dom Luigi Gioia"Guarì molti che erano affetti da varie malattie"

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (08/02/2015)
Vangelo: Mc 1,29-39 
Una delle cose che colpisce maggiormente nella lettura del vangelo di Marco è che in esso Gesù parla poco. Nel vangelo di oggi in particolare ci è detto che Gesù predica nella sinagoga, ma non ci è dato il contenuto del suo insegnamento. C'è una sola frase di lui, due righe in tutto. Il resto di questa pagina evangelica invece ci mostra Gesù all'opera: va in una casa, si avvicina ad un malato, lo prende per mano e lo guarisce, guarisce altri malati, scaccia i
demoni, si alza al mattino presto, si ritira in un luogo deserto, prega, percorre tutta la Galilea.
E' sorprendente costatare quante azioni di Gesù sono descritte in questo passaggio.
Questo ci invita ad ampliare la nostra comprensione di cosa sia il Vangelo, la Buona Novella - perché questo è il significato della parola "vangelo" in greco: "buona notizia".
Spontaneamente identifichiamo il Vangelo con un insegnamento, con un annuncio. Questo è vero, ma non è tutto. Anzi, si può dire, in un certo senso, che questo è un significato secondario e meno importante della parola Vangelo. Infatti - come ce lo dice all'inizio della lettera agli Ebrei - Dio non ha atteso di farsi uomo, di incarnarsi in Gesù, per parlare, per dare la" buona notizia" che lui si occupa del suo popolo, lo ama, gli è fedele, lo vuole salvare. Come dice l'inizio della lettera agli Ebrei: Dio molte volte e in diversi modi nei tempi antichi ha parlato ai padri per mezzo dei profeti.
Dal punto di vista del contenuto l'Antico Testamento è molto più voluminoso del Nuovo Testamento. Basta prendere una bibbia per rendersi conto che la parte dedicata all'Antico Testamento è molto più spessa. E tante sono le forme attraverso le quali il Signore ha
parlato, ha manifestato il suo disegno e la sua volontà al suo popolo: le leggi, le profezie, le preghiere ispirate dei salmi, i proverbi, i poemi ecc.
Malgrado però il Signore avesse tanto parlato, prima della venuta di Gesù la rivelazione non era ancora completa. Mancava ancora qualcosa di fondamentale, qualcosa che non era possibile comunicare soltanto con delle parole. Continua infatti la lettera agli Ebrei: Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio.
Dopo aver parlato in tanti modi nel passato, ultimamente ha detto una parola definitiva, si è manifestato in modo definitivo, si è rivelato in modo definitivo attraverso il Figlio. C'è qualcosa che le parole non bastano a comunicare e che il Signore può dirci solo manifestandosi direttamente, solo facendosi vedere in Cristo Gesù.
Questo ce lo conferma l'inizio della prima lettera di Giovanni: Quello che da principio esisteva, quello che noi abbiamo udito, quello che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo, che le nostre mani toccarono, il Verbo della vita, noi lo annunciamo anche a voi, perché siate in comunione con noi.
L'annuncio di cui parla Giovanni non si riferisce solo alla trasmissione di quello che gli apostoli hanno udito. L'esperienza che vogliono trasmettere di Gesù non consiste solo nelle parole che hanno sentito da lui, ma più profondamente in quello che hanno visto con gli occhi, in quello che hanno toccato con le mani. Hanno toccato - dice Giovanni - il Verbo di vita, o piuttosto, si sono fatti toccare da lui.
Ed infatti, uno degli aspetti più importanti del ministero di Gesù, testimoniato appunto nel vangelo di oggi, uno dei modi attraverso i quali Gesù agisce, ci guarisce, ci salva, è proprio questo: toccarci. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei, allora Gesù si avvicina, la fa alzare e la prende per la mano, e immediatamente la febbre la lascia.
Questo prendere per mano ricorre diverse volte nel vangelo di Marco. Lo vediamo per la bambina che è morta. Gesù entra nella sua stanza, la prende per la mano, e le dice: «Talità kum», che significa fanciulla, io ti dico: «alzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava. Stessa cosa a Betsàida. Gli conducono un cieco, lo pregano di toccarlo, e Gesù prende il cieco per mano e lo conduce fuori dal villaggio e lì, dopo aver messo della saliva sui suoi occhi, gli impone le mani e lo guarisce. Stessa cosa per il fanciullo affetto da crisi epilettiche: Gesù lo prende per mano, lo fa alzare ed egli stette in piedi ed era guarito. E poi
ancora nel caso del lebbroso, del quale è detto che Gesù ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato.»
Tante dunque sono le testimonianze nel vangelo di Marco secondo le quali Gesù prende per mano, Gesù tocca, Gesù si avvicina a noi.
Questo vuol dire allora che c'è un insegnamento che le parole non bastano ad esprimere o piuttosto che le parole non ci bastano. Non abbiamo bisogno solo di parole, abbiamo bisogno di essere toccati, abbiamo bisogno di essere presi per mano dal Signore.
Prendere per mano è un gesto carico di significato. Chi prendiamo per mano? Prendiamo per mano dei bambini. Prendiamo per mano delle persone deboli, delle persone in difficoltà. Prendiamo la mano di persone che vogliamo consolare, confortare. E' come se ci fosse qualcosa che si trasmette, quando si prende una mano, che le parole non possono da sole esprimere. Non è solo un aiuto. Prendere per mano esprime compassione, implicazione personale, sostegno. Più ancora, è una maniera di mettere la propria forza, la propria energia, il proprio calore, al servizio di un'altra persona. Quando si prende per mano, si trasmette calore. Quando si prende per mano per tirare, si trasmette una forza: metto la mia forza al servizio dell'altra persona che non ha forza. Chi è prostrato fisicamente o moralmente, chi è a letto, chi è caduto per terra e non ha più la forza di rialzarsi, è condannato all'immobilità, alla solitudine, alla disperazione. A nulla serve in questi casi il semplice incoraggiare, Il Vangelo quindi non è solo, né prima di tutto quello che Gesù dice, ma quello che Gesù fa, quello che Gesù opera. E, ancora più profondamente, quello che Gesù è.
L'inizio del vangelo di Marco lo attesta fin dalla sua prima frase che in greco è formulata in modo tale da poter avere due significati: Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Però questa stessa frase può infatti essere tradotta dal greco in un altro modo: Inizio del vangelo che è Gesù Cristo, Figlio di Dio.
Il vangelo non è solo quello che Gesù dice. Gesù stesso è il vangelo, Gesù stesso è la buona novella. Per questo la trasmissione del vangelo non si fa solo con delle parole, ma anche con degli atti, dei gesti.
Abbiamo certamente bisogno di ascoltare la Parola, ma anche e soprattutto di nutrirci del corpo di Cristo, di ritrovare la forza e la salute dopo il peccato, grazie al sacramento di penitenza. Il vangelo si trasmette ancora attraverso le attività caritative della comunità cristiana. La chiesa, ogni cristiano, annunciano il vangelo, prima di tutto, quando anch'essi tendono la mano. Anche quando essi prendono per mano chi è nel bisogno. Consolano chi è nella sofferenza fisica e morale, con la consolazione che hanno ricevuto loro stessi da Cristo.
Solo in questo modo il nostro annuncio del vangelo diventa credibile.
Dobbiamo lasciarci prendere per mano da Gesù, lasciarci toccare da lui. Il modo nel quale ci tocca sono i sacramenti, l'eucarestia, il suo perdono, una vita di preghiera, nella quale più che dire delle cose a Dio, siamo nella sua presenza e lasciamo che ci tocchi il cuore. Annunciamo il vangelo prendendo per mano coloro che sono nel bisogno.
Quando era amareggiato il mio cuore e i miei reni trafitti dal dolore
e io ero insensato e non capivo e stavo davanti a te, Signore, come una bestia,
ebbene, in quel momento ho scoperto che tu sei sempre con me, che io sono sempre con te. Tu mi hai preso per la mano destra.
Mi guiderai, Signore, secondo i tuoi disegni e poi mi accoglierai nella gloria.
Chi altri avrò per me nel cielo? Con te, Signore, non desidero nulla sulla terra.
Vengono meno la mia carne e il mio cuore, ma Dio è la mia roccia per sempre.
Ecco, si perderà chiunque da te si allontana. Per me il mio bene è stare vicino a Dio:
nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le tue opere. Sal 73 (72)
spronare. A cosa serve andare vicino a qualcuno che è paralitico, è a terra, e dirgli: "ti devi alzare e devi andare"? La persona non ha la forza necessaria per reagire, per mettersi in piedi. La stessa cosa vale per coloro che sono prostrati moralmente, che sono stati vittime di circostanze difficili, di prove terribili nella loro vita e che non riescono a reagire. A nulla serve andare da queste persone e dire: "devi reagire". Queste persone non hanno la forza necessaria per reagire. Bisogna prestare loro un po' della nostra forza. Bisogna prenderli per mano, tirarli, rimetterli in piedi.
Noi possiamo farlo un po', ma solo Gesù lo fa in modo pienamente efficace. Gesù ci raggiunge - come per la suocera di Pietro - fin nel nostro letto, fin nella solitudine, nello scoraggiamento, nella povertà nelle quali siamo relegati. E prima di dirci qualsiasi cosa, ci prende per la mano, ci comunica la sua forza, la sua vita, il suo calore, il suo amore.
Il Vangelo è Buona Novella perché prima di parlare, il Signore ci guarisce dalle nostre sordità, dalle nostre paralisi, dalla lebbra del peccato. Prima di parlare, il Signore ci ristora, ci ricrea, ci dà un cuore nuovo. Prima di parlare, il Signore invia il suo Spirito nei nostri cuori, ci nutre del suo corpo e del suo sangue e ci comunica così la sua forza, la vita divina.

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