don Alberto Brignoli "Non ci ha creati per fare a meno di Lui"
I Domenica di Quaresima (Anno B) (22/02/2015)
Vangelo: Mc 1,12-15
Ho una confidenza da fare, e so di essere poco rispettoso: non tutti i libri della Bibbia mi piacciono, non tutti li trovo profondi e interessanti. E tra questi, ci metto pure il Vangelo di Marco. Quando confidai questa cosa a un amico biblista, rimarcando la mia simpatia per Luca e Giovanni, mi diede letteralmente dell'ignorante, e non ho problemi ad ammetterlo: Marco è un testo
fondamentale per la comprensione del Nuovo Testamento e della figura di Gesù, ma io continuo a ribadire che fatico ad innamorarmi del suo Vangelo... Ed oggi, in modo particolare, mi viene da dire questo di fronte al racconto delle tentazioni di Gesù così come Marco, appunto, ce le presenta: secondo il suo stile essenziale, scarno, con pochissime parole, in meno di due versetti. A fronte delle narrazioni di Luca e di Matteo, dove il dialogo tra Gesù e il tentatore si fa avvincente, drammatico, con elementi scenografici e spazio-temporali di sicuro effetto (prima il deserto, poi il pinnacolo del tempio, poi l'alto monte, con tutta la loro carica simbolica, e con Satana che se ne va e promette di tornare al tempo fissato); non solo, ma i continui riferimenti alla Parola di Dio, sia da parte di Gesù, sia da parte del nemico che denota di conoscere bene Dio, portano il lettore ad avere dei chiari punti di riferimento per quello che diviene poi il cammino di preparazione alla Pasqua. In Marco nulla di tutto questo, purtroppo: e allora, è forte la tentazione di pensare (come a me capita) che la sua narrazione dica e insegni poco o nulla riguardo alle prove che Gesù (e noi con lui) deve affrontare nella sua vita.
Già, è proprio una tentazione, quella di considerare alcuni brani della Parola di Dio poco incisivi, poco interessanti, poco utili. E allora, diventa più facile andare alla ricerca di brani accattivanti, di testi più semplici o più stimolanti: cosa che facciamo puntualmente, soprattutto noi addetti ai lavori. Considerato che Matteo e Luca hanno nelle loro narrazioni una frase divenuta talmente famosa da essere spesso usata come "slogan" della prima domenica di Quaresima ("Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio"), allora accogliere brani biblici che a noi sembrano dire poco diviene un impegno per il nostro cammino di Quaresima; ovvero, quello di entrare in contatto stretto, costante, con la Parola di Dio - papa Francesco ce lo ha chiesto più volte - attraverso una lettura continuata, assidua, intensa, anche e soprattutto quando costa fatica, quando non ci piace, quando preferiremmo ascoltare o leggere brani della Bibbia che riteniamo più consoni alle nostre esigenze.
Eh, sì, perché questa è una delle grandi tentazioni del nostro rapporto con Dio: ascoltare di lui e da lui solo ciò che a noi piace, ciò che a noi conviene, ciò che ci torna utile, una sorta di tentativo di "tenere in pugno Dio". E probabilmente, questa è stata, lungo tutta la sua vita, pure la grande tentazione di Gesù: sfruttare il suo essere Figlio di Dio per sostituirsi al Padre, per assumere notorietà, per "essere come Dio", facendo a meno di lui. Va detto che nessuno, meglio di Marco, descrive la figliolanza divina come caratteristica fondamentale di Gesù: sin dal primo versetto, per poi arrivare a proclamarlo sotto la croce per bocca del centurione romano, il suo Vangelo ha come scopo quello di annunciare che Gesù non è solo un grande profeta, ma il Figlio di Dio, e da questo non si può prescindere. A questo proposito, la narrazione delle tentazioni che abbiamo ascoltato - e qui mi rimangio la mia non predilezione nei confronti di Marco - è di straordinaria ricchezza.
I concetti fondamentali sono due: è lo Spirito che "sospinge Gesù nel deserto", ed egli, nel deserto, "stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano". Che le tentazioni nel deserto siano opera dello Spirito, lo dicono anche gli altri sinottici, ma in Marco colpisce la veemenza, quasi la violenza con cui lo Spirito fa questo "subito dopo" il suo Battesimo nel Giordano, in cui Gesù viene proclamato da Dio "suo Figlio amato e prediletto": è come se lo Spirito, per evitare che Gesù si sentisse autorizzato a fare da sé in quanto "eletto", lo obbligasse a ritornare al suo rapporto originario con Dio, che Marco descrive attraverso una specie di identificazione di Gesù con Adamo, con l'uomo dell'Eden, che viveva in piena armonia con il Creato (gli animali) ed era servito e riverito da Dio e dai suoi angeli, attraverso un legame idilliaco, vitale, fondamentale con lui, fin quando Adamo (anch'egli, guarda un po', tentato dall'avversario) decide di fare a meno di Dio.
È questa la tentazione fondamentale da cui Dio vuole che suo Figlio stia in guardia: quella di fare a meno di lui in virtù del suo potere e della sua fama, e i miracoli che da subito Gesù compie nel Vangelo di Marco - la liberazione dell'indemoniato, la guarigione della suocera di Pietro e di tutti i malati, la purificazione del lebbroso - rischiano di farlo cadere in questa tentazione. Che è poi la stessa tentazione da cui l'evangelista vuole che noi, discepoli del Maestro, ci guardiamo: quella di fare a meno di Dio, o comunque di servirci di lui, di prendere di Dio solo ciò che vogliamo, ciò che a noi serve, ciò che ci fa comodo, indipendentemente da ciò che Dio dice o pensa per la nostra salvezza.
Ecco quindi che "il tempo compiuto", ovvero l'imminenza del Regno di Dio (è il primo annuncio di Gesù), ci sospinge a ritrovare il nostro originario rapporto con Dio, a mettere in atto una conversione e a credere in un Vangelo che, fondamentalmente, annuncia che Gesù è il Figlio di Dio e che anche noi siamo figli nel Figlio. Usare Dio per i nostri scopi, usare la sua Parola solo quando ci fa piacere, usare il Creato per esercitare su di esso il nostro dominio, sono le grandi tentazioni della nostra vita di credenti. La Quaresima ci dà una mano a ricreare quell'alleanza che Dio fece con Noè dopo il diluvio, e che noi siamo continuamente tentati di infrangere per via del nostro desiderio di indipendenza e di onnipotenza.
Vangelo: Mc 1,12-15
Ho una confidenza da fare, e so di essere poco rispettoso: non tutti i libri della Bibbia mi piacciono, non tutti li trovo profondi e interessanti. E tra questi, ci metto pure il Vangelo di Marco. Quando confidai questa cosa a un amico biblista, rimarcando la mia simpatia per Luca e Giovanni, mi diede letteralmente dell'ignorante, e non ho problemi ad ammetterlo: Marco è un testo
fondamentale per la comprensione del Nuovo Testamento e della figura di Gesù, ma io continuo a ribadire che fatico ad innamorarmi del suo Vangelo... Ed oggi, in modo particolare, mi viene da dire questo di fronte al racconto delle tentazioni di Gesù così come Marco, appunto, ce le presenta: secondo il suo stile essenziale, scarno, con pochissime parole, in meno di due versetti. A fronte delle narrazioni di Luca e di Matteo, dove il dialogo tra Gesù e il tentatore si fa avvincente, drammatico, con elementi scenografici e spazio-temporali di sicuro effetto (prima il deserto, poi il pinnacolo del tempio, poi l'alto monte, con tutta la loro carica simbolica, e con Satana che se ne va e promette di tornare al tempo fissato); non solo, ma i continui riferimenti alla Parola di Dio, sia da parte di Gesù, sia da parte del nemico che denota di conoscere bene Dio, portano il lettore ad avere dei chiari punti di riferimento per quello che diviene poi il cammino di preparazione alla Pasqua. In Marco nulla di tutto questo, purtroppo: e allora, è forte la tentazione di pensare (come a me capita) che la sua narrazione dica e insegni poco o nulla riguardo alle prove che Gesù (e noi con lui) deve affrontare nella sua vita.
Già, è proprio una tentazione, quella di considerare alcuni brani della Parola di Dio poco incisivi, poco interessanti, poco utili. E allora, diventa più facile andare alla ricerca di brani accattivanti, di testi più semplici o più stimolanti: cosa che facciamo puntualmente, soprattutto noi addetti ai lavori. Considerato che Matteo e Luca hanno nelle loro narrazioni una frase divenuta talmente famosa da essere spesso usata come "slogan" della prima domenica di Quaresima ("Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio"), allora accogliere brani biblici che a noi sembrano dire poco diviene un impegno per il nostro cammino di Quaresima; ovvero, quello di entrare in contatto stretto, costante, con la Parola di Dio - papa Francesco ce lo ha chiesto più volte - attraverso una lettura continuata, assidua, intensa, anche e soprattutto quando costa fatica, quando non ci piace, quando preferiremmo ascoltare o leggere brani della Bibbia che riteniamo più consoni alle nostre esigenze.
Eh, sì, perché questa è una delle grandi tentazioni del nostro rapporto con Dio: ascoltare di lui e da lui solo ciò che a noi piace, ciò che a noi conviene, ciò che ci torna utile, una sorta di tentativo di "tenere in pugno Dio". E probabilmente, questa è stata, lungo tutta la sua vita, pure la grande tentazione di Gesù: sfruttare il suo essere Figlio di Dio per sostituirsi al Padre, per assumere notorietà, per "essere come Dio", facendo a meno di lui. Va detto che nessuno, meglio di Marco, descrive la figliolanza divina come caratteristica fondamentale di Gesù: sin dal primo versetto, per poi arrivare a proclamarlo sotto la croce per bocca del centurione romano, il suo Vangelo ha come scopo quello di annunciare che Gesù non è solo un grande profeta, ma il Figlio di Dio, e da questo non si può prescindere. A questo proposito, la narrazione delle tentazioni che abbiamo ascoltato - e qui mi rimangio la mia non predilezione nei confronti di Marco - è di straordinaria ricchezza.
I concetti fondamentali sono due: è lo Spirito che "sospinge Gesù nel deserto", ed egli, nel deserto, "stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano". Che le tentazioni nel deserto siano opera dello Spirito, lo dicono anche gli altri sinottici, ma in Marco colpisce la veemenza, quasi la violenza con cui lo Spirito fa questo "subito dopo" il suo Battesimo nel Giordano, in cui Gesù viene proclamato da Dio "suo Figlio amato e prediletto": è come se lo Spirito, per evitare che Gesù si sentisse autorizzato a fare da sé in quanto "eletto", lo obbligasse a ritornare al suo rapporto originario con Dio, che Marco descrive attraverso una specie di identificazione di Gesù con Adamo, con l'uomo dell'Eden, che viveva in piena armonia con il Creato (gli animali) ed era servito e riverito da Dio e dai suoi angeli, attraverso un legame idilliaco, vitale, fondamentale con lui, fin quando Adamo (anch'egli, guarda un po', tentato dall'avversario) decide di fare a meno di Dio.
È questa la tentazione fondamentale da cui Dio vuole che suo Figlio stia in guardia: quella di fare a meno di lui in virtù del suo potere e della sua fama, e i miracoli che da subito Gesù compie nel Vangelo di Marco - la liberazione dell'indemoniato, la guarigione della suocera di Pietro e di tutti i malati, la purificazione del lebbroso - rischiano di farlo cadere in questa tentazione. Che è poi la stessa tentazione da cui l'evangelista vuole che noi, discepoli del Maestro, ci guardiamo: quella di fare a meno di Dio, o comunque di servirci di lui, di prendere di Dio solo ciò che vogliamo, ciò che a noi serve, ciò che ci fa comodo, indipendentemente da ciò che Dio dice o pensa per la nostra salvezza.
Ecco quindi che "il tempo compiuto", ovvero l'imminenza del Regno di Dio (è il primo annuncio di Gesù), ci sospinge a ritrovare il nostro originario rapporto con Dio, a mettere in atto una conversione e a credere in un Vangelo che, fondamentalmente, annuncia che Gesù è il Figlio di Dio e che anche noi siamo figli nel Figlio. Usare Dio per i nostri scopi, usare la sua Parola solo quando ci fa piacere, usare il Creato per esercitare su di esso il nostro dominio, sono le grandi tentazioni della nostra vita di credenti. La Quaresima ci dà una mano a ricreare quell'alleanza che Dio fece con Noè dopo il diluvio, e che noi siamo continuamente tentati di infrangere per via del nostro desiderio di indipendenza e di onnipotenza.
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