don Giorgio Scatto"La Chiesa deve rivestirsi del mantello dei poveri e dei derelitti"

Letture: Lv 13,1-2.45-46     1 Cor 10,31-11,1     Mc 1,40-45
1)Venne da Gesù un lebbroso. Nella legislazione dell’antico Israele la lebbra non era considerata soltanto un’odiosa malattia, ritenuta inguaribile. Essa decretava l’esclusione sociale e l’allontanamento dalla comunità credente. Si pensava, infatti, che il lebbroso fosse ‘colpito da Dio’, a causa delle colpe commesse. Anche Dio gli voltava le spalle e lo escludeva dalla sua presenza. Una condanna terribile, in una società molto connotata dalla sfera religiosa. “Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il
capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: <<Impuro! Impuro!>> Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento” (Lv 13,45-46). Malattia ed emarginazione erano così strettamente intrecciate che la guarigione non era effettiva fino a quando gli ammalati non erano reintegrati nella società. Ci voleva però il giudizio e la testimonianza del sacerdote, cosa non facile. Per questo Gesù non soltanto opera guarigioni, ma elimina le barriere che separano gli uomini tra di loro, i sani dai malati, i giusti dai peccatori. Per lui ogni affermazione della violenza che divide uomo da uomo, soprattutto mettendo in campo motivi religiosi, contraddice il progetto di Dio sulle creature e sulla storia, che è sempre un progetto di comunione. I vangeli ci descrivono più volte questa volontà di Gesù di reinserire nuovamente gli ammalati, gli ossessi, quanti erano ‘posseduti da spiriti impuri’, in seno alla convivenza umana e familiare. <<Alzati, prendi la tua barella e va a casa tua>>. (Mc 2,19) <<Va nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te>>. (Mc 5,19).
Se vuoi, puoi purificarmi. Il dolore più grande non è solo quello provocato dalla terribile malattia della lebbra, ma l’essere escluso da una vita di relazione, soprattutto non aver più la possibilità di essere accolto nella comunità credente. Essere esclusi dagli uomini; essere esclusi da Dio: questo è l’inferno. Ecco perché il lebbroso non chiede solo di essere guarito, ma di essere ‘purificato’: chiede che Gesù abbia per lui quella misericordia che non ha trovato nella società. E nemmeno nella comunità dei fedeli. Chiede a Gesù un segno di apertura e di accoglienza. Anche il lebbroso intimamente spera, e desidera, che Dio non gli sia ostile. Qualunque sia l’origine del suo male, fosse anche il proprio peccato.
Ne ebbe compassione. Alcuni codici antichi riportano un verbo diverso: ”Ne fu adirato”. Gesù si trova di fronte a qualcosa di scandaloso, che contraddice il piano originario di Dio. La malattia non è il luogo della vendetta di Dio a causa delle colpe degli uomini. L’esclusione sociale e religiosa, a causa della malattia, non è nella volontà di Dio. Una religione che giudica, emargina ed esclude, con la preoccupazione di non essere contagiata dal male, sia esso fisico sia morale, non è da Dio. Gesù non accetta queste cose. La sua misericordia sta bene insieme con il suo sdegno.
Tese la mano, lo toccò e gli disse: <<Lo voglio, sii purificato!>>. Il toccare, oltre che dare la guarigione, esprime il contatto umano con chi doveva essere tagliato fuori. Quest’uomo è un membro del popolo di Dio. Toccandolo Gesù lo libera dall’esclusione. Il suo gesto è intenzionale: Gesù non pensa soltanto alla guarigione dell’ammalato, ma rivolge un appello a tutta la società, e in modo particolare alla comunità dei credenti. Il Regno di Dio ha fatto irruzione in mezzo a noi; accoglierlo significa costruire la vita in un’altra maniera: gli uomini ‘impuri’ possono essere toccati, gli esclusi devono essere accolti; gli ammalati non devono essere guardati con timore, ma con compassione. Come li guarda Dio.
E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. Toccando il lebbroso, secondo la legge religiosa, Gesù avrebbe contratto lui pure l’impurità rituale. Era come toccare un cadavere. Ma anziché essere contaminato da lui, Gesù gli comunica la propria santità. Quante volte papa Francesco esorta la Chiesa a ‘toccare la carne di Cristo’ nella carne sofferente dei malati, dei poveri, degli esclusi! Noi invece abbiamo ancora paura di essere contaminati, siamo ancora una Chiesa che vive di parole, di buone intenzioni, di sottili teologie sull’antropologia cristiana e magari dell’ultima interpretazione di un comma del codice di diritto canonico, ma che stenta ancora a rivestirsi con il mantello dei poveri e dei derelitti, impregnandosi del loro odore, toccando le loro miserie, partecipando in pieno alla loro sofferenza.
E ammonendolo severamente, lo cacciò via subito. Qualcuno traduce: ”Dopo averlo strapazzato”. Gesù sembra infastidito, agitato. Usa toni minacciosi. Perché? Perché Gesù è fisicamente sopraffatto da una grande ondata di emozione, fino a inciampare nelle parole, tanta è l’agitazione che trapela dal suo aspro tono di voce. La lotta contro l’esclusione sociale, contro una religione che discrimina in nome di Dio, deve impegnare a lungo i discepoli di questo maestro di giustizia e di misericordia. E non è mai una lotta semplice, facile e immediatamente pacifica.
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto. Il testo letterale dice: ”La parola”. Cristo è la Parola del Padre che, una volta pronunciata, dona vita. E’ una nuova creazione. Questa Parola non va trattenuta: chi è stato guarito da questa Parola, la proclama e la divulga.
Gesù rimaneva fuori, in luoghi deserti. Sì, “egli ha preso le nostre infermità, si è caricato delle nostre malattie” (Is 53,4). Si è fatto lebbroso, perché noi fossimo guariti per le sue piaghe. Noi portati dentro, al sicuro; lui gettato fuori. Noi vittoriosi sulla morte, e lui confitto sulla croce. Ma entrambi, per l’infinita misericordia di Dio, abbracciati in un unico amore. Non temiamo più: la comunione ci è donata per sempre!

Giorgio Scatto  

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