D. Mario MORRA SDB"La lebbra del peccato"

15 febbraio 2015 | 6a Domenica - T. Ordinario B | Omelia
Il brano del Vangelo di Marco di questa Domenica ci presenta un Gesù decisamente innovatore, rispetto alla mentalità del suo tempo ed alle stesse prescrizioni della Legge di Mosè, che risentivano di quella mentalità.

Dalla 1a lettura sentiamo che il lebbroso era un emarginato, un segregato dal consorzio civile e religioso. Come gli altri popoli primitivi, anche il popolo di Israele aveva imposto ai malati di lebbra il più completo isolamento, costringendoli a vivere lontano dai centri abitati, soli e spesso abbandonati.
Vi era certo in questo un'esigenza di autodifesa, una misura di prevenzione, per evitare il diffondersi del contagio.
Ma alla segregazione civile il popolo ebreo aveva aggiunto un'umiliazione più grande ed un'emarginazione di carattere religioso: la lebbra era considerata segno di maledizione da parte di Dio; il lebbroso era ritenuto un immondo, un impuro, colpito dalla maledizione di Dio per i suoi peccati. Per questo, in caso di guarigione, doveva presentarsi al sacerdote che aveva il compito di constatare e di autenticare la sua guarigione.
Gesù invece si lascia avvicinare dal lebbroso, è mosso da compassione per lui e lo tocca con le sue mani. Con questo, Gesù vuole dimostrare che il comportamento e la mentalità dei suoi contemporanei vanno cambiati. La malattia non è segno del castigo di Dio, e non è vero che, chi soffre, sconti sempre una colpa.
Forse questa idea è presente ancora ai nostri giorni: spesso siamo tentati anche noi di chiederci "che male ho fatto per essere punito così da Dio?"
È questa un'idea sbagliata che Gesù smentisce con il suo comportamento. Agli occhi di Dio non vi sono esclusi, rifiutati, emarginati, ma solo persone create a sua immagine e somiglianza, amate e riscattate dal sangue di Gesù.
Purtroppo a distanza di millenni, esistono ancora lebbrosi, e malati, in totale emarginazione. Oggi non sono più considerati dei peccatori, ma sono ugualmente dimenticati e ci fa meraviglia che, con tutti i mezzi che si hanno, idonei a vincere le malattie, poco o nulla si faccia in concreto in loro favore.
Oggi vi sono tante forme di emarginazione e di segregazione; non è neppure necessario elencarle, le conosciamo tutti: gli anziani soli e trascurati, i bambini abbandonati, i tossico dipendenti, gli immigrati, e tanti altri. Ma è anche troppo facile e comodo scaricare su altri la responsabilità di provvedervi.
Gesù con il suo comportamento verso il lebbroso ci invita prima di tutto ad abbattere, nella nostra mentalità, ogni muro di divisione e di emarginazione, tra persona e persona, costituito da pregiudizi; e poi ci insegna a tendere la mano a chi soffre, nel corpo o nello spirito, a non voltargli le spalle e a non essere indifferenti di fronte al dolore.
Se ognuno di noi saprà indirizzare in questo senso il suo modo di agire pratico avrà contribuito a migliorare la società nella quale viviamo, e della quale molto spesso ci lamentiamo.
Per questo ognuno di noi, come il lebbroso, ha bisogno di essere guarito dal proprio egoismo, dalla tendenza innata a considerare solo sé stesso, ed a pensare esclusivamente al proprio benessere ed alla propria tranquillità.
Imitiamo allora la fede del lebbroso che supplica in ginocchio Gesù e diciamo anche noi con lui: "Gesù, Tu puoi guarirmi"! Gesù non mancherà di guarire il nostro cuore e di darci un amore per i fratelli, grande come il suo.
La Madonna, che alle nozze di Cana è la prima ad accorgersi delle necessità di quei due sposi ed ottiene da Gesù, con il primo miracolo, l'anticipo della sua ora, che è ora di morte sul calvario, ci dia una sensibilità grande per interessarci di tutte le necessità dei fratelli e delle sorelle, perché il nostro cuore sia conforme al Cuore di Gesù.


D. Mario MORRA SDB

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