don Giorgio Scatto"In Gesù agisce Dio, amico e liberatore degli uomini "
Gb 7,1-7 1Cor 9,16-23 Mc 1,29-39
Il brano della lettera di Paolo ai Corinzi che è proposto nella liturgia odierna è di una sorprendente attualità. Si tratta, infatti, dell’annuncio efficace del vangelo, che può essere fortemente compromesso dal rapporto, ancora piuttosto frequente, tra ministero della Parola e richiesta di una ricompensa, alla stregua di chi, per mestiere, fa il conferenziere.
Ricordo di un vescovo che, dopo una sua relazione sul vangelo della famiglia presso un’università cattolica all’estero, disse al suo segretario:<< Sul mercato americano una mia conferenza vale almeno cinquemila dollari >>. Appunto, sul mercato! Avevano già venduto il corpo del Signore per molto meno, solo per trenta denari, il prezzo di uno schiavo, e si continua a barattare, come se il vangelo fosse una merce di scambio, un prodotto come un altro da immettere sul mercato delle parole. Paolo ammette, comunque, come il Signore avesse disposto che quelli che annunciano il vangelo vivessero del vangelo ( 9,14). Tuttavia, per “non mettere ostacoli al vangelo di Cristo” egli rinuncia liberamente a tutti i suoi diritti: “Io non mi sono avvalso di alcuno di questi diritti” (9,15). Si trattava, in particolare, del diritto di non lavorare, ricevendo quanto necessario come ricompensa dell’impegno apostolico, e del diritto di avere con sé “una donna credente” al proprio seguito, come facevano “anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa” (9,5). Per Paolo il ‘vanto’ non è l’annuncio del vangelo; questo lo facevano anche gli altri. Il suo vanto è annunciarlo gratuitamente, senza la pretesa di una ricompensa, di un certo guadagno, rendendo così visibile l’azione gratuita e potente di Dio, rivelata in Gesù crocifisso.
Il compito di annunciare il vangelo non è il frutto di una libera scelta individuale. A Paolo è stato imposto dal Signore, come un comando che lo schiavo riceve dal suo padrone. Dunque, nessuna pretesa, nessuna ricompensa. Se mai, il criterio che regola il suo modo di agire nei confronti delle comunità nelle quali svolge il suo ministero, è quello di una gratuità assoluta: questo è il suo vanto e la sua ricompensa. Una libertà che si attualizza poi nella solidarietà affettuosa e totale con coloro - ebrei e pagani – ai quali annuncia il vangelo: <<Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno>>. Sì, quanto mai attuale. E urgente.
Tra la sinagoga di Cafarnao e la casa di Pietro ci sono poche decine di metri, scendendo verso il lago di Tiberiade. Tutto è stato messo in luce da recenti scavi archeologici condotti dai francescani Virgilio Corbo (1968-1986) e Stanislao Loffreda (2000-2004). Sono finora emersi dodici complessi di case raggruppate in piccoli quartieri delimitati da strade. Le case, per più famiglie dello stesso clan, erano organizzate con diverse stanze di abitazione, anche intercomunicanti, disposte attorno ad un cortile centrale. Gesù era ospite stabile della casa che Pietro condivideva con la suocera e con Andrea. Avviene, quel giorno si sabato, che questa donna sia a letto con la febbre, e il discorso di tutti, uscendo dalla sinagoga, cade su di lei. Si apre una scena di delicata tenerezza che ci presenta il volto ‘umano’ di chi poc’anzi aveva gridato con forza allo spirito immondo: <<Taci! Esci da costui!>>. Gesù si fa vicino al letto, non dice nemmeno una parola ma si limita a prendere la donna per la mano e aiutarla ad alzarsi. Ma forse non è solo così. In quel gesto – e nel verbo usato (la sollevò) possiamo leggere, come un dono mostrato in anticipo, l’azione potente del Risorto che si china sull’umanità precipitata fino agli inferi e, con braccio potente, la solleva fino a sé. Di questa ‘profezia’ sono testimoni Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, discepoli del Signore. I quali imparano anche un’altra lezione: chi ha sperimentato la misericordia del Signore, chi è stato afferrato dalla sua mano forte ed è stato innalzato fino alla condizione di figlio di Dio, deve rendere grazie servendo i fratelli. “ Si mise a servirli”: il verbo greco è all’imperfetto e indica un’azione continua. Come a dire che non è l’azione di un momento, il frutto di un entusiasmo passeggero, ma è la direzione e il senso di tutta una vita. Si è discepoli se amiamo i fratelli, servendoli, toccando la carne di Cristo nella carne dei poveri.
“ Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta “. L’osservanza religiosa del sabato, il radunarsi settimanalmente nella sinagoga non incide per nulla sulla vita e sul destino di tutti questi ammalati e ossessi: pietre di scarto, esuberi, incidenti di percorso che intralciano il cammino spirituale delle anime belle. Frequentano una religione inutile, anzi dannosa. Una religione che, attraverso la predicazione della legge, inietta in loro sensi di colpa e li accusa di essere loro stessi responsabili della loro tragedia e della loro sofferenza, a causa dei peccati commessi. Tutti questi emarginati, una città intera, si accalca la sera, finito il sabato, davanti alla porta dove Gesù vive, guarisce, insegna e istruisce i discepoli. Non solo la fama di Gesù si diffonde rapidamente, ma c’è la certezza che da lui esce una ‘forza’ capace di dare la vita. In lui agisce Dio, amico e liberatore dell’uomo. Gesù non elimina tutta la miseria umana, ma si prende cura di chi è umiliato e sconfitto, infondendo una speranza che orienta a Dio. Marco vuol farci sapere che Gesù spezza in linea di principio la sovranità delle potenze oscure e inquietanti che minacciano l’uomo.
E’ ancora notte e Gesù “si alzò, uscì e andò in un luogo solitario a pregare”. Il servizio agli uomini non è tutto: la preghiera, nel cuore della notte, dà significato e peso a tutto l’agire di Gesù. Lui ‘dimora’ nel cuore del Padre suo. Ed è il Padre che incessantemente lo invia in mezzo a questa umanità dispersa e sfiduciata, ferita e umiliata. “Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce”. Lo cercano non per stare con lui, per imparare da lui cosa vuol dire adorare il Padre, ma per sfruttare al massimo questo momento di popolarità: <<Tutti ti cercano!>>. E’ la tentazione di cedere alla mondanità, a farsi un nome, a innalzarsi sugli altri. Gesù risponde alla tentazione, che gli passa accanto attraverso le parole preoccupate degli amici, con un risoluto <<Andiamocene via da qui!>>. Gesù non è venuto per cercare il potere e la gloria. E nemmeno è venuto per togliere tutte le sofferenze e tutte le miserie dell’uomo. Questo indurrebbe a dilatare speranze illusorie e facili messianismi. Lui è ‘uscito dal Padre’ per annunciare a tutti l’evangelo del Regno. Con il soffio dello Spirito. Con l’assoluta gratuità dell’amore. Senza tintinnio di danari. Solo il vangelo può penetrare nei nostri cuori malati, portarli a conversione, fino a guarirci per sempre.
Giorgio Scatto
Il brano della lettera di Paolo ai Corinzi che è proposto nella liturgia odierna è di una sorprendente attualità. Si tratta, infatti, dell’annuncio efficace del vangelo, che può essere fortemente compromesso dal rapporto, ancora piuttosto frequente, tra ministero della Parola e richiesta di una ricompensa, alla stregua di chi, per mestiere, fa il conferenziere.
Ricordo di un vescovo che, dopo una sua relazione sul vangelo della famiglia presso un’università cattolica all’estero, disse al suo segretario:<< Sul mercato americano una mia conferenza vale almeno cinquemila dollari >>. Appunto, sul mercato! Avevano già venduto il corpo del Signore per molto meno, solo per trenta denari, il prezzo di uno schiavo, e si continua a barattare, come se il vangelo fosse una merce di scambio, un prodotto come un altro da immettere sul mercato delle parole. Paolo ammette, comunque, come il Signore avesse disposto che quelli che annunciano il vangelo vivessero del vangelo ( 9,14). Tuttavia, per “non mettere ostacoli al vangelo di Cristo” egli rinuncia liberamente a tutti i suoi diritti: “Io non mi sono avvalso di alcuno di questi diritti” (9,15). Si trattava, in particolare, del diritto di non lavorare, ricevendo quanto necessario come ricompensa dell’impegno apostolico, e del diritto di avere con sé “una donna credente” al proprio seguito, come facevano “anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa” (9,5). Per Paolo il ‘vanto’ non è l’annuncio del vangelo; questo lo facevano anche gli altri. Il suo vanto è annunciarlo gratuitamente, senza la pretesa di una ricompensa, di un certo guadagno, rendendo così visibile l’azione gratuita e potente di Dio, rivelata in Gesù crocifisso.
Il compito di annunciare il vangelo non è il frutto di una libera scelta individuale. A Paolo è stato imposto dal Signore, come un comando che lo schiavo riceve dal suo padrone. Dunque, nessuna pretesa, nessuna ricompensa. Se mai, il criterio che regola il suo modo di agire nei confronti delle comunità nelle quali svolge il suo ministero, è quello di una gratuità assoluta: questo è il suo vanto e la sua ricompensa. Una libertà che si attualizza poi nella solidarietà affettuosa e totale con coloro - ebrei e pagani – ai quali annuncia il vangelo: <<Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno>>. Sì, quanto mai attuale. E urgente.
Tra la sinagoga di Cafarnao e la casa di Pietro ci sono poche decine di metri, scendendo verso il lago di Tiberiade. Tutto è stato messo in luce da recenti scavi archeologici condotti dai francescani Virgilio Corbo (1968-1986) e Stanislao Loffreda (2000-2004). Sono finora emersi dodici complessi di case raggruppate in piccoli quartieri delimitati da strade. Le case, per più famiglie dello stesso clan, erano organizzate con diverse stanze di abitazione, anche intercomunicanti, disposte attorno ad un cortile centrale. Gesù era ospite stabile della casa che Pietro condivideva con la suocera e con Andrea. Avviene, quel giorno si sabato, che questa donna sia a letto con la febbre, e il discorso di tutti, uscendo dalla sinagoga, cade su di lei. Si apre una scena di delicata tenerezza che ci presenta il volto ‘umano’ di chi poc’anzi aveva gridato con forza allo spirito immondo: <<Taci! Esci da costui!>>. Gesù si fa vicino al letto, non dice nemmeno una parola ma si limita a prendere la donna per la mano e aiutarla ad alzarsi. Ma forse non è solo così. In quel gesto – e nel verbo usato (la sollevò) possiamo leggere, come un dono mostrato in anticipo, l’azione potente del Risorto che si china sull’umanità precipitata fino agli inferi e, con braccio potente, la solleva fino a sé. Di questa ‘profezia’ sono testimoni Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, discepoli del Signore. I quali imparano anche un’altra lezione: chi ha sperimentato la misericordia del Signore, chi è stato afferrato dalla sua mano forte ed è stato innalzato fino alla condizione di figlio di Dio, deve rendere grazie servendo i fratelli. “ Si mise a servirli”: il verbo greco è all’imperfetto e indica un’azione continua. Come a dire che non è l’azione di un momento, il frutto di un entusiasmo passeggero, ma è la direzione e il senso di tutta una vita. Si è discepoli se amiamo i fratelli, servendoli, toccando la carne di Cristo nella carne dei poveri.
“ Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta “. L’osservanza religiosa del sabato, il radunarsi settimanalmente nella sinagoga non incide per nulla sulla vita e sul destino di tutti questi ammalati e ossessi: pietre di scarto, esuberi, incidenti di percorso che intralciano il cammino spirituale delle anime belle. Frequentano una religione inutile, anzi dannosa. Una religione che, attraverso la predicazione della legge, inietta in loro sensi di colpa e li accusa di essere loro stessi responsabili della loro tragedia e della loro sofferenza, a causa dei peccati commessi. Tutti questi emarginati, una città intera, si accalca la sera, finito il sabato, davanti alla porta dove Gesù vive, guarisce, insegna e istruisce i discepoli. Non solo la fama di Gesù si diffonde rapidamente, ma c’è la certezza che da lui esce una ‘forza’ capace di dare la vita. In lui agisce Dio, amico e liberatore dell’uomo. Gesù non elimina tutta la miseria umana, ma si prende cura di chi è umiliato e sconfitto, infondendo una speranza che orienta a Dio. Marco vuol farci sapere che Gesù spezza in linea di principio la sovranità delle potenze oscure e inquietanti che minacciano l’uomo.
E’ ancora notte e Gesù “si alzò, uscì e andò in un luogo solitario a pregare”. Il servizio agli uomini non è tutto: la preghiera, nel cuore della notte, dà significato e peso a tutto l’agire di Gesù. Lui ‘dimora’ nel cuore del Padre suo. Ed è il Padre che incessantemente lo invia in mezzo a questa umanità dispersa e sfiduciata, ferita e umiliata. “Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce”. Lo cercano non per stare con lui, per imparare da lui cosa vuol dire adorare il Padre, ma per sfruttare al massimo questo momento di popolarità: <<Tutti ti cercano!>>. E’ la tentazione di cedere alla mondanità, a farsi un nome, a innalzarsi sugli altri. Gesù risponde alla tentazione, che gli passa accanto attraverso le parole preoccupate degli amici, con un risoluto <<Andiamocene via da qui!>>. Gesù non è venuto per cercare il potere e la gloria. E nemmeno è venuto per togliere tutte le sofferenze e tutte le miserie dell’uomo. Questo indurrebbe a dilatare speranze illusorie e facili messianismi. Lui è ‘uscito dal Padre’ per annunciare a tutti l’evangelo del Regno. Con il soffio dello Spirito. Con l’assoluta gratuità dell’amore. Senza tintinnio di danari. Solo il vangelo può penetrare nei nostri cuori malati, portarli a conversione, fino a guarirci per sempre.
Giorgio Scatto
Commenti
Posta un commento