Don Paolo Zamengo"La tentazione del Tabor "

   Mc 9, 2-10II Domenica di Quaresima (Anno B) 
Il deserto è il luogo della prova, a volte terribile come per Abramo. Dio gli aveva donato un figlio e con lui una gioia immensa, ma ora è Dio stesso ad esigerne,  incomprensibilmente, il sacrificio.  La prova è uno passaggio essenziale per la fede, cruciale e decisivo. Per Adamo, per Abramo, per Gesù, per gli apostoli, per noi.

L’avventura di Abramo era già iniziata con un momento difficile, la partenza. Senza questo distacco che comporta abbandono, perdita, scelta dolorosa, e soprattutto una consegna fiduciosa al Signore e alle sue promesse, l’avventura della fede non può decollare.

È la stessa esperienza vissuta dagli apostoli. Hanno lasciato le reti, la barca, gli amici, il padre. Così Levi ha abbandonato il mestiere di pubblicano con le sue abitudini calcolate  e gratificanti. L’incontro con Gesù esige questo taglio, questa cambio e chiede fiducia a tutta prova: chiede una rinuncia agli appoggi costruiti nel tempo, alle varie sicurezze, allo scenario usuale della propria esistenza.

La prova di Abramo, tuttavia, è la più drammatica. Esige un sacrificio immenso. Se lasciare la terra dove era nato e vissuto per andare dove il Signore lo avrebbe portato era come cancellare il passato, sacrificare Isacco il figlio amato,  era rinunciare di colpo al futuro, al suo futuro. Abramo deve rinunciare a un futuro costruito con le sue mani.

La prova di Abramo mette a nudo un aspetto fondamentale del nostro rapporto con Dio. Conta più lui o i doni che da lui abbiamo ricevuto? Siamo incamminati dietro a Gesù o inseguiamo le sue promesse?

Il dilemma è lancinante perché impone una scelta che frantuma i sogni, i progetti, i calcoli, e chiede, invece, al credente la consegna totale a un futuro e a un progetto che sono solamente nelle mani di Dio.  Abramo anticipa l’esperienza di Gesù sulla croce, quando si consegna a Dio e a lui si affida. Gesù sulla croce non consegna al Padre la sua morte ma la sua vita.

Anche l’esperienza gratificante e luminosa del Tabor racchiude due tentazioni. Due insidie. Ed è proprio Pietro a indicarcele: la voglia di fermarsi e di non proseguire il cammino.

La prima: “Gesù, è bello per noi  essere qui: facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”.  Se nella vita ci sono momenti significativi non sono un traguardo ma una sorta di ‘viatico’ per affrontare gli altri passaggi della nostra storia. Credere significa accettare di percorrere la stessa strada di Gesù, quella che parte da Gerusalemme e conduce alla Pasqua, ma passa e deve passare per il monte Calvario.

La seconda tentazione del Tabor è la pretesa di sapere tutto. Invece il progetto di Dio ci supera e ci chiede di scoprirlo.  “Pietro non sapeva, infatti, cosa dire”. Il non sapere di Pietro non ci deve spaventare ma ridestare la fiducia e la ricerca. Non tutto può essere subito compreso. Vale per ogni esperienza e tanto più per la fede. Solo lungo il cammino, con la fatica che domanda e gli incidenti che riserva, è possibile maturare come discepoli del Signore.

Il Tabor comunque rinfranca il cuore degli apostoli e il nostro. Con loro riprendiamo il cammino. Quando le luci si spengono, ci resta la Parola, una Parola che continua a nutrire, a rischiarare e a sorreggerci nei momenti difficili. Non basta, però, solo ascoltare e neppure comprendere. Ci viene chiesto molto di più: vivere. Vivere l’obbedienza della fede. Far diventare realtà il Vangelo.  Abbandonare la nostra terra, lasciare la nostra barca e costruire un uomo nuovo, nella fedeltà e nella perseveranza. Con Gesù.

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