don Alberto Brignoli "La tentazione non è finita"
II Domenica di Quaresima (Anno B) (01/03/2015)
Vangelo: Mc 9,2-10
Certo, per noi è tutto più semplice, dal momento che conosciamo già il finale... È come guardare un film sapendo già come va a finire: perdi la passione, il pathos, quel coinvolgimento che ti immedesima col protagonista facendoti sperimentare ciò che lui sperimenta. Sapere già il finale non ti coinvolge emotivamente, tutto è più semplice anche da capire e da spiegare, nel momento in cui la scena ti passa davanti. Per cui oggi, a noi, dopo duemila anni di Gesù Cristo, di quel Dio
che non può desiderare la sofferenza e il dolore, perché è il Dio della Vita - lo dicevamo due domeniche fa, mentre Gesù sanava il lebbroso -, il film della vicenda dolorosa di Abramo sui monti di Moria non ci coinvolge: sapendo già come andrà a finire, non ci costa più di tanto sentire una frase del tipo "Prendi il tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco...e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò". Di certo, né Abramo né il malcapitato Isacco avevano letto Genesi 22: e vivere quel momento accettando di fare secondo quanto Dio aveva detto loro è stata senza dubbio un'esperienza che ha trasformato la loro vita, quei fatidici attimi nei quali perdi, in pochi minuti, vent'anni di vita.
Lo dicevo all'inizio: facciamo alla svelta, noi, a parlare di "prova della fede", per quanto riguarda Abramo. Ma chissà cosa deve significare, per un padre, sentirsi dire che il suo figlio, l'unico, avuto in tarda età e contro ogni speranza, il figlio promesso come capostipite di una lunga discendenza, deve tornare a Dio, deve morire, perché è Dio che vuole così...Di fronte a una cosa del genere, la tentazione più grande è quella di mandare letteralmente Dio a quel paese...Dio, e tutta la sua discendenza! "Chissà cosa sarà mai saltato in mente a Dio!", ci viene spontaneo dire. Forse, il testo biblico ci aiuta a comprendere qualcosa dell'atteggiamento di Dio.
I biblisti ci dicono che il verbo "mettere alla prova" usato in questo brano di Genesi corrisponde al verbo che gli evangelisti usano per descrivere le tentazioni di satana a Gesù, come abbiamo ascoltato domenica scorsa. Dio, quindi, non sta "mettendo alla prova" Abramo, sta facendo molto di più: lo sta "tentando". Che cosa significa? Evidentemente, sta cercando una prova della grande fede di Abramo, perché giustamente con la presenza di Isacco, Dio deve compiere la promessa di dare ad Abramo una discendenza, di farlo capostipite del suo popolo. Per questo, vuole essere sicuro di ciò che sta per fare, vuole vagliare la sua fede tentando di farlo crollare, giocando con lui a una specie di scommessa: se sei capace di scommettere per me la vita di tuo figlio, vuole dire che io posso davvero fidarmi di te e del popolo che da te nascerà, altrimenti il corso della storia cambia. Come sarebbe stata, infatti, la storia della salvezza, se Abramo avesse detto di no a Dio, salvaguardando la vita di Isacco? Sarebbe comunque nato da lui il popolo dell'alleanza?
Ma Abramo non cede alla tentazione di dire di no a Dio, cosa che sarebbe stata disonorevole per un uomo di fede, ma profondamente giusta e umana; e accetta la scommessa, accetta di giocare con Dio sulla vita del figlio, con la convinzione interiore che "Dio provvederà" a salvarlo (così risponde a Isacco, quando questi gli chiede di che sarà il sacrificio). Del resto, non è la prima volta che Abramo "gioca" con Dio sulle sorti del popolo e dell'umanità, l'ha già fatto "tirando" sul numero dei giusti presenti a Sodoma e Gomorra. È interessante quello che sta per fare Dio con Abramo. Dio sa bene che Abramo si fida di lui; ora però vuole di più, vuole sapere se egli può fidarsi di Abramo, e allora gli chiede l'impossibile, l'uccisione del figlio. Abramo si trova di fronte a un duplice dramma: la morte del figlio o la morte del popolo prima ancora che nasca, non c'è alternativa. Qui avviene la trasformazione, la "trasfigurazione" di Abramo: la tentazione cui Dio lo sottopone trasforma Abramo da uomo di fede a uomo di Dio, a uomo tanto vicino a Dio da giungere a ragionare come lui. Infatti, Abramo fa lo stesso che fa Dio con lui: obbedendo alla richiesta di Dio, vuole verificare se può veramente fidarsi di lui, e lo fa rischiando, accettando di far vedere a Dio che lui è fedele fino in fondo. Come a dire: "Io ti faccio vedere che mi fido di te, però tu dimostrami che anche tu ti fidi di me".
Questo gioco, questa sfida tra Dio e Abramo a colpi di "tentazioni" termina con due vincitori; la sfida a colpi di tentazioni tra satana e Gesù, invece, termina con la sconfitta di satana, al quale, in fondo, non importa nulla di verificare se può fidarsi di Gesù. Vuole solo farlo crollare, vuole sconfiggerlo: non ci riuscì nel deserto, ci riproverà nel Getsemani e sul Calvario, invitando Gesù a fuggire da quell'ora. Ne uscirà nuovamente sconfitto. Non così Abramo, vincitore quanto Dio in questa sfida a colpi di tentazioni.
Abramo, dicevo, ne uscirà talmente trasfigurato che da quel momento in poi in sostanza sparisce di scena, non parlerà più con Dio, nel libro della Genesi: non ce ne sarà più bisogno, la promessa è compiuta. Anche Gesù esce trasfigurato dalla prova delle tentazioni, perché sa che la promessa è compiuta, Dio si fida di lui e gli è fedele.
Ora tocca a noi uscire trasfigurati dalle prove della vita, dalla tentazione di rinchiudere Dio nei nostri schemi, dalla tentazione di mettere Dio a dormire in una tenda per sentirci al sicuro con lui. Gesù oggi ci mostra già il finale del film (la Trasfigurazione, di fatto, altro non è che un anticipo della Resurrezione), ma non lo fa per farci perdere il pathos, la passione, l'entusiasmo, al contrario, lo fa perché non ci perdiamo d'animo: evidentemente, sa bene che la nostra fede non è quella di Abramo, e che la strada è ancora lunga.
Vangelo: Mc 9,2-10
Certo, per noi è tutto più semplice, dal momento che conosciamo già il finale... È come guardare un film sapendo già come va a finire: perdi la passione, il pathos, quel coinvolgimento che ti immedesima col protagonista facendoti sperimentare ciò che lui sperimenta. Sapere già il finale non ti coinvolge emotivamente, tutto è più semplice anche da capire e da spiegare, nel momento in cui la scena ti passa davanti. Per cui oggi, a noi, dopo duemila anni di Gesù Cristo, di quel Dio
che non può desiderare la sofferenza e il dolore, perché è il Dio della Vita - lo dicevamo due domeniche fa, mentre Gesù sanava il lebbroso -, il film della vicenda dolorosa di Abramo sui monti di Moria non ci coinvolge: sapendo già come andrà a finire, non ci costa più di tanto sentire una frase del tipo "Prendi il tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco...e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò". Di certo, né Abramo né il malcapitato Isacco avevano letto Genesi 22: e vivere quel momento accettando di fare secondo quanto Dio aveva detto loro è stata senza dubbio un'esperienza che ha trasformato la loro vita, quei fatidici attimi nei quali perdi, in pochi minuti, vent'anni di vita.
Lo dicevo all'inizio: facciamo alla svelta, noi, a parlare di "prova della fede", per quanto riguarda Abramo. Ma chissà cosa deve significare, per un padre, sentirsi dire che il suo figlio, l'unico, avuto in tarda età e contro ogni speranza, il figlio promesso come capostipite di una lunga discendenza, deve tornare a Dio, deve morire, perché è Dio che vuole così...Di fronte a una cosa del genere, la tentazione più grande è quella di mandare letteralmente Dio a quel paese...Dio, e tutta la sua discendenza! "Chissà cosa sarà mai saltato in mente a Dio!", ci viene spontaneo dire. Forse, il testo biblico ci aiuta a comprendere qualcosa dell'atteggiamento di Dio.
I biblisti ci dicono che il verbo "mettere alla prova" usato in questo brano di Genesi corrisponde al verbo che gli evangelisti usano per descrivere le tentazioni di satana a Gesù, come abbiamo ascoltato domenica scorsa. Dio, quindi, non sta "mettendo alla prova" Abramo, sta facendo molto di più: lo sta "tentando". Che cosa significa? Evidentemente, sta cercando una prova della grande fede di Abramo, perché giustamente con la presenza di Isacco, Dio deve compiere la promessa di dare ad Abramo una discendenza, di farlo capostipite del suo popolo. Per questo, vuole essere sicuro di ciò che sta per fare, vuole vagliare la sua fede tentando di farlo crollare, giocando con lui a una specie di scommessa: se sei capace di scommettere per me la vita di tuo figlio, vuole dire che io posso davvero fidarmi di te e del popolo che da te nascerà, altrimenti il corso della storia cambia. Come sarebbe stata, infatti, la storia della salvezza, se Abramo avesse detto di no a Dio, salvaguardando la vita di Isacco? Sarebbe comunque nato da lui il popolo dell'alleanza?
Ma Abramo non cede alla tentazione di dire di no a Dio, cosa che sarebbe stata disonorevole per un uomo di fede, ma profondamente giusta e umana; e accetta la scommessa, accetta di giocare con Dio sulla vita del figlio, con la convinzione interiore che "Dio provvederà" a salvarlo (così risponde a Isacco, quando questi gli chiede di che sarà il sacrificio). Del resto, non è la prima volta che Abramo "gioca" con Dio sulle sorti del popolo e dell'umanità, l'ha già fatto "tirando" sul numero dei giusti presenti a Sodoma e Gomorra. È interessante quello che sta per fare Dio con Abramo. Dio sa bene che Abramo si fida di lui; ora però vuole di più, vuole sapere se egli può fidarsi di Abramo, e allora gli chiede l'impossibile, l'uccisione del figlio. Abramo si trova di fronte a un duplice dramma: la morte del figlio o la morte del popolo prima ancora che nasca, non c'è alternativa. Qui avviene la trasformazione, la "trasfigurazione" di Abramo: la tentazione cui Dio lo sottopone trasforma Abramo da uomo di fede a uomo di Dio, a uomo tanto vicino a Dio da giungere a ragionare come lui. Infatti, Abramo fa lo stesso che fa Dio con lui: obbedendo alla richiesta di Dio, vuole verificare se può veramente fidarsi di lui, e lo fa rischiando, accettando di far vedere a Dio che lui è fedele fino in fondo. Come a dire: "Io ti faccio vedere che mi fido di te, però tu dimostrami che anche tu ti fidi di me".
Questo gioco, questa sfida tra Dio e Abramo a colpi di "tentazioni" termina con due vincitori; la sfida a colpi di tentazioni tra satana e Gesù, invece, termina con la sconfitta di satana, al quale, in fondo, non importa nulla di verificare se può fidarsi di Gesù. Vuole solo farlo crollare, vuole sconfiggerlo: non ci riuscì nel deserto, ci riproverà nel Getsemani e sul Calvario, invitando Gesù a fuggire da quell'ora. Ne uscirà nuovamente sconfitto. Non così Abramo, vincitore quanto Dio in questa sfida a colpi di tentazioni.
Abramo, dicevo, ne uscirà talmente trasfigurato che da quel momento in poi in sostanza sparisce di scena, non parlerà più con Dio, nel libro della Genesi: non ce ne sarà più bisogno, la promessa è compiuta. Anche Gesù esce trasfigurato dalla prova delle tentazioni, perché sa che la promessa è compiuta, Dio si fida di lui e gli è fedele.
Ora tocca a noi uscire trasfigurati dalle prove della vita, dalla tentazione di rinchiudere Dio nei nostri schemi, dalla tentazione di mettere Dio a dormire in una tenda per sentirci al sicuro con lui. Gesù oggi ci mostra già il finale del film (la Trasfigurazione, di fatto, altro non è che un anticipo della Resurrezione), ma non lo fa per farci perdere il pathos, la passione, l'entusiasmo, al contrario, lo fa perché non ci perdiamo d'animo: evidentemente, sa bene che la nostra fede non è quella di Abramo, e che la strada è ancora lunga.
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