dio e fra di loro. L'ultima annotazione di Marco, che gli è comune con gli altri Sinottici, sugli angeli che "lo servivano" (v. 13), non vuole alludere soltanto ad una specie di "compiacimento" del Padre per la vittoria del Cristo sul male, per cui gli mette a disposizione i suoi "ministri", ma anche a questa universale "trasformazione" che l'azione e il messaggio di Gesù operano nel cuore degli uomini. In questo senso la scena del deserto è un'anticipazione programmatica della missione salvifica di Gesù, che Marco narrerà nel seguito del suo Vangelo.

"Convertitevi e credete al Vangelo"
Le prime parole dell'annuncio di Gesù, dopo la grande esperienza del deserto, non fanno altro che dilatare e proclamare al mondo la necessità di questa novità e trasformazione che egli per primo ha realizzato in sé nella sua titanica lotta contro Satana: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" (v. 15). La "vera" conversione, quella che la Quaresima esige da noi, è di restituire a Dio il primo posto nella nostra vita, cacciando Satana da ogni angolo, anche il più nascosto, della nostra esistenza.
 CIPRIANI SETTIMO

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